Quale è la storia dell’ADHD?

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Quando l’ADHD (Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività) ha iniziato a comparire nel corso della storia e quali sono stati i rimedi utilizzati?

La storia del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (ADHD)è lunga e ricca di scoperte: si possono ritrovare tracce di comportamenti associabili all’ADHD già a partire da più di duemila anni fa e da qualche secolo si sta cercando un rimedio per poterlo sconfiggere. 

Ripercorriamo le tappe che hanno portato alla sua rilevanza nel panorama contemporaneo: partendo dalla comparsa dei primi sintomi ADHD e passando per le scoperte dei secoli successivi.

Scopriamo quali studi hanno portato a conoscere il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (ADHD) come possiamo fare oggi! 

Antichità e Medioevo: L’Origine dell’ADHD

La scoperta dei primi comportamenti riconducibili al Disturbo ADHD risalgono a migliaia di anni fa. Possiamo trovare delle testimonianze mediche ad esempio nei testi di Ippocrate, che descrisse alcuni bambini con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. Secondo il filosofo greco, questi bambini riportavano un eccesso di “flegma” in corpo: secondo la teoria umorale, le malattie avrebbero origine dall’eccesso o dalla scarsa presenza di uno dei quattro umori presenti nell’organismo (bile bianca, bile nera, sangue e flegma), e proprio il flegma sarebbe l’umore riconducibile all’acqua, che avrebbe sede nella testa. Quindi, uno squilibrio di questo umore potrebbe comportare dei comportamenti riconducibili a quelli descritti sopra.

Durante il medioevo si inizia a considerare i sintomi ADHD non più solo sui bambini, ma sulle persone di qualsiasi età. Chi aveva questi comportamenti veniva considerato:

  • Secondo cause sociali: Appartenente a una classe sociale bassa, disadattato, o pazzo; oppure, in caso si trattasse di bambini, maleducato;
  • Secondo cause religiose: Si riteneva fosse posseduto da forze maligne, dal diavolo, oppure che queste azioni fossero una conseguenza dei suoi peccati.

Ciò che è certo è il fatto che in questo periodo storico le conoscenze a su questo tema erano quasi nulle e si limitavano all’osservazione dei comportamenti umani.

Rinascimento e Illuminismo: Un primo tentativo di classificazione dell’ADHD

A partire dal XVII secolo, la medicina iniziò a essere trattata come una vera e propria scienza. Con l’applicazione a essa del metodo scientifico, si riuscì a ottenere una prima classificazione del disturbo ADHD, che venne così inserito all’interno delle malattie mentali. Troviamo alcune descrizioni di comportamenti impulsivi e disattenti in scritti medici di alcuni scienziati del tempo:

  • Thomas Willis, nel 1664, scrisse Cerebri Anatome, in cui studiò il funzionamento dei nervi e del cervello. Riuscì a migliorare di molto gli studi anatomici allora esistenti, tanto che il suo lavoro è riconosciuto ancora oggi come fondamentale per lo sviluppo della scienza neurologica.
  •  Melchior Adam Weikard, nel 1775, inserì all’interno del suo libro Der Philosophische Arzt un capitolo nel quale riportò alcuni disturbi dell’attenzione. Questo articolo è considerato il primo vero e proprio studio sull’ADHD.

XIX Secolo: Nasce il concetto di ADHD

Grazie al continuo sviluppo della psichiatria e ai progressi dello studio sulla mente umana iniziarono a prendere forma concetti sempre più simili a quello di ADHD. Le osservazioni di casi clinici si fecero sempre più frequenti e approfondite, continuando a interessare prevalentemente bambini in età scolastica che venivano monitorati per un periodo di tempo prolungato, così da avere una panoramica più completa.

  • Nel 1798 Sir Alexander Crichton scrisse An inquiry into the nature and origin of mental derangement, un libro in cui studiò il comportamento di alcuni bambini, durante il quale elaborò il concetto di una condizione chiamata mancanza di attenzione”, definendola già come un disordine di iperattività mentale.
  • Nel 1845 Heinrich Hoffmann pubblicò Der Struwwelpeter, un libro illustrato che mostrava un bambino soggetto a disattenzione e iperattività, descrivendone in modo chiaro e preciso le attività e gli atteggiamenti.

XX Secolo: Iniziano le diagnosi della condizione 

Nel corso del ‘900 il disturbo ADHD inizia a essere preso in considerazione dal punto di vista farmaceutico e i progressi nello studio del fenomeno portano alla creazione dei primi farmaci ADHD per contrastarlo

Inoltre, a partire dagli anni Sessanta, il Deficit di Attenzione cominciò a essere diagnosticato come un disturbo specifico e non più associato ad altri Deficit.

  • Nel 1908 Alfred Tredgold pubblicò “Mental deficiency (Amentia)”, in cui scrisse di essere entrato in contatto con bambini con un’elevata “debilità mentale” e ipotizzo potesse essere la conseguenza di un danneggiamento del cervello.
  • Nel 1937 Charles Bradley, nel tentativo di curare il mal di testa ad alcuni bambini, somministra loro della Benzedrina e scopre che essa ha dei grandi effetti sui comportamenti umani, in quanto migliora le prestazioni scolastiche dei bambini, le loro interazioni sociali e le loro risposte emotive.
  • Nel 1980 l’American Psychiatric Association (APA) inserì il disturbo da deficit di attenzione nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-III); distinguendo due varianti, con o senza iperattività.

Tutto ciò portò grande rilevanza alla ricerca sul disturbo da deficit dell’attenzione e aumento di gran lunga l’attenzione dell’opinione pubblica nei suoi confronti.

XXI Secolo: L’ADHD oggi

Negli ultimi anni l’ADHD ha assunto sempre più rilevanza e, nonostante non si sia ancora riusciti a definirla completamente, giorno dopo giorno i progressi in questa direzione sono sempre più consistenti. In questo senso sono fondamentali le nuove tecnologie, come la neuroimaging, che riescono a fornirci informazioni e  risposte sempre più precise sul funzionamento del cervello nelle persone con disturbo ADHD.

Oggi il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività è uno dei disturbi più comuni nei bambini. Si stima, infatti, che circa il 5-7% dei bambini in età infantile ne soffra. Nonostante ciò, i risultati di studi clinici affermano che nel 70% dei casi il metilfenidato è efficace per contrastare il disturbo.

La speranza è che la ricerca e l’innovazione delle tecnologie aiutino, in modo sempre costante, ad abbassare questa percentuale, così da poter aiutare chi soffre di questo disturbo a sconfiggerlo, o almeno a contenerlo, e a vivere una vita più serena.

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