L’autolesionismo è un comportamento caratterizzato dall’infliggere danno al proprio corpo in modo intenzionale e non suicidario.
È una pratica che può manifestarsi in molteplici forme e per diverse motivazioni, ma ha in comune il fatto di rappresentare una strategia disfunzionale di gestione del dolore emotivo, dell’ansia, della frustrazione o di altre difficoltà psicologiche.
Sebbene l’autolesionismo possa talvolta sembrare incomprensibile dall’esterno, per chi lo mette in atto assume spesso un significato preciso e risponde a un bisogno profondo di sollievo o controllo.
Il termine autolesionismo deriva dall’unione di due parole latine:
- “Auto” significa “sé stesso”.
- “Lesionismo” deriva da “lesione”, che indica un danno fisico o un’alterazione dell’integrità corporea.
Insieme, il termine indica quindi un comportamento volto a procurarsi volontariamente delle lesioni. Il termine viene utilizzato per descrivere qualsiasi atto in cui una persona si causa intenzionalmente danno senza l’intenzione di porre fine alla propria vita.
’autolesionismo è un fenomeno complesso e multifattoriale, il che significa che non ha una sola causa né si manifesta in un unico modo. Può variare in base alla frequenza, all’intensità e alle motivazioni che lo spingono
- Autolesionismo diretto: quando il danno viene inflitto in modo evidente e immediato sul corpo.
- Autolesionismo indiretto: quando una persona mette in atto comportamenti autodistruttivi in modo meno evidente o più graduale, come un’alimentazione dannosa, abuso di sostanze, privazione volontaria di cure mediche, relazioni autodistruttive o altri comportamenti dannosi per sé stessi.
Quali sono i comportamenti autolesionistici?
Come già accennato, l’autolesionismo può manifestarsi in molteplici forme, con gradi diversi di severità e ripercussioni sulla salute mentale e fisica.
I principali comportamenti autolesionistici sono:
- Tagli (cutting) e incisioni sulla pelle
- Uso intenzionale di lame o oggetti affilati: il comportamento più comune tra coloro che si autolesionano consiste nell’incidere o tagliare la pelle con lame, coltelli, forbici o oggetti affilati. Le aree più frequentemente colpite includono braccia, polsi, gambe e addome. In alcuni casi, i tagli possono essere superficiali, mentre in altri possono raggiungere profondità tali da richiedere cure mediche.
- Scopo di alleviare il dolore emotivo: il taglio della pelle può indurre una temporanea sensazione di sollievo, poiché il dolore fisico diventa un focus immediato che distrae dal dolore psicologico. Alcuni individui descrivono questo comportamento come un modo per “sentirsi vivi” in momenti di dissociazione o intorpidimento emotivo.
- Ripetitività e ritualizzazione: molte persone che praticano il cutting sviluppano rituali specifici, come l’uso di strumenti particolari, la scelta di zone precise del corpo e la pulizia metodica delle ferite. Questo rituale può diventare una forma di controllo che si trasforma in un’abitudine compulsiva.
- Bruciature autoindotte (burning)
- Utilizzo di accendini, fiammiferi o superfici calde: alcuni individui si procurano ustioni intenzionali utilizzando accendini, fiammiferi, sigarette o oggetti riscaldati. Le bruciature possono essere superficiali o profonde, con cicatrici permanenti.
- Ricerca di una sensazione di punizione o controllo: molte persone che si infliggono bruciature lo fanno per autopunirsi o per ottenere una sensazione di controllo su una sofferenza interiore. Il dolore intenso e la cicatrizzazione fungono da segni visibili di sofferenza emotiva.
- Abitudine progressiva e rischio di escalation: come per altri tipi di autolesionismo, il burning può diventare più frequente nel tempo, con la necessità di aumentare l’intensità delle bruciature per ottenere lo stesso effetto emotivo.
- Colpi autoindotti e percosse (hitting, punching, banging)
- Percuotere volontariamente parti del corpo: alcune persone colpiscono se stesse con pugni, schiaffi o oggetti contundenti. Possono colpire braccia, gambe, testa o addome, causando lividi, gonfiori o fratture.
- Sbattere la testa contro superfici dure: un comportamento autolesionistico comune consiste nel colpire ripetutamente la testa contro un muro o un’altra superficie dura. Questo può provocare ematomi, commozioni cerebrali e, nei casi più gravi, danni neurologici.
- Rabbia e frustrazione come fattori scatenanti: l’auto-percussione è spesso una risposta impulsiva a emozioni travolgenti, come rabbia, frustrazione o senso di colpa. Alcuni individui lo usano come strategia per reprimere pensieri indesiderati o per gestire situazioni di stress estremo.
- Escoriazioni e graffi (scratching e picking)
- Scorticamento e graffi intenzionali: alcune persone si infliggono danni alla pelle grattando ripetutamente un’area fino a provocare sanguinamento o infezioni. Questo comportamento può essere realizzato con le unghie, con oggetti appuntiti o con strumenti di fortuna.
- Epilazione compulsiva di peli o capelli (tricotillomania): alcuni individui si strappano capelli, ciglia o sopracciglia in modo ripetitivo e compulsivo. Questo comportamento può essere un meccanismo di gestione dello stress o un’espressione di ansia profonda.
- Riapertura ossessiva di ferite (dermatillomania): alcuni soggetti sentono l’impulso di riaprire continuamente ferite, croste o abrasioni sulla pelle, impedendo la guarigione e causando infezioni o cicatrici permanenti. Questo comportamento è spesso associato a disturbi ossessivo-compulsivi e ansia.
- Ingestione di sostanze tossiche o oggetti pericolosi
- Autointossicazione volontaria: alcune persone ingeriscono sostanze tossiche, come detergenti, farmaci in dosi non letali o sostanze caustiche, con l’intento di procurarsi danno senza necessariamente voler morire. Questo comportamento è particolarmente pericoloso poiché può portare a gravi danni agli organi interni.
- Ingestione di corpi estranei (pica autolesionista): alcune persone ingoiano oggetti non alimentari, come vetro, aghi, lame o plastica. Questo comportamento può causare lesioni interne, perforazioni intestinali e complicanze mediche gravi.
- Uso di droghe o alcol in maniera autodistruttiva: in alcuni casi, l’abuso di sostanze viene utilizzato come forma indiretta di autolesionismo, portando a comportamenti rischiosi, overdose o avvelenamento intenzionale.
- Autosabotaggio e comportamenti autolesivi indiretti
- Esporsi intenzionalmente a situazioni pericolose: alcuni individui si mettono volontariamente in situazioni rischiose, come camminare in zone pericolose, non rispettare norme di sicurezza o guidare in modo spericolato, con l’intento inconscio di provocarsi danno.
- Rifiuto del cibo e comportamenti alimentari estremi: l’anoressia, il digiuno estremo o il consumo compulsivo di cibo seguito da vomito autoindotto (bulimia) possono essere considerati forme di autolesionismo, poiché causano danni fisici significativi e possono mettere in pericolo la vita della persona.
- Autosvalutazione e ricerca deliberata di relazioni tossiche: alcune persone si espongono a relazioni violente o a dinamiche autodistruttive per punirsi inconsciamente o per confermare un’autopercezione negativa. Questo tipo di comportamento può includere accettare abusi emotivi, sessuali o fisici senza cercare aiuto.
I comportamenti autolesionistici sono spesso segnali di un disagio psicologico profondo e possono essere associati a disturbi e condizioni psicologiche diverse.
In quali disturbi e condizioni psicologiche sono più comuni i comportamenti autolesionistici?
L’autolesionismo non è una malattia in sé, ma piuttosto un comportamento sintomatico che può essere associato a diverse condizioni psicologiche, tra cui:
- Disturbo Borderline di Personalità (BPD – Borderline Personality Disorder)
- Elevata prevalenza dell’autolesionismo come strategia di gestione emotiva: le persone con disturbo borderline di personalità sperimentano emozioni intense e instabili, difficoltà nel controllo dell’impulsività e paura dell’abbandono. L’autolesionismo è spesso usato per alleviare stati emotivi estremi, come la rabbia, la disperazione o il senso di vuoto cronico. Il taglio (cutting) è uno dei comportamenti più comuni in questi pazienti, spesso associato a sentimenti di autopunizione e a difficoltà nel regolare il dolore emotivo.
- Funzione dell’autolesionismo nella regolazione dell’identità: molti individui con BPD usano l’autolesionismo per sentirsi “reali” o per ristabilire un senso di controllo sulla propria esistenza. In alcuni casi, il comportamento autolesionistico può essere accompagnato da dissociazione o da un senso di distacco dalla realtà.
- Ciclicità e rischio di escalation: il comportamento autolesionistico nel disturbo borderline può diventare cronico e intensificarsi nel tempo, aumentando il rischio di suicidio se non trattato con un intervento psicoterapeutico adeguato.
- Disturbi Depressivi (Depressione Maggiore e Disturbo Depressivo Persistente – Dysthymia)
- Autolesionismo come manifestazione della disperazione: gli individui con depressione maggiore possono ricorrere all’autolesionismo come tentativo di alleviare il dolore emotivo o per distogliere l’attenzione dai sentimenti di inutilità e disperazione. Il comportamento può essere accompagnato da pensieri suicidari, anche se spesso l’intento non è letale.
- Tendenza all’autopunizione: nei pazienti depressi, l’autolesionismo può essere legato a un senso di colpa e di autodisprezzo, con il desiderio di punirsi per presunti fallimenti o per la percezione di essere un peso per gli altri. Questo atteggiamento è particolarmente comune nelle persone con depressione associata a un forte perfezionismo o a un’autocritica eccessiva.
- Rischio di suicidio nei casi più gravi: l’autolesionismo nei pazienti con depressione può rappresentare un primo passo verso comportamenti suicidari più letali, soprattutto se associato a un aumento della disperazione e a una perdita di speranza nel futuro.
- Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD – Post-Traumatic Stress Disorder)
- Autolesionismo come meccanismo di regolazione post-traumatica: nei pazienti con disturbo post traumatico da stress, l’autolesionismo può essere un modo per gestire i flashback, la dissociazione e i sintomi intrusivi legati a esperienze traumatiche. In alcuni casi, infliggersi dolore fisico aiuta la persona a ristabilire un senso di realtà quando si sente disconnessa dal presente.
- Associato a esperienze di abuso e traumi infantili: le persone con una storia di abusi fisici, sessuali o emotivi nell’infanzia hanno un rischio più elevato di sviluppare comportamenti autolesionistici, spesso come tentativo di riprendere il controllo su un corpo che è stato violato o per esternare un dolore interno non espresso.
- Comportamenti impulsivi e disregolazione emotiva: il PTSD può portare a episodi di impulsività e rabbia intensa, che possono manifestarsi sotto forma di comportamenti autolesionistici. L’auto-percussione (hitting, banging) e il graffiarsi sono comportamenti frequenti nei pazienti con stress post-traumatico.
- Disturbi d’Ansia e Disturbo Ossessivo-Compulsivo
- Dermatillomania e tricotillomania come autolesionismo compulsivo: alcuni disturbi d’ansia e il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (OCD), possono includere comportamenti autolesionistici specifici, come la dermatillomania (picking della pelle) o la tricotillomania (strappare i capelli). Questi comportamenti sono spesso associati a una sensazione di tensione crescente prima dell’atto e a un sollievo temporaneo dopo averlo compiuto.
- Autolesionismo indiretto dovuto ad ansia estrema: in alcuni casi, le persone con ansia generalizzata possono sviluppare comportamenti autodistruttivi, come evitare di mangiare, privarsi del sonno o impegnarsi in abitudini malsane che danneggiano il loro corpo nel lungo periodo.
- Disturbi del Comportamento Alimentare (Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa)
- Restrizione alimentare e abbuffate come forme di autolesionismo: le persone con anoressia e bulimia spesso utilizzano il controllo dell’alimentazione come una forma di punizione o di regolazione emotiva. L’evitamento del cibo, l’uso di lassativi e il vomito autoindotto possono essere considerati forme di autolesionismo cronico, che danneggiano il corpo in modo sistematico.
- Tagli e bruciature come manifestazione del disagio emotivo: nei pazienti con disturbi alimentari, l’autolesionismo fisico (cutting, burning) è spesso presente come metodo per affrontare sentimenti di vergogna, frustrazione o senso di colpa dopo episodi di abbuffata o di perdita di controllo sull’alimentazione.
- Associato a un’immagine corporea distorta e a un forte senso di autocritica: l’autolesionismo nei disturbi alimentari è spesso collegato a una percezione negativa del corpo e a un bisogno estremo di autopunizione per non aver raggiunto standard irrealistici di perfezione.
- Disturbo Bipolare e Disregolazione dell’Umore
- Autolesionismo nei momenti di intensa disregolazione emotiva: nei pazienti con disturbo bipolare, l’autolesionismo può comparire durante episodi depressivi profondi o durante stati di agitazione maniacale in cui l’impulsività è elevata. Nei momenti di depressione, l’autolesionismo è spesso usato come mezzo per affrontare il dolore emotivo, mentre nei periodi di mania può essere il risultato di comportamenti spericolati e impulsivi.
- Associazione con abuso di sostanze: alcuni pazienti con disturbo bipolare utilizzano droghe o alcol come forme di autolesionismo indiretto, aumentando il rischio di comportamenti pericolosi e di danni fisici accidentali.
I comportamenti autolesionistici sono comuni in diverse condizioni psicologiche e rappresentano un segnale di sofferenza interna significativa.
Il riconoscimento precoce e l’intervento terapeutico adeguato possono aiutare a ridurre questi comportamenti e a sviluppare strategie più sane per affrontare il dolore emotivo.
La psicoterapia, in particolare la terapia dialettico-comportamentale (DBT) e la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), è spesso efficace nel ridurre l’autolesionismo e migliorare la regolazione emotiva nei pazienti affetti da queste condizioni.