Se sei neurodivergente, ti sarà capitato di sentirti chiedere durante una conversazione: “Ma mi stai ascoltando?”.
Questo probabilmente è dovuto al fatto che un aspetto comune in neurodivergenze come l’ADHD e l’autismo è la difficoltà nel mantenere il contatto visivo.
Solo che nei modelli di interazione tipicamente neurotipici c’è la tendenza a sovrastimare l’importanza del contatto visivo nel corso di una conversazione, e quindi un’assenza di contatto visivo, una difficoltà nel mantenerlo, può essere interpretata come mancanza di interesse oppure disattenzione.
Ed è per questo che chi si chiede se tu stia ascoltando, in realtà, si ascolta con le orecchie, e con gli occhi al massimo si guarda — però tende ad essere in questo modo.
Nelle prossime righe cercheremo di capire quale sia la funzione del contatto visivo nelle interazioni e il perchè nelle persone autistiche e ADHD questo possa risultare così difficoltoso.
Il tuo punto di riferimento per l’ADHD
Se cerchi un aiuto concreto per affrontare l’ADHD, il nostro Centro Clinico è qui per te. Offriamo diagnosi accurate, trattamenti personalizzati e supporto continuo per aiutarti a vivere al meglio.
Un supporto concreto per l’autismo
Il nostro Centro Clinico offre diagnosi, consulenze e percorsi personalizzati per supportare al meglio le persone autistiche e le loro famiglie. Scopri come possiamo aiutarti.

Prenota un colloquio gratuito per l’ADHD
Pensi che l’ADHD limiti la tua vita? Un colloquio gratuito con un nostro psicologo può chiarire molti dubbi, così potrai decidere se iniziare un percorso di diagnosi o trattamento.

Prenota un colloquio gratuito per l’autismo
Pensi di rientrare nello spettro autistico? Un colloquio gratuito con un nostro psicologo può chiarire molti dubbi, così potrai decidere se iniziare un percorso di diagnosi o trattamento.
Funzione del Contatto Visivo nelle Interazioni
Nelle interazioni neurotipiche, il contatto visivo assume un significato centrale, spesso implicito ma profondamente radicato nelle convenzioni sociali.
Guardare negli occhi il proprio interlocutore viene percepito non solo come segno di attenzione, ma anche come indicatore di sincerità, empatia, partecipazione emotiva e rispetto.
Fin dall’infanzia, molte persone neurotipiche vengono educate all’idea che stabilire e mantenere il contatto visivo sia parte integrante del “buon ascolto” e della comunicazione efficace.
Sarà probabilmente capitato, sia da piccoli che da adulti, di sentirsi dire durante una discussione: “Guardami negli occhi mentre ti parlo”, come se la qualità dell’ascolto dipendesse direttamente dalla direzione dello sguardo.
Questa aspettativa può essere accompagnata anche da un giudizio sul comportamento fisico più generale: voltarsi, dare le spalle, o anche solo fare altro mentre si ascolta, come sistemare qualcosa, scrivere o muoversi per la stanza, può essere percepito come segno di disinteresse o maleducazione, a prescindere dall’effettiva capacità di prestare attenzione.
In questo contesto, evitare lo sguardo dell’altro può essere facilmente frainteso come segno di disagio, di colpa, di distrazione o addirittura di menzogna.
Il contatto visivo viene dunque caricato di una funzione regolatrice dell’interazione: scandisce i turni di parola, crea connessione, conferma la presenza dell’altro nella relazione.
Guardare negli occhi mentre si parla o si ascolta non è solo un gesto istintivo, ma un atto culturale e sociale che rinforza l’idea di reciprocità, di dialogo autentico.
Inoltre, l’intensità e la durata dello sguardo assumono una valenza comunicativa specifica, che può cambiare a seconda del contesto: uno sguardo prolungato può segnalare interesse, attrazione, ma anche sfida; uno sguardo sfuggente può invece essere letto come imbarazzo o disinteresse.
In ambienti professionali, per esempio, il contatto visivo è spesso associato a credibilità, assertività e competenza. Nelle relazioni affettive, invece, viene vissuto come strumento di intimità e di sintonia emotiva.
In generale, quindi, per molte persone neurotipiche lo scambio di sguardi è parte integrante del linguaggio non verbale, e contribuisce a costruire il senso dell’interazione ben oltre le parole pronunciate.
La sua assenza può rompere questo equilibrio, generando confusione o interpretazioni errate sulle intenzioni e sulla partecipazione dell’altro.
Per questo motivo, nelle comunicazioni tra persone neurotipiche e neurodivergenti può talvolta emergere una dissonanza, dovuta al fatto che il contatto visivo viene investito di significati e funzioni che non sono universali ma culturalmente e neurologicamente situati.
Va però sottolineato che, sebbene sia nell’ADHD che nell’autismo si osservi spesso una difficoltà nel ricambiare gli sguardi o nel mantenere il contatto visivo, le motivazioni che sottendono questo comportamento, apparentemente analogo, possono essere piuttosto diverse.
Si tratta di somiglianze che, pur avendo esiti esteriormente simili, si radicano in dinamiche cognitive e sensoriali differenti, che approfondiremo nei successivi due paragrafi.
Pensi di essere ADHD?
Compila il test di autovalutazione! Ti darà un’indicazione sull’opportunità di approfondire con diagnosi e terapia. Bastano 3 minuti per avere il risultato.
Pensi di essere una persona autistica?
Compila il test di autovalutazione! Ti darà un’indicazione sull’opportunità di approfondire con diagnosi e terapia. Bastano 5 minuti per avere il risultato.
Perché le Persone Autistiche non Guardano negli Occhi?
Nell’autismo, il contatto visivo assume connotazioni molto diverse rispetto alle aspettative comunemente associate alle interazioni neurotipiche.
Spesso, le persone autistiche tendono a non guardare direttamente negli occhi durante una conversazione, preferendo tenere la testa china, volgere lo sguardo altrove, impegnarsi in un’altra attività mentre ascoltano o parlano, oppure guardare l’interlocutore in modo sfuggente, per così dire “di sbieco”.
Questo comportamento, che può essere interpretato da chi osserva come segno di distrazione, disinteresse o evitamento, ha invece radici profonde e specifiche, legate al modo in cui le persone autistiche percepiscono, processano e vivono l’interazione sociale.
Le motivazioni alla base di questa tendenza sono diverse, ma due in particolare emergono con frequenza.
Da un lato, per molte persone autistiche guardare negli occhi può costituire un vero e proprio sovraccarico sensoriale.
Lo sguardo diretto viene vissuto non come un canale neutro di comunicazione, ma come una fonte intensa e, talvolta, disorganizzante di stimolazione.
Il viso dell’altro, e in particolare gli occhi, rappresentano un’area ad altissima densità di informazioni sociali: espressioni, micro-movimenti, segnali emotivi, aspettative implicite.
Per una persona autistica, elaborare tutto questo insieme di segnali in tempo reale può richiedere uno sforzo cognitivo e sensoriale molto elevato.
Questo eccesso di input può generare disagio, ansia, affaticamento o persino una sensazione di minaccia o confusione. In certi casi, l’intensità dello sguardo può risultare quasi “invasiva”, come se l’interlocutore “entrasse dentro” o superasse una soglia invisibile.
Di conseguenza, distogliere lo sguardo diventa una strategia naturale e funzionale per ridurre la pressione e regolare il proprio equilibrio sensoriale e attentivo durante l’interazione.
Dall’altro lato, è importante considerare che, in molte persone autistiche, lo sguardo non assume lo stesso peso comunicativo attribuito ad esso nella cultura neurotipica.
In altre parole, non guardare negli occhi non significa necessariamente mancanza di interesse, ma semplicemente un diverso modo di partecipare all’interazione.
La comunicazione, per chi è nello spettro autistico, può essere più focalizzata sui contenuti verbali, sui significati letterali o su altri segnali meno ambigui.
Lo sguardo non è sempre vissuto come un elemento fondamentale per stabilire connessione o per validare l’ascolto: la sua funzione sociale non è universale, e in contesti autistici può essere vista come accessoria o addirittura superflua.
In questo senso, molte persone autistiche ascoltano e comprendono perfettamente anche mentre guardano altrove, disegnano, camminano o sembrano distratte agli occhi di chi si aspetta uno scambio visivo costante.
Riconoscere queste differenze è fondamentale per evitare fraintendimenti e per rispettare le modalità comunicative di ciascuno.
Il contatto visivo, nel caso del disturbo dello spettro dell’autismo, non può essere forzato né considerato un parametro universale di partecipazione o di rispetto: è piuttosto una delle tante espressioni della neurodiversità nel campo della comunicazione umana.
Senti che le difficoltà sociali ti isolano?
Se pensi di essere una persona AUTISTICA e hai difficoltà nella comunicazione e nelle interazioni sociali, una diagnosi può offrirti la comprensione necessaria per affrontare le tue sfide quotidiane. Vuoi avere più informazioni?
Hai il sospetto che l’ADHD ti stia influenzando la vita?
Se credi che l’ADHD possa limitarti, un percorso diagnostico ti aiuterà a ottenere chiarezza e a capire come affrontarlo al meglio.
Contatto Visivo nell’ADHD: non Guardare l’Interlocutore mentre parla è Segno di Disattenzione?
Nel caso del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, la mancanza di contatto visivo durante una conversazione risponde a dinamiche profondamente diverse rispetto a quelle dell’autismo.
Qui, infatti, distogliere lo sguardo dall’interlocutore non è legato a un disagio sensoriale o a una diversa attribuzione di significato allo sguardo, bensì a un’esigenza di autoregolazione attentiva.
Le persone ADHD, per mantenere attivo il focus mentale, spesso adottano strategie spontanee e apparentemente non collegate al compito principale della conversazione: tra queste, camminare avanti e indietro, muovere continuamente le mani, manipolare oggetti, tamburellare le dita o — appunto — evitare di fissare lo sguardo su un punto preciso, come il volto dell’interlocutore.
Questi comportamenti, che per chi osserva dall’esterno (soprattutto se neurotipico) possono apparire come segni di distrazione, disinteresse o mancanza di rispetto, sono in realtà forme di autoregolazione che aiutano la persona a restare mentalmente presente e attenta.
L’atto stesso di guardare qualcuno fisso negli occhi, in assenza di altri stimoli motori o sensoriali, può risultare poco stimolante per una mente che funziona secondo modalità di attivazione più elevate, e quindi può addirittura rendere più difficile seguire il filo del discorso.
In questo senso, la mancanza di contatto visivo non solo non è un segnale di disattenzione, ma può al contrario rappresentare un mezzo per sostenere l’attenzione e rimanere coinvolti nella conversazione.
Lo spostamento dello sguardo, il movimento del corpo o delle mani non interrompono il flusso dell’ascolto: lo accompagnano, lo sostengono e lo rendono possibile.
La sfida, in questo caso, è riuscire a riconoscere che le forme esteriori dell’attenzione non sempre coincidono con i suoi meccanismi interni, e che ciò che sembra “distrazione” può essere, nella realtà neurodivergente dell’ADHD, un modo efficace per rimanere presenti.
In generale, possiamo dire che questa discrepanza tra comportamento osservabile e intenzione reale può creare incomprensioni nelle interazioni tra persone neurodivergenti e neurotipiche.
Nel modello di comunicazione neurotipico, si dà per scontato che il contatto visivo sia un indicatore di attenzione e di rispetto e la sua assenza può essere interpretata come disattenzione e portare a chiedere frequentemente “ma mi stai ascoltando?”
L’ADHD ti sta mettendo alla prova ogni giorno?
Un trattamento mirato può aiutarti a gestire meglio i sintomi dell’ADHD, migliorando la tua qualità della vita e restituendoti il controllo delle tue azioni.
Ti senti bloccato nelle relazioni e nella comunicazione?
Con un percorso terapeutico adatto, puoi trovare strategie per migliorare le tue interazioni sociali e sentirti più a tuo agio nel mondo.