Il comfort food, nel contesto dell’autismo, può essere definito come quell’alimento che fornisce una risposta regolativa a livello sensoriale, emotivo e cognitivo.
Si tratta di cibi che vengono scelti, ricercati e spesso consumati in modo ricorrente da persone autistiche per il benessere e la prevedibilità che offrono.
Non si tratta semplicemente di “cibo che piace”, bensì di un vero e proprio meccanismo di autoregolazione interna che risponde a bisogni profondi.
I comfort food sono, a tutti gli effetti, un pilastro dell’alimentazione autistica, eppure — paradossalmente — sono spesso trascurati quando si affrontano i temi nutrizionali in ambito neurodivergente.
In diversi articoli di questo blog abbiamo già affrontato il tema della selettività alimentare e dell’ ARFID nell’autismo, un argomento ampiamente discusso e, talvolta, anche patologizzato in modo semplicistico.
Abbiamo raccontato come la selettività alimentare nello spettro autistico non sia una “fissazione” o una “maniera infantile di mangiare”, ma una strategia adattativa coerente con le differenze sensoriali e cognitive che caratterizzano molte persone autistiche.
Ma, se da un lato ci siamo soffermati su ciò che “disturba” o “interrompe” il rapporto col cibo, abbiamo parlato poco — fin troppo poco — di ciò che invece lo sostiene, lo costruisce, lo rende possibile.
E qui entrano in scena i comfort food.
Parlare di comfort food nell’autismo non significa ridurre l’alimentazione a un elenco di cibi preferiti.
Significa invece riconoscere che esistono alimenti che fungono da ancoraggio, da rifugio, da codice sicuro attraverso cui relazionarsi con il mondo esterno, e che per molte persone autistiche sono un punto di equilibrio.
Sono cibi che portano con sé un significato affettivo, ma anche sensoriale, e che spesso diventano parte integrante della routine, della gestione dell’ansia, del recupero dopo sovraccarichi cognitivi o emotivi.
Il comfort food può diventare un modo per riequilibrare i livelli di stimolazione, per riprendere controllo, per sentirsi al sicuro in un ambiente che troppo spesso è imprevedibile, invadente, disorganizzato.
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Come Vengono scelti i “Comfort Food” dalle Persone Autistiche?
Come già accennato, la selettività alimentare è una delle caratteristiche alimentari più frequentemente osservate nel disturbo dello spettro autistico e si manifesta attraverso una preferenza marcata per un numero limitato di alimenti, spesso scelti sulla base di criteri estremamente precisi e coerenti.
Il repertorio alimentare ristretto che ne deriva costituisce di per sé una sorta di “zona sicura”, una zona di comfort dentro la quale la persona autistica può muoversi senza il rischio di essere sopraffatta da stimoli ingestibili.
In questo insieme di alimenti relativamente stabili e prevedibili si colloca la scelta del comfort food, che però, tra tutti, si distingue per un valore ancora più regolativo, rassicurante e profondamente soggettivo.
La selezione di un comfort food, infatti, non è solo il risultato di una preferenza gustativa, ma nasce quasi sempre da una combinazione precisa di caratteristiche sensoriali che fanno sì che quell’alimento venga vissuto come profondamente sicuro, riconoscibile e calmante.
Alcune delle caratteristiche principali che guidano la scelta del comfort food riguardano fattori come:
- Consistenza: la texture dell’alimento è spesso l’elemento decisivo. Morbido, croccante, cremoso, gommoso, liscio, granuloso… ogni persona ha la propria soglia sensoriale e la propria preferenza. Un alimento troppo fibroso, troppo viscoso o troppo irregolare può risultare sgradevole o addirittura intollerabile. Il comfort food ha sempre una consistenza “giusta” per chi lo sceglie.
- Temperatura: freddo, tiepido, caldo ma non bollente. La temperatura contribuisce al senso di prevedibilità e regola anche il livello di stimolazione sensoriale. Alcuni alimenti vengono consumati solo se riscaldati in un certo modo, altri solo a temperatura ambiente o refrigerati. Cambiare temperatura può significare stravolgere l’identità stessa dell’alimento.
- Forma: la forma geometrica, la dimensione dei pezzi, il modo in cui il cibo si presenta nel piatto sono elementi centrali. Alcune persone prediligono cibi perfettamente simmetrici, altri hanno bisogno di forme piccole, regolari o che si possano manipolare facilmente. La forma è spesso associata a un senso di ordine e controllo.
- Colore: per alcune persone il colore è fondamentale. Non si tratta di una questione estetica, ma di un vero e proprio filtro sensoriale. I colori troppo accesi, le mescolanze cromatiche non prevedibili, i toni opachi o “sporchi” possono rendere un alimento inaccettabile. Il comfort food ha quasi sempre un colore chiaro, familiare, uniforme, mai sorprendente.
- Prevedibilità sensoriale: un comfort food deve essere prevedibile in ogni sua componente. La persona deve sapere esattamente come sarà il morso, quale sarà la reazione del proprio corpo, quale sarà il profumo, la sensazione sulla lingua, la risposta del palato. Anche minime variazioni possono compromettere l’effetto di sicurezza che quell’alimento deve garantire.
Naturalmente, accanto a questi aspetti sensoriali, esiste anche una componente esperienziale che gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di un comfort food.
Molti alimenti diventano tali non solo per come sono fatti, ma per quello che rappresentano, per le associazioni emotive e cognitive che evocano.
In molti casi, un comfort food è un alimento che accompagna la persona fin dall’infanzia, che è stato parte di momenti di calma, di protezione, di relazioni significative e permane nel proprio autismo da adulti.
È il cibo che veniva preparato a casa in modo sempre uguale, quello che si consumava ogni sera dopo la scuola, quello che veniva offerto nei momenti difficili, quello che semplicemente “ha sempre funzionato”.
In questi casi, il comfort food diventa un vero e proprio archivio affettivo, un ponte tra passato e presente, tra interno e esterno.
Ma non è sempre così lineare. Talvolta il comfort food emerge da esperienze molto specifiche e anche molto recenti.
Ad esempio, può accadere che, in una giornata di forte sovraccarico emotivo o cognitivo, segnata da un episodio meltdown o di shutdown o da un’intensa ansia sociale, la persona consumi un certo alimento che, per una fortunata coincidenza sensoriale ed emotiva, produce un senso immediato di sollievo, contenimento, stabilità.
Quell’alimento, da quel momento in poi, può diventare un riferimento, una risposta condizionata a uno stato interno.
Si tratta di un’associazione spontanea, una forma di apprendimento per stimolo-risposta che può essere tanto efficace quanto duratura.
Altre volte, invece, il comfort food cambia nel corso della vita: ciò che funzionava da bambini può non essere più accessibile, o può essere sostituito da nuove scoperte sensoriali; oppure possono esserci più comfort food per momenti diversi, stati emotivi diversi, contesti diversi.
In ogni caso, la scelta del comfort food non è mai casuale, né è solo una questione di “preferenza” bensì un processo sofisticato, profondamente radicato nella percezione sensoriale e nella memoria emotiva.
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