Lo sport può diventare un terreno fertile per lo sviluppo e il mantenimento di disturbi del comportamento alimentare.
Nella percezione comune, è sinonimo di salute, equilibrio e benessere: è legato al movimento, alla cura di sé, alla disciplina, alla possibilità di sentirsi più forti e in armonia con il proprio corpo. È un’attività che può trasmettere valori positivi come l’impegno, la resilienza e la capacità di lavorare in gruppo.
Tuttavia, come spesso accade, esiste anche un lato meno luminoso.
In un ambiente in cui il corpo è continuamente sotto osservazione e in cui la prestazione dipende anche dal peso, dalla resistenza o dalla forma fisica, è facile che l’attenzione all’alimentazione e all’aspetto si trasformi in ossessione.
Questo non significa che lo sport “faccia male”, ma che in soggetti predisposti, con fragilità legate all’autostima o al bisogno di controllo, l’attività sportiva possa trasformarsi da risorsa in rischio.
Sport e disturbi del comportamento alimentare: tra benessere e rischio
Lo sport possiede una serie di caratteristiche che, pur positive in apparenza, possono trasformarsi in fattori di rischio nei soggetti vulnerabili.
In particolare:
- Il controllo del peso come variabile di successo; in molti sport, il peso corporeo viene percepito come una componente determinante per la prestazione. Che si tratti di sport di resistenza, dove “essere più leggeri” significa correre più velocemente, o di discipline estetiche, in cui il corpo è anche oggetto di valutazione visiva, il rischio è che l’atleta sviluppi un rapporto ossessivo con la bilancia. La ricerca costante di un peso ideale spinge a controlli calorici rigidi, diete restrittive, salti dei pasti o uso improprio di strategie per perdere chili rapidamente.
- La spinta al perfezionismo e alla prestazione: lo sport allena al miglioramento continuo, all’autodisciplina, al superamento dei limiti. Questi valori, di per sé, sono altamente formativi. Tuttavia, per personalità perfezioniste, questo meccanismo può diventare distruttivo: non ci si accontenta mai, non si è mai abbastanza magri, veloci, forti o eleganti. La prestazione e il corpo diventano l’unico metro di giudizio del proprio valore, e qualsiasi deviazione da quell’ideale viene percepita come fallimento.
- Il corpo come strumento e come identità: in ambito sportivo il corpo non è solo un mezzo per muoversi: è lo strumento centrale con cui si comunica e ci si misura. Per chi è predisposto a fragilità psicologiche, questo porta a identificarsi completamente con il proprio aspetto o con la propria performance. Se il corpo è l’unico strumento di riconoscimento sociale, ogni variazione di peso o forma diventa un problema esistenziale.
- L’allenamento come ossessione: lo sport educa alla costanza, al sacrificio e alla disciplina. Ma quando questi valori scivolano nell’eccesso, l’allenamento può trasformarsi in una vera e propria ossessione. Si arriva a non rispettare mai i giorni di riposo, a sentirsi in colpa se non ci si allena, a usare l’esercizio come forma di compensazione per ciò che si è mangiato. In questo modo, l’attività sportiva non è più al servizio del benessere, ma diventa una prigione che rinforza comportamenti disfunzionali.
- La pressione esterna: allenatori, compagni di squadra, giudici, pubblico: lo sport è un contesto in cui la performance non è mai soltanto individuale. A volte commenti sull’aspetto fisico o pressioni a “stare in forma” possono avere un peso enorme su chi già è vulnerabile. Basta poco per innescare meccanismi di colpa, vergogna e bisogno di controllo.
In quali ambienti sportivi sono più comuni i disturbi alimentari?
Non tutti gli sport comportano lo stesso livello di rischio.
Alcune discipline, per la loro struttura e per le richieste intrinseche, sono più spesso associate all’insorgenza di DCA.
Nello specifico:
- Ginnastica artistica e ritmica: in queste discipline l’estetica del corpo gioca un ruolo fondamentale: leggerezza, agilità e proporzioni fisiche sono valutate tanto quanto la tecnica. Le ginnaste, spesso molto giovani, si trovano a crescere in un ambiente in cui il corpo è costantemente sotto osservazione. La spinta alla magrezza estrema può diventare parte integrante della cultura sportiva, alimentando restrizioni alimentari e insoddisfazione corporea.
- Danza classica e danza sportiva: la danza, soprattutto il balletto classico, richiede un corpo slanciato, lineare, “pulito” dal punto di vista estetico. L’uniformità del corpo dei ballerini e delle ballerine diventa un parametro di valutazione, e chi non rientra in quei canoni rischia di sentirsi escluso. Le ore di allenamento intenso, unite a regimi alimentari rigidi, possono facilmente scivolare in condotte alimentari patologiche.
- Pattinaggio artistico e nuoto sincronizzato: sono sport estetici, in cui la performance tecnica si intreccia con l’eleganza e l’armonia del corpo. Gli atleti sanno che, oltre all’esercizio, saranno valutati per l’aspetto e la forma fisica. Questo porta a un’attenzione esasperata al peso, spesso mantenuto al di sotto della media.
- Atletica leggera e sport di resistenza: corsa, ciclismo, sci di fondo: in queste discipline il peso corporeo influisce direttamente sulla performance. Essere più leggeri significa avere maggiore velocità o resistenza. Per molti atleti la bilancia diventa un alleato quotidiano, e il rischio è che il controllo del peso diventi più importante della salute stessa.
- Sport da combattimento e a categorie di peso: arti marziali, lotta, boxe: qui la pressione nasce dall’obbligo di rientrare in una determinata categoria di peso. Spesso, per raggiungere il peso richiesto, si ricorre a strategie drastiche e dannose, come digiuni prolungati, disidratazione forzata o pratiche estreme di compensazione. Nel lungo periodo, queste abitudini possono sfociare in disturbi alimentari veri e propri.
- Bodybuilding e fitness agonistico: in queste discipline, l’obiettivo è avere un corpo scolpito, definito, con bassissima percentuale di grasso. Gli atleti alternano periodi di restrizione calorica estrema a fasi di “bulk” con grandi quantità di cibo. La relazione con l’alimentazione diventa ciclica, ossessiva, e spesso si accompagna a una percezione corporea distorta.
Lo sport resta un’esperienza potenzialmente straordinaria, capace di arricchire la vita delle persone e di trasmettere valori importanti.
Tuttavia, non si può ignorare che per alcuni soggetti rappresenta anche un ambiente ad alto rischio per lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare.
E quando parliamo di disturbi alimentari, non ci riferiamo esclusivamente all’anoressia nervosa, che nell’immaginario collettivo è forse il disturbo più conosciuto e più facilmente associato all’ambito sportivo, ma anche alla bulimia nervosa e ad altri quadri clinici meno diffusi ma ugualmente significativi.
Comprendere questi meccanismi, riconoscere i segnali di allarme e favorire una cultura sportiva più attenta alla salute globale della persona è essenziale.
Se noti in te stesso o in qualcuno a te vicino segnali che rimandano a un rapporto disfunzionale con il cibo o con il corpo, è importante non sottovalutarli.
Rivolgersi a professionisti esperti in disturbi del comportamento alimentare, come quelli della clinica specializzata in DCA GAM-Medical, è il primo passo per affrontare il problema in modo serio e ritrovare un equilibrio sano tra sport, corpo e benessere psicologico.