Le persone depresse, sono egoiste?

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depressione ed egoismo: le persone depresse, sono egoiste?

“Le persone depresse sono egoiste?” È una domanda che nasce spesso da ciò che sembra dall’esterno: chi è depresso può apparire pigro, viziato, intollerante, piagnucolone, lamentoso… ed egoista.

In realtà, molte manifestazioni della depressione (calo di energia, ritiro sociale, difficoltà decisionali, mente affollata di pensieri negativi) possono mimetizzarsi da indifferenza o centratura su di sé pur non essendo mosse da disinteresse verso gli altri.

Prima di esplorare il legame tra depressione ed egoismo, è utile chiarire di cosa parliamo quando diciamo “egoismo”.

Cos’è l’egoismo?

Per egoismo intendiamo un orientamento stabile delle scelte volto a privilegiare il proprio interesse anche quando questo comporta un costo evidente per gli altri: trascurare bisogni altrui, non assumersi responsabilità condivise, usare le relazioni in modo strumentale, cercare vantaggi personali senza curarsi dell’impatto.

Non è però un’etichetta “tutto o nulla”: esiste un continuum che va dall’autotutela sana (mettere confini, dire di no, prendersi cura dei propri limiti) fino a forme rigide e opportunistiche in cui l’altro diventa solo un mezzo.

In breve: avere cura di sé non è egoismo; l’egoismo sorge quando il tornaconto personale prevale sistematicamente sul rispetto dell’altro.

Le persone depresse, sono davvero egoiste?

Si può dunque dire che le persone depresse siano egoiste?

Sì e no, e va spiegato bene.

Non nel senso morale del termine “me ne frego degli altri” ma nel senso che la depressione può generare comportamenti che, all’esterno, risultano effettivamente egoistici.

Qui sta il punto apparentemente controintuitivo: è un po’ come quando si dice “la persona depressa è pigra” e giustamente si obietta “non è pigra, è malata”.

Certo che è malata: chi è depresso soffre, ha energie ridotte, attenzione ristretta dal dolore psichico, pensiero rallentato o ruminante, fatica nel provare piacere e speranza.

Proprio questi meccanismi, però, spingono a salvaguardare il poco che resta (tempo, forze, spazio mentale) e a minimizzare qualunque ulteriore carico: significa rimandare, evitare, chiudersi, pretendere “scorciatoie” di sollievo, chiedere senza riuscire a ricambiare.

Letti dall’esterno, questi atti reincarnano la definizione operativa di egoismo che abbiamo dato: un “orientamento stabile delle scelte volto a privilegiare il proprio interesse anche quando questo comporta un costo evidente per gli altri: trascurare bisogni altrui, non assumersi responsabilità condivise, usare le relazioni in modo strumentale, cercare vantaggi personali senza curarsi dell’impatto”.

La differenza cruciale è l’origine: non una scelta cinica, ma l’esito di una malattia che restringe la prospettiva e rende la sopravvivenza emotiva una priorità non negoziabile.

Per questo non ha senso opporre “depressione ≠ egoismo” come se fossero concetti antitetici: è più accurato dire che alcuni comportamenti egoistici possono essere una conseguenza della depressione, non la sua causa né la sua “colpa”.

Perché le persone depresse sono egoiste?

Come già accennato, non è l’etica a “rendere egoista” la persona depressa, ma l’effetto dello stato depressivo su energia, attenzione, motivazione ed equilibrio relazionale.

La mente, stretta dal dolore, tende a conservare risorse e a tagliare tutto ciò che costa: dall’esterno questo appare come centratura su di sé. Più in dettaglio:

  • Batterie scariche e rallentamento mentale: la stanchezza profonda e la fatica a concentrarsi spingono a scegliere ciò che pesa meno: si rimandano impegni, si dicono più “no”, si evita il superfluo. A chi guarda può sembrare indifferenza verso gli altri; in realtà è risparmio di sopravvivenza.
  • Anedonia e ricompensa “spenta”: le quasi nulla dà piacere o sollievo, anche i gesti prosociali perdono spinta. La persona taglia attività che un tempo nutrivano (uscite, favori, partecipazione) perché non restituiscono energia: da fuori può sembrare freddezza, dentro è auto-tutela.
  • Ruminazione: l’attenzione risucchiata dal dolore: la mente rimugina su colpa, fallimenti, catastrofi possibili. Questo “tunnel attentivo” riduce la capacità di decentrarsi sull’altro: non è scelta cinica, è campo visivo ristretto.
  • Funzioni esecutive in affanno: pianificare, ricordare, iniziare e portare a termine i compiti costa moltissimo. Saltano promesse, commissioni e responsabilità condivise: agli altri arriva “pensa solo a sé”, ma spesso è incapacità momentanea, non menefreghismo.
  • Ritiro sociale ed empatia a intermittenza: per proteggersi, ci si isola. Sotto stress emotivo la sensibilità verso l’altro può calare: si risponde tardi, si è meno presenti, si fraintendono i bisogni altrui. Non è sfruttamento, è ridotta disponibilità.
  • Sonno disturbato, irritabilità, pessimismo: dormire male e aspettarsi il peggio abbassano la soglia di tolleranza: ci si chiude, si difendono spazi e tempi, si ha poca pazienza per gli imprevisti. Anche questo può sembrare egoismo.
  • Ricerca di scorciatoie di sollievo: quando si soffre, si cercano vie rapide per far calare il dolore (evitare conversazioni difficili, chiedere aiuto senza riuscire a ricambiare, pretendere accomodamenti). Il fine non è approfittare: è stare a galla.
  • Vergogna e paura del giudizio: sentirsi “di peso” porta a evitare richieste, confronti, scuse. Paradossalmente, l’evitamento protegge dall’umiliazione ma fa male alle relazioni, facendo apparire la persona centrata solo su se stessa.

Quindi: la depressione stringe il campo e spinge a preservare il poco che resta.

Il risultato può assomigliare alla comune definizione operativa di egoismo (privilegiare stabilmente il proprio interesse anche a costo degli altri), ma se ne differenzia per origine e intenzione: non un orientamento opportunistico, bensì l’esito di una malattia che riduce risorse interne e margine di scelta.

La chiave clinica è riconoscere questo meccanismo, così da proteggere chi soffre e allo stesso tempo proteggere le relazioni con confini chiari e aiuti concreti.

Un’altra caratteristica dolorosa della depressione è il senso di colpa.

Ci si può sentire egoisti e, a volte, sentirselo dire da chi abbiamo intorno: “pensi solo a te”, “non ci sei mai”, “non ti importa”.

È una trappola crudele: sappiamo che il senso di colpa può corrodere, togliere dignità e speranza; e nello stesso tempo, chi è depresso spesso non riesce a fare diversamente.

Così nasce un circolo vizioso: più mi sento in colpa, più mi nascondo; più mi nascondo, più sembro egoista; più sembro egoista, più cresce il senso di colpa.

Il punto non è assolversi o accusarsi, ma riconoscere il meccanismo per spezzarlo con strumenti adeguati.

Noi di GAM-Medical, centro specializzato nella diagnosi e nel trattamento della depressione, conosciamo bene questi pattern.

Li vediamo ogni giorno in persone che amano profondamente i propri affetti e che, nonostante questo, si ritrovano intrappolate in comportamenti che non li rappresentano.

Il nostro lavoro è aiutare a dare un nome a ciò che accade, ridurre il peso del senso di colpa e ricostruire margini di scelta: psicoeducazione chiara, attivazione comportamentale graduale, lavoro sui pensieri auto-accusatori, allenamento all’empatia (verso sé e verso l’altro), supporto alle famiglie e, quando indicato, valutazione integrata con il medico per le opzioni farmacologiche.

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Depressione, Psicologia generale

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