Per molte persone affette da Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), spiegare ciò che provano internamente è forse una delle fatiche più grandi della propria vita.
A differenza di ciò che spesso viene rappresentato nei film o semplificato nella cultura popolare — ossessioni legate alla pulizia, alla paura dei germi, o a rituali visibili come lavarsi le mani — esiste una forma molto più sottile, quasi invisibile, di disagio: quella che nasce da una sensazione interna disturbante, difficile da nominare, una percezione acuta e profonda che qualcosa non è come dovrebbe essere, anche se nessun pericolo reale è presente.
Questa sensazione è quella che in psicologia viene definita come “Not Just Right Experience”, o NJRE.
Chi vive questa esperienza spesso non ha parole precise per descriverla. Non si tratta di un pensiero ben definito come “ho paura che accada qualcosa di brutto”, né di un impulso a correggere qualcosa per evitare una conseguenza negativa immediata.
Piuttosto, si tratta di una scomodità interiore, un senso di disallineamento che si insinua nella mente e nel corpo, che pesa sull’attenzione, che distrae, irrita e, alla lunga, consuma.
È come se il mondo, o l’interno della persona stessa, fosse “fuori asse”, “spostato di qualche grado”, “stonato”. Alcuni lo descrivono come una stonatura mentale o emotiva, altri come una tensione crescente che può trovare sollievo solo attraverso l’azione — ma non un’azione motivata dalla logica, bensì dalla sensazione stessa che richiede di essere “sistemata”.
La particolarità di questa esperienza è che non si appoggia sempre su pensieri consapevoli, su immagini o paure definite.
Non è guidata da una narrazione cognitiva chiara, bensì da una sensazione affettiva e percettiva, quasi fisica a volte.
Per questo, molti DOC si trovano in grande difficoltà quando cercano di spiegarla agli altri — persino ai terapeuti.
Come si può descrivere il fatto che “qualcosa non è giusto”, quando non si sa nemmeno cosa quel “qualcosa” sia? Come si può spiegare che una frase va riscritta, non perché contiene un errore, ma perché non “suona bene”? Come far capire che un oggetto va spostato, non per paura che accada qualcosa, ma perché “non sta bene lì”?
Per chi soffre di DOC, questa difficoltà espressiva genera frustrazione, senso di isolamento, incomprensione. A volte le persone attorno a loro liquidano queste sensazioni come “manie”, “capricci”, “perfezionismo esagerato”. Ma ciò che si prova è molto più profondo, più radicato.
Non è solo una questione estetica o di ordine esterno: è una percezione interna di disordine, una disonanza tra il mondo così com’è e il mondo come dovrebbe “sentirsi”, che può spingere la persona a ripetere gesti, rivedere azioni, riscrivere parole, sistemare oggetti o movimenti finché quella sensazione scompare — o si attenua.
Questa esperienza, purtroppo, non ha un linguaggio condiviso nella società, e per molto tempo non ha avuto nemmeno una collocazione chiara nel mondo clinico.
È solo negli ultimi decenni che la ricerca psicologica ha cominciato a riconoscere l’importanza delle NJREs come motore primario di molti comportamenti compulsivi.
Si è capito che non tutte le compulsioni nascono dalla paura che accada qualcosa di terribile; molte nascono invece da un bisogno quasi viscerale di regolare un disequilibrio interiore, di ricreare una sensazione di armonia, allineamento o “chiusura percettiva”.
Eppure, malgrado i progressi della psicologia clinica, questa dimensione del DOC rimane tra le più difficili da verbalizzare, da trasmettere, da far comprendere agli altri.
Chi ne soffre spesso vive una doppia sofferenza: quella dell’esperienza in sé e quella del non poterla spiegare.
È come essere prigionieri di un linguaggio che non esiste, di un disagio che nessuno vede, di una tensione che non trova sbocco se non in gesti ripetitivi e spesso incomprensibili per chi sta attorno.
Nelle prossime righe capiremo quali sono le caratteristiche del Not Just Right Experience (NJRE) nel DOC.
Caratteristiche del Not Just Right Experience (NJRE) nel DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo)
Tra le principali caratteristiche della Not Just Right Experience (NJRE) nel DOC riguardano:
- Sensazione percettiva disturbante: le NJREs si manifestano prima di tutto come una sensazione soggettiva di disagio, che non sempre si accompagna a un pensiero razionale o a una paura definita. La persona non dice “succederà qualcosa di brutto” se non faccio una determinata azione, ma avverte piuttosto un’impressione persistente che qualcosa non sia nella posizione giusta, non abbia la forma corretta o non sia stato fatto nel modo in cui “dovrebbe” essere fatto. È una sensazione intima, viscerale, spesso difficilmente verbalizzabile, che nasce da una dissonanza interna tra la percezione del mondo (o del proprio corpo, delle proprie azioni, delle proprie parole) e l’idea — a volte neppure formulata — di come tutto dovrebbe essere. L’informazione che giunge al cervello non è: “C’è un errore oggettivo”, bensì: “Non va bene così, non è giusto così”, e questo basta a innescare un senso di irritazione crescente, di tensione mentale, che può diventare insopportabile se non viene risolta in qualche modo.
- Compulsione alla correzione: a differenza delle compulsioni motivate dalla paura di un danno concreto (come lavarsi per evitare i germi), nelle NJREs le compulsioni servono a calmare o annullare una tensione sensoriale o percettiva. La persona sente che deve “sistemare” o “ripetere” un’azione, un gesto, una parola o una disposizione di oggetti non perché crede che ci sarà una conseguenza catastrofica, ma perché altrimenti la sensazione disturbante non passa. È un bisogno che si impone nonostante il soggetto riconosca razionalmente che l’azione non ha senso, ma non riesce a resistere perché la dissonanza non è sopportabile. Questo tipo di compulsione è profondamente radicato nella regolazione emotiva corporea: un’azione viene ripetuta perché non “sente giusta”, e la ripetizione serve a ristabilire un equilibrio. Questo porta a gesti rituali, duplicati, iterazioni infinite che spesso sfuggono al controllo della volontà e che, a volte, diventano parte fissa della quotidianità, assorbendo energia e tempo.
- Assenza di motivazione razionale esplicita: una delle caratteristiche che rende le NJREs così difficili da comprendere, sia per il soggetto che per le persone intorno, è la mancanza di una motivazione narrativa o cognitiva forte. Non c’è una vera “storia” dietro l’azione ossessiva, non c’è una paura che si può spiegare con parole semplici come “ho paura che succeda X”. La persona può anche tentare di trovare una spiegazione a posteriori, ma il nucleo dell’esperienza rimane preverbale, impressionistico, quasi fisico. Si tratta di una disfunzione del senso del “giusto” e del “completo”, non in senso morale ma sensoriale. La difficoltà sta nel fatto che la persona, pur sapendo che non c’è una minaccia reale, non riesce a liberarsi dalla sensazione disturbante se non attraverso l’azione correttiva, spesso attuata più per silenziare il corpo e la mente che per prevenire un evento.
- Difficoltà di tollerare l’imperfezione soggettiva: le NJREs rivelano una estrema intolleranza alla dissonanza interna. Non si tratta solo di perfezionismo in senso sociale (“voglio che gli altri vedano che faccio le cose bene”), ma di un perfezionismo interiore, che non risponde a parametri oggettivi bensì a un criterio soggettivo ed emotivo che cambia di volta in volta, e che spesso è inafferrabile. Una persona con NJREs può riscrivere dieci volte una frase non perché ci sia un errore grammaticale, ma perché “non suona bene”, e magari non sa spiegare il perché. Questo tipo di tensione può estendersi anche ai movimenti del corpo (rifare un gesto finché non “scorre bene”), alla comunicazione (ripetere una frase finché non ha il ritmo giusto), alla disposizione degli oggetti (mettere in ordine non per estetica, ma per sentire che è armonico). L’imperfezione vissuta interiormente è così intollerabile che anche piccole dissonanze generano disagio simile a un prurito invisibile, una pressione costante da annullare.
- Incapacità di ignorare la sensazione disturbante: una caratteristica cruciale delle NJREs è che non possono essere ignorate con un atto di volontà. Anche se la persona razionalmente sa che “non è niente”, che “non succede nulla”, che può tranquillamente lasciare il quadro leggermente storto, il fastidio che ne deriva è tale da impedirle di concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Questa intrusività della sensazione fa sì che tutto il resto venga sospeso finché non si è ristabilito un certo equilibrio, anche momentaneo. La mente sembra “bloccarsi” sul punto dissonante e rifiuta di proseguire finché quel nodo non viene sciolto. Questo può diventare particolarmente invalidante nella vita quotidiana: una persona può impiegare ore a scrivere una mail perché deve continuamente tornare indietro, modificare, correggere, leggere ad alta voce, finché non arriva (forse) a un punto di “chiusura”. Ma anche allora, la certezza non è mai definitiva: l’impressione che qualcosa “non vada” può tornare da un momento all’altro, anche se tutto è apparentemente perfetto.
- Rigidità del sistema di controllo percettivo: le NJREs rivelano una particolare iperattività nei sistemi di monitoraggio interno. Si potrebbe dire che il cervello della persona con NJREs è costantemente alla ricerca di errori o asimmetrie, e registra come “errato” ciò che per altri è semplicemente normale. Questa ipervigilanza si accompagna a una difficoltà nel “lasciar andare” — una delle funzioni psicologiche più importanti nella vita quotidiana. Le persone con NJREs non riescono a lasciar correre piccole imperfezioni, non perché siano maniacali o eccessivamente rigide per scelta, ma perché loro non sentono quello che sentono gli altri: sentono di più, in modo diverso, in modo più viscerale. È come se i loro strumenti percettivi fossero tarati su una soglia di sensibilità molto più bassa, che intercetta ogni microscopica discrepanza e la trasforma in un macigno. Questo sistema di controllo diventa quindi una trappola che perpetua la compulsione, perché anche quando l’azione è compiuta, il sistema continua a segnalare “errore”, generando ulteriori correzioni, ripetizioni, aggiustamenti.
Se ti sei riconosciuto nelle descrizioni di questo testo, se vivi spesso quella sensazione di scomodità sottile ma persistente, quel disagio che non riesci a spiegare ma che ti costringe a ripetere, correggere o sistemare finché “non senti che va bene”, allora potrebbe essere il momento di chiedere aiuto.
Questa particolare forma di malessere interiore — quella sensazione disturbante di non allineamento, anche in assenza di pericoli reali o ragioni apparenti — è uno dei sintomi tipici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Non si tratta di una stranezza o di una debolezza personale, ma di un fenomeno clinicamente riconosciuto, che può essere compreso, affrontato e curato con l’aiuto giusto.
Presso il Centro Psicologico GAM-Medical, puoi trovare una rete di specialisti esperti nel trattamento del DOC, incluse le sue manifestazioni meno note come le Not Just Right Experiences.
Il centro offre percorsi personalizzati, basati su approcci scientificamente validati come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), l’ERP (Exposure and Response Prevention) e altri modelli terapeutici di ultima generazione specifici per il DOC.