Le persone che soffrono di ansia tendono frequentemente a manifestare una particolare propensione a rivolgere l’attenzione verso l’interno, prestando un’osservazione continua e amplificata ai segnali provenienti dal proprio corpo.
Tale condizione prende il nome di ipervigilanza interocettiva, ed è una caratteristica ben documentata nei quadri clinici legati all’ansia.
Pensiamola così: se in condizioni normali il cervello filtra e regola la percezione degli stimoli corporei in base alla loro rilevanza, nelle persone ansiose questo filtro risulta alterato: ciò che per altri passerebbe inosservato viene percepito in maniera inequivocabile.
Parliamo di una lieve accelerazione del battito cardiaco, di un attimo di capogiro o abbassamento di pressione, di un’alterazione minima del ritmo del respiro.
Nelle prossime righe capiremo cos’è esattamente l’interocezione ma soprattutto come funziona l’ipervigilanza interocettiva e perchè si manifesta.

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Cos’è l’Interocezione?
L’interocezione (o enterocezione) è il processo attraverso cui il cervello rileva, interpreta e integra i segnali provenienti dall’interno del corpo, permettendoci di avere una consapevolezza diretta dei nostri stati fisiologici.
Si tratta di un sistema percettivo fondamentale che ci informa su sensazioni viscerali e corporee come:
- il battito cardiaco
- la respirazione
- la fame e la sete
- la temperatura corporea
- il dolore viscerale
- la tensione muscolare
- la distensione o il gonfiore addominale
- il bisogno di urinare o defecare
L’interocezione svolge un ruolo essenziale nella regolazione dell’equilibrio interno dell’organismo (omeostasi), ma anche nella costruzione della coscienza corporea e del senso di sé.
Quando senti “di avere il cuore in gola” per l’emozione, o quando percepisci la sete come uno stimolo interiore, stai attingendo all’interocezione.
È un sistema che opera spesso in modo implicito ma che può diventare consapevole in alcune condizioni, specie nei disturbi d’ansia, nei disturbi alimentari e nei disturbi psicosomatici.
In condizioni fisiologiche, l’interocezione consente un’adeguata autoregolazione emotiva e comportamentale: ad esempio, ci spinge a bere quando abbiamo sete o a riposarci quando ci sentiamo affaticati. Tuttavia, nei contesti psicopatologici può essere alterata in due direzioni:
- Ridotta: la persona non percepisce chiaramente i segnali corporei (es. in alcune forme di depressione e spesso nell’autismo).
- Aumentata/distorta: la persona percepisce troppo intensamente o interpreta in modo allarmistico i segnali corporei (es. nei disturbi d’ansia, nei disturbi da sintomi somatici o nel DOC).
Quindi possiamo dire che l’interocezione è la “voce” del corpo nella mente, un canale percettivo che ci permette di sentire ciò che accade dentro di noi e di reagire in modo coerente con i nostri bisogni fisiologici ed emotivi.
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Ipervigilanza Interocettiva nell’Ansia
Come già accennato nella sezione introduttiva, l’ipervigilanza interocettiva può essere descritta come uno stato costante di allerta rivolto verso i segnali interni dell’organismo.
Questo meccanismo è estremamente frequente nei disturbi d’ansia supportato da un’alterazione del sistema di attenzione interocettiva, che nei soggetti ansiosi si presenta come sbilanciato verso un’iperattivazione.
In altre parole, il sistema nervoso centrale di queste persone attribuisce un peso eccessivo ai segnali provenienti dall’interno, contribuendo alla loro intensificazione soggettiva e spesso anche oggettiva.
Spesso, alla base dell’ipervigilanza interocettiva si trova frequentemente una storia pregressa di attacchi di panico, che agisce come un vero e proprio evento traumatico sul piano corporeo.
Gli attacchi di panico sono episodi di intensa paura improvvisa accompagnati da una cascata di sensazioni fisiche estreme: tachicardia, difficoltà respiratorie, vertigini, tremori, sudorazione, senso di irrealtà o di perdita di controllo.
Quando una persona sperimenta uno o più di questi episodi, tende a memorizzare in modo rigido e sensibile le sensazioni corporee che li hanno accompagnati.
Questo avviene perché il corpo e il cervello, nel tentativo di evitare il ripetersi dell’esperienza, entrano in una modalità di sorveglianza permanente: si attiva cioè un meccanismo di controllo continuo volto a individuare tempestivamente anche il più piccolo segnale che possa somigliare a quelli vissuti durante un attacco precedente.
Di conseguenza, l’organismo sviluppa una sorta di allarme condizionato: non è più necessario un evento esterno minaccioso per generare ansia, basta una variazione interna minima — un respiro più corto, una palpitazione improvvisa — per far scattare il panico.
Il problema dell’ipervigilanza interocettiva, infatti, non riguarda soltanto un’iper-percezione dei segnali corporei, ma anche — e forse soprattutto — una iper-interpretazione catastrofica di questi segnali.
Non si tratta semplicemente di “sentire di più”, ma di temere di più ciò che si sente.
La mente ansiosa tende a monitorare costantemente il corpo alla ricerca di indizi che confermino un’ipotesi catastrofica, rafforzando così un circolo vizioso in cui l’attenzione selettiva verso sensazioni fisiche produce un aumento dell’ansia, che a sua volta intensifica la percezione di quelle stesse sensazioni.
In altre parole, alla base di questa dinamica vi è una tendenza cognitiva alla catastrofizzazione: ogni piccolo segnale viene interpretato come il possibile indizio di qualcosa di grave, imminente o ingestibile.
Un battito cardiaco più veloce viene scambiato per un infarto in arrivo, una testa leggera per un imminente svenimento, una sensazione di calore per un collasso.
L’ipervigilanza interocettiva, quindi, è doppiamente insidiosa: da un lato amplifica l’ascolto delle sensazioni corporee, dall’altro deforma il loro significato, guidando l’esperienza attraverso una lente distorta, in cui ogni segnale diventa il presagio di un pericolo.
Questo meccanismo interpretativo non si limita a generare ansia, ma la moltiplica, creando un ciclo autoalimentato: la percezione del sintomo induce paura, la paura intensifica il sintomo, e il sintomo rafforzato conferma la minaccia temuta.
Alcuni esempi concreti di ipervigilanza interocettiva riguardano:
- Sento il cuore battere forte e penso subito a un infarto: dopo uno sforzo anche minimo come salire le scale o camminare a passo veloce, una persona ansiosa avverte l’aumento fisiologico del battito cardiaco, ma non riesce a ricondurlo a una spiegazione razionale. Inizia a monitorarlo ossessivamente, temendo che sia l’inizio di un attacco cardiaco, e questo pensiero fa aumentare l’ansia, che a sua volta accelera ancora di più il battito, innescando un ciclo di conferma della minaccia.
- Mi accorgo che il respiro è corto e temo di soffocare: durante un momento di stress o mentre parla in pubblico, la persona nota un’alterazione nel respiro. Invece di normalizzarla come effetto della tensione, la interpreta come il segnale che qualcosa non va nei polmoni o che sta per perdere il controllo. Questo porta a un tentativo di regolare volontariamente la respirazione, peggiorando la sensazione e creando ulteriore allarme.
- Sento un improvviso calore e penso che sto per svenire: una lieve sensazione di calore, magari legata a un ambiente affollato o a uno stato emotivo intenso, viene subito percepita come un’anomalia. La persona teme che possa trattarsi di un collasso imminente, e da quel momento inizia a scrutare ogni dettaglio del proprio stato corporeo, intensificando la percezione e generando un’ansia crescente.
- Avverto un leggero capogiro e mi convinco che sto per perdere conoscenza: anche una banale sensazione di instabilità dovuta a stanchezza o fame viene vissuta come un segnale premonitore di svenimento. La persona ansiosa resta immobile, iperconcentrata sul sintomo ansioso, chiedendosi se sarà in grado di rimanere in piedi o se cadrà davanti a tutti. Questo aumenta la tensione muscolare, la difficoltà respiratoria e spesso aggrava la sensazione iniziale.
- Sento il battito nella gola e mi spavento anche se sono a riposo: anche in condizioni di tranquillità, la persona può percepire la pulsazione nella gola, nell’addome o nel petto. Questa percezione fisiologica normale viene però vissuta come innaturale o minacciosa, generando uno stato di allarme nonostante l’assenza di qualsiasi segnale patologico reale.
- Mi accorgo di avere la bocca secca e penso che sto per avere un attacco: la secchezza delle fauci, che può essere un semplice effetto collaterale dell’ansia stessa, viene presa come un indizio che “sta per succedere qualcosa di brutto”. L’attenzione resta focalizzata su quel dettaglio, che viene amplificato dalla mente e da lì inizia un’escalation di controllo e paura.
- Sento il mio stomaco muoversi e temo una malattia grave: rumori, crampi o lievi fastidi addominali vengono letti come segnali allarmanti di un problema intestinale serio. La persona ansiosa si concentra su ogni borbottio o spasmo, preoccupandosi che siano sintomi iniziali di una condizione pericolosa, alimentando così l’ansia e con essa il disagio gastrointestinale.
Se leggendo queste descrizioni ti sei riconosciuto, è possibile che tu stia vivendo un livello di ansia non indifferente.
L’attenzione costante ai segnali del tuo corpo, il timore che ogni minima variazione fisiologica sia il segnale di qualcosa di grave, l’impressione di “non avere più il controllo” su ciò che senti: tutto questo può essere molto destabilizzante e segnare profondamente la qualità della tua vita quotidiana.
La clinica specializzata in ansia GAM-Medical, opera un’équipe multidisciplinare composta da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti altamente qualificati.
Il nostro obiettivo è aiutarti a comprendere meglio ciò che stai vivendo, riconoscere i segnali di stati ansiosi e apprendere strumenti pratici per gestirli con maggiore efficacia e serenità.
Se pensi che la tua interazione con il corpo sia diventata fonte di stress e preoccupazione, potrebbe essere il momento di chiedere supporto.
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