ADHD e Paura del Successo

Tempo di lettura: 6 minuti

Indice Contenuti
ADHD e paura del successo: perchè le persone ADHD hanno paura di raggiungere i propri obiettivi?

Molte persone ADHD hanno paura del successo.

Occhio, non fraintendiamoci, avere paura del successo non significa temere la fama, la ricchezza o il potere.
Significa temere le conseguenze psicologiche, pratiche ed emotive di riuscire davvero in qualcosa.

Chi osserva una persona ADHD dall’esterno potrebbe sorprendersi nel notare quanto sia spesso brillante, dotata di intuizione, creatività e rapidità mentale.

Eppure, dietro queste risorse si nasconde frequentemente un meccanismo più difficile da afferrare: il timore di non riuscire a sostenere il proprio stesso successo.

Per molte persone neurodivergenti, raggiungere un obiettivo significa accendere un riflettore su di sé, accettare aspettative future, dimostrare continuità.

Tutte cose che richiedono strutture interne – organizzative, motivazionali, temporali – che spesso non sono stabili nell’ADHD.

La paura non è tanto quella di fallire, quanto quella di fallire dopo avercela fatta, di non riuscire a replicare, consolidare, mantenere quanto si è ottenuto.

E allora si pensa, inconsciamente “meglio non riuscire affatto”, perché se non si riesce, si può dare la colpa alle circostanze, ma se si riesce, e poi si crolla, la colpa diventa insostenibile.

Nelle prossime righe, vedremo perché chi è ADHD può temere di riuscire, cosa significa vivere con l’ansia di mantenere un traguardo, e come il meccanismo dell’autosabotaggio si inserisce in questo schema.

Perchè le persone ADHD hanno paura di raggiungere i propri obiettivi e di avere successo?

Come già accennato, molte persone ADHD hanno paura del successo, di farcela, di riuscire.

Di laurearsi, di guadagnarsi una posizione lavorativa o di ricevere una promozione.

Ma perché succede questo?

Riuscire in qualcosa implica una serie di condizioni e clausole, che possono spaventare una persona ADHD.

Nello specifico:

  • La paura di non saperlo mantenere: il successo, per molte persone, non è il traguardo in sé a spaventare, ma ciò che viene dopo: il mantenimento. Una volta raggiunto un obiettivo importante – che sia un lavoro, un risultato scolastico, una relazione stabile o un cambiamento personale – nasce l’ansia di doverlo conservare giorno dopo giorno. E questo richiede energie, costanza, pianificazione, controllo di sé. Chi ha una storia fatta di difficoltà nel gestire l’attenzione, nel rimanere motivato, nel seguire routine stabili, come spesso accade nelle persone ADHD, associa il successo a un’enorme fatica cronica. L’idea che quel successo possa svanire da un momento all’altro diventa quasi insopportabile. Per questo, inconsciamente, è più facile rinunciare in partenza che affrontare il rischio di costruire qualcosa che poi crollerà.
  • Il timore di non avere più scuse: quando non si raggiunge un obiettivo, ci si può difendere raccontandosi – o raccontando agli altri – che non era il momento giusto, che mancava il supporto, che le circostanze erano sfavorevoli. Ma quando si riesce, e poi qualcosa va storto, non ci sono più molte scuse a disposizione. Il fallimento, dopo il successo, non è più una variabile esterna: è percepito come un limite interno. Questo può fare molto più male rispetto al non aver mai tentato. Per questo alcune persone preferiscono fermarsi un attimo prima del traguardo, o sabotarsi in modo quasi invisibile. Rinunciare protegge dall’eventualità di dover guardare in faccia il dubbio più doloroso: “E se non fossi davvero in grado di farcela, una volta arrivato lì?”
  • La pressione delle aspettative che si attivano subito dopo: il successo, anche quando è meritato e costruito con impegno, attiva automaticamente nuove aspettative. Se ce l’hai fatta una volta, allora puoi farcela di nuovo. Anzi, ci si aspetta che tu faccia ancora meglio. Questo vale soprattutto nei contesti scolastici, lavorativi o familiari, dove il riconoscimento di un risultato diventa immediatamente un nuovo metro di giudizio. Per chi ha difficoltà a reggere ritmi, impegni, richieste esterne – e fatica a mantenere coerenza tra ciò che sa fare e ciò che riesce a fare davvero – tutto questo si traduce in uno stress continuo. Il successo, allora, non rappresenta un premio, ma l’inizio di un’escalation di richieste ingestibili. Meglio non dare troppo nell’occhio. Meglio restare nella zona grigia del “non ci provo abbastanza”.
  • Il terrore di perdere la propria identità conosciuta: anche se sembra paradossale, molte persone preferiscono restare all’interno di un’immagine di sé negativa, ma familiare, piuttosto che affrontare il cambiamento positivo. Se per anni ci si è raccontati (o si è stati raccontati) come incostanti, inconcludenti, “quelli che iniziano ma non finiscono mai niente”, riuscire davvero in qualcosa mette in discussione tutta quella narrativa. E questo può essere destabilizzante. Il successo impone una riscrittura del copione identitario, e non tutti sono pronti. Alcuni, anzi, sentono di non avere ancora costruito un “sé” abbastanza solido da sostenere un’identità vincente. Riuscire, allora, fa paura non perché non sia bello, ma perché costringe a lasciare andare qualcosa che, anche se limitante, era diventato parte di sé.
  • Il bisogno di controllare la propria caduta: per chi ha vissuto momenti di grande delusione, crolli emotivi, insuccessi brucianti, l’idea di riuscire e poi perdere tutto può essere percepita come più dolorosa che non riuscire affatto. Il successo eleva. Ti porta in alto. Ma più sali, più cadi male. E allora l’autosabotaggio – il procrastinare, il mollare all’ultimo, il complicarsi la vita apposta – diventa un modo per decidere da soli quando e come cadere. È una forma di controllo apparentemente autodistruttiva, ma in realtà protettiva. È come dire: “se rovino tutto io, almeno non mi prenderà alla sprovvista”. È una forma dolorosa ma funzionale di autodifesa emotiva.
  • Il dubbio strisciante di non meritarselo davvero: alcune persone, soprattutto chi ha vissuto insicurezze profonde, instabilità o critiche costanti, sviluppano dentro di sé l’idea di non essere realmente all’altezza dei risultati che ottengono. Quando qualcosa va bene, il pensiero non è: “me lo sono guadagnato”, ma piuttosto: “è stato un caso”, “prima o poi qualcuno si accorgerà che non valgo così tanto”. Questo stato interno si chiama sindrome dell’impostore, ed è frequente tra le persone ADHD. Riuscire, allora, non genera soddisfazione ma ansia: ogni nuovo passo avanti diventa una fonte di stress, perché lo si vive come un inganno che verrà smascherato. Meglio quindi non eccellere troppo. Non riuscire troppo. Rimanere in un’area neutra, dove non si rischia il giudizio.
  • La fatica reale di mantenere continuità e concentrazione: al di là dei meccanismi psicologici, c’è un aspetto concreto e neurologico: per chi è ADHD, mantenere impegno, concentrazione e costanza nel tempo è oggettivamente difficile. Anche con tutta la volontà del mondo, può essere complicato seguire una routine, rispettare le scadenze, gestire i dettagli noiosi che accompagnano qualunque obiettivo di lungo termine. Il successo, quindi, viene vissuto come un territorio nemico: raggiunto con un’energia straordinaria e intensa, ma quasi impossibile da gestire nel tempo. È come vincere una maratona sapendo di non avere il fiato per rifarla il giorno dopo. Questo crea un’ansia preventiva: “meglio non provarci nemmeno, così non mi stanco, non deludo, non crollo”.
  • La sensazione che il successo richieda il sacrificio di sé: per alcuni, avere successo significa rinunciare a parti di sé: al tempo libero, alla spontaneità, al gioco, all’imperfezione. Soprattutto chi ha una mente ADHD, che funziona per intuizione, stimolo e curiosità, può sentire il successo come un sistema rigido e normativo. Un percorso fatto di doveri e disciplina costante. In questo scenario, riuscire diventa sinonimo di perdere il proprio modo naturale di essere. La persona preferisce restare nella propria zona creativa, anche se disordinata, piuttosto che forzarsi in un’immagine vincente che non sente autentica. Non è paura di riuscire in sé: è paura di riuscire a costo di snaturarsi.

Molte persone ADHD, soprattutto in età adulta, conoscono i propri meccanismi molto meglio di quanto si creda.

Non è vero che non si capiscono: spesso sanno esattamente come funzionano i propri schemi, dove si inceppano e perché tendono ad auto-sabotarsi.

La consapevolezza, tuttavia, non sempre basta a cambiare il risultato.

Quello che fa davvero paura, in questo caso, è ciò che il successo comporta: la responsabilità di mantenerlo, la necessità di garantire costanza, la pressione delle aspettative future.

Avere successo significa dover gestire continuità, struttura, coerenza – tutte dimensioni che, per chi ha un funzionamento ADHD, possono risultare particolarmente faticose e innaturali.

Così, anche se razionalmente si desidera arrivare lontano, emotivamente si mette in atto un freno interno: si rallenta, si devia, ci si complica la strada da soli e si resta bloccati tra l’idea di voler arrivare e la paura di ciò che accadrebbe se davvero si arrivasse.

I professionisti della clinica psicologica GAM-Medical conoscono bene queste dinamiche.

Ogni giorno lavorano con adulti ADHD che vivono esattamente questo tipo di conflitto interiore: il desiderio autentico di realizzarsi e, allo stesso tempo, la paura sotterranea di non riuscire a sostenere quello che il successo richiede. Perché per arrivarci, bisogna impegnarsi e per restarci, ancora di più.

E la continuità è uno dei nodi centrali dell’ADHD, una delle sfide più silenziose e logoranti.

Al centro ADHD GAM-Medical, crediamo che il punto non sia forzare il cambiamento, ma trovare un compromesso funzionale e realistico.

Aiutiamo ogni persona a costruire una versione sostenibile dei propri obiettivi, senza idealizzazioni, senza pressioni esterne.

Il lavoro con i nostri professionisti della salute mentale – altamente qualificati e selezionati – ha l’obiettivo di aiutare chi vive l’ADHD a riconoscere i propri cicli di autosabotaggio, a comprenderli con lucidità e, passo dopo passo, ad aggirarli.

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments

ADHD a 360 gradi, Vivere l'ADHD

Condividilo

Pensi di essere ADHD?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico.

Guarda le nostre recensioni

Pensi di essere ADHD?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico. Bastano 3 minuti per avere il risultato.

Se ti è piaciuto l'articolo iscriviti alla newsletter per non perdere tutte le nostre comunicazioni.