Quando pensiamo alla parola “burnout”, la nostra mente corre quasi automaticamente al mondo del lavoro, agli adulti stanchi, ai professionisti esauriti, alle giornate infinite in ufficio, alle responsabilità familiari o economiche che si sommano fino a diventare un peso insostenibile.
Il burnout, nella cultura popolare, è qualcosa che si verifica “dopo”, quando si è cresciuti, quando si è dentro la ruota del criceto che gira senza sosta tra scadenze, pressioni e doveri.
È una condizione che associamo all’età adulta, alla produttività e a un certo tipo di vita stressante.
Ma in questa rappresentazione — tanto diffusa quanto parziale — ci dimentichiamo di considerare una cosa fondamentale: il burnout non nasce solo dal tipo di attività che si svolge, ma da ciò che si vive emotivamente mentre la si affronta.
Non è tanto il contenuto dell’impegno a essere determinante, quanto il carico psicologico, il significato interno, il senso di esaurimento che può accumularsi indipendentemente dall’età o dal contesto.
Ed è proprio per questo che il burnout può colpire anche gli adolescenti.
Sì, anche se non lavorano, anche se non portano a casa uno stipendio, anche se non devono occuparsi dei figli o dell’affitto.
La nostra tendenza a pensare che il burnout sia una malattia del “lavoro adulto” ci impedisce di vedere che anche un quattordicenne o un sedicenne possono trovarsi in una condizione psico-fisica di completo esaurimento, svuotamento e demotivazione, simile — se non identica — a quella di un adulto in crisi.
E questo accade non perché affrontano le stesse sfide, ma perché vivono esperienze soggettivamente logoranti, stressori ripetuti, aspettative pressanti e un senso costante di inadeguatezza o di non farcela, senza ancora aver sviluppato (o ricevuto) gli strumenti emotivi e relazionali per affrontarle.
L’adolescenza è una fase della vita che viene spesso romanticizzata o sminuita: da un lato viene raccontata come il tempo della spensieratezza, delle prime scoperte, dell’energia e della libertà; dall’altro, viene talvolta considerata un periodo di passaggio, caotico e incomprensibile, in cui i problemi “non sono poi così gravi” perché “alla loro età cosa vuoi che abbiano da stressarsi?”.
Eppure, nella realtà concreta, molti adolescenti vivono le loro giornate in uno stato di tensione cronica, iperattivazione emotiva, senso di dover sempre dimostrare qualcosa, rincorrendo approvazione, prestazione, conferme, identità, futuro. Anche se non lo dicono. Anche se sembrano apatici, scontrosi o distratti. Anche se, a volte, non sanno nemmeno loro cosa gli sta succedendo dentro.
Il punto è che il burnout non è una reazione al tipo di impegno, ma al peso emotivo che quell’impegno comporta.
Non è l’attività in sé a logorare, ma l’assenza di recupero, di senso, di sicurezza. E in questo senso, l’esperienza adolescenziale è perfettamente compatibile con i meccanismi del burnout.
Non serve essere manager o insegnanti per esaurirsi: basta sentirsi schiacciati da un sistema che chiede tanto e restituisce poco. Basta sentire che si deve sempre essere “qualcosa” — bravi, forti, disponibili, vincenti — senza mai potersi fermare, sbagliare, respirare.
Basta trovarsi, giorno dopo giorno, a fare cose che si percepiscono come obbligatorie, ripetitive, invadenti, oppure profondamente ansiogene, senza alcuna via di fuga.
E questo, molti adolescenti lo vivono in modo drammatico, anche se nessuno glielo ha mai spiegato, anche se non hanno ancora le parole per raccontarlo, anche se non hanno ancora un nome da dare a quella stanchezza che li svuota, a quella fatica che non passa nemmeno dopo il weekend.
È importante capire che il burnout adolescenziale non è una finzione, né un’esagerazione generazionale, ma un fenomeno reale, che si annida spesso silenziosamente tra i banchi di scuola, tra le righe dei messaggi social, nei pomeriggi trascorsi a studiare o a rincorrere ideali irraggiungibili, tra sport agonistici, aspettative familiari, confronto sociale e senso di inadeguatezza.
Ed è ancora più pericoloso perché spesso non viene riconosciuto: né dai ragazzi stessi, né dagli adulti intorno a loro.
Gli adolescenti possono cominciare a disinvestire da tutto — scuola, passioni, relazioni — non perché non gliene importi nulla, ma perché non ce la fanno più, e nessuno ha ancora detto loro che questo esaurimento ha un nome, ha delle cause, e soprattutto merita ascolto, cura, e non giudizio.
Per questo è fondamentale cambiare prospettiva: non è l’età che fa il burnout, ma l’esperienza vissuta dentro quella fase della vita.
E l’adolescenza, oggi più che mai, è un territorio ricco di pressioni sottili, tensioni croniche, richieste implicite e continue performance.
Nelle prossime righe capiremo cosa può determinare un burnout adolescenziale e come riconoscerlo.
Fattori che possono determinare un Burnout Adolescenziale
Alcune delle fonti di possibile burnout nella classe adolescenziale sono rappresentate da:
- Pressioni scolastiche e performance accademica: per molti adolescenti, la scuola è diventata molto più di un semplice luogo di apprendimento: è un vero e proprio campo di valutazione permanente, un contesto in cui il valore personale sembra costantemente misurato sulla base di numeri, giudizi, risultati. Non si tratta solo di studiare o di acquisire nozioni: si tratta di reggere un ritmo sostenuto di interrogazioni, verifiche, verifiche intermedie, prove INVALSI, esami, colloqui, compiti a casa, registri elettronici e confronti continui. Il sistema scolastico spesso comunica, in modo implicito ma costante, che l’errore è una macchia, che il merito è tutto, che il futuro si gioca oggi, adesso, ad ogni compito corretto. Gli adolescenti interiorizzano questo clima e finiscono per sentirsi definiti dalla loro media, dalla loro capacità di rispondere in tempo, dalla loro velocità nel processare e produrre. Questo crea un ciclo continuo di tensione anticipatoria, frustrazione da prestazione, e difficoltà nel trovare motivazione autentica, perché la scuola viene vissuta come una fonte di stress più che di crescita. Quando non si riesce a staccare mai mentalmente, nemmeno nel tempo libero, quando l’ansia per le prestazioni scolastiche accompagna ogni momento della giornata, si pongono le basi per una forma profonda e corrosiva di burnout, anche in assenza di un carico di studio oggettivamente eccessivo. Ciò che logora non è solo la quantità di studio, ma la qualità dell’esperienza emotiva che la scuola attiva: una continua sensazione di dover essere all’altezza, di non potersi mai permettere un passo falso, un rallentamento, un momento di fragilità.
- Sport agonistico o intensivo: lo sport, inteso nella sua forma ideale, è uno strumento straordinario di crescita, equilibrio, scarico emotivo e consapevolezza corporea. Tuttavia, quando lo sport entra nella vita degli adolescenti in forma intensiva, soprattutto in contesti agonistici o semi-agonistici, può trasformarsi in una nuova fonte di pressione. Gli allenamenti diventano frequenti, prolungati, esigenti, con richieste di presenza fissa, obiettivi da raggiungere, competizioni da preparare. Questo impone al giovane un’ulteriore cornice di doveri che si sovrappone a quella scolastica. La giornata diventa un puzzle quasi impossibile da gestire: si torna da scuola, si fa uno spuntino veloce, si corre all’allenamento, si rientra stanchi la sera, e poi ci sono i compiti da fare, le interrogazioni da preparare, i voti da tenere sotto controllo. Non c’è tregua, né per il corpo né per la mente. A questo si aggiunge il fatto che spesso lo sport, proprio perché viene vissuto come passione, diventa una zona di conflitto emotivo: il ragazzo o la ragazza non vogliono smettere, non vogliono deludere l’allenatore o il gruppo, ma allo stesso tempo sentono di non avere più le forze per stare dietro a tutto, di essere in continua sottrazione. Il burnout si insinua proprio in questa ambivalenza: nel sentirsi obbligati a fare qualcosa che si ama, ma che comincia a svuotare anziché a nutrire. Quando lo sport diventa un’altra casella da riempire nell’agenda già affollata della settimana, perde la sua funzione rigenerativa e si aggiunge al peso totale che l’adolescente si porta addosso.
- Accumolodi attività extrascolastiche: un tratto tipico dell’adolescenza contemporanea è l’iperstrutturazione del tempo libero. Molti ragazzi si trovano a vivere giornate scandite da un’infinità di attività extrascolastiche, ognuna pensata per “arricchire”, “formare”, “far crescere”, ma che nel loro insieme generano un effetto paradossale: un’esistenza senza pause. Il lunedì c’è nuoto, il martedì catechismo, il mercoledì pallavolo, il giovedì musica, il venerdì magari un corso di inglese, e nel weekend partite, spettacoli, lezioni integrative o recuperi scolastici. Il tempo che resta è poco e frammentato, raramente libero nel vero senso della parola. Ogni attività, singolarmente presa, può anche essere piacevole, ma la somma degli impegni produce un senso diffuso di disorientamento, frammentazione, stanchezza mentale, e soprattutto la sensazione costante di dover correre, di essere sempre “in ritardo su qualcosa”. I genitori, spesso con le migliori intenzioni, cercano di offrire ai figli tutte le opportunità possibili, temendo che un tempo non occupato sia un tempo sprecato. Ma il risultato è che l’adolescente cresce senza imparare a stare nel vuoto, senza tempo per l’inattività, per la noia, per l’elaborazione. Non c’è tempo per riflettere su ciò che si è vissuto, per sedimentare esperienze, per ascoltarsi. E quando questo succede giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, il corpo e la mente finiscono per saturarsi. Il burnout arriva sotto forma di svuotamento emotivo, apatia, demotivazione, perdita di interesse per cose che prima piacevano, o attraverso sintomi somatici come insonnia, irritabilità, stanchezza cronica. L’eccesso di attività non è più crescita: diventa compressione.
Guida per i genitori: come riconoscere se tuo figlio/a è in burnout?
Riconoscere il burnout nei propri figli adolescenti non è sempre facile.
A differenza di ciò che accade nel mondo degli adulti, dove il burnout si manifesta spesso attraverso assenze sul lavoro, crolli evidenti o dichiarazioni di esaurimento, negli adolescenti questo stato di logoramento emotivo e psicofisico può assumere forme più sfumate, più silenziose, ma non per questo meno gravi.
In un’epoca in cui i ragazzi sono sottoposti a un numero crescente di richieste — scolastiche, sportive, sociali, familiari — è fondamentale che chi li accompagna nel loro percorso, in particolare i genitori, impari a leggere con attenzione i piccoli segnali che possono indicare un malessere profondo.
Nello specifico:
- Maggiore irritabilità e reazioni emotive sproporzionate: uno dei primi campanelli d’allarme del burnout nei ragazzi è rappresentato da un aumento marcato dell’irritabilità, anche nei confronti di situazioni minime o neutre. Un commento che prima sarebbe stato ignorato diventa motivo di scatto, una richiesta quotidiana scatena una crisi, un tono leggermente sbagliato basta per far saltare i nervi. Questa ipersensibilità emotiva non è semplice adolescenza turbolenta: è il segnale di un sistema nervoso in sovraccarico, incapace di regolare lo stress in modo equilibrato. Il burnout erode le risorse emotive, e quando l’energia mentale è bassa, ogni richiesta esterna viene vissuta come un’aggressione. I ragazzi diventano insofferenti, intolleranti, si chiudono o esplodono, e ciò che più disorienta i genitori è che loro stessi spesso non sanno spiegare perché reagiscono così. Ma dietro quell’ostilità c’è spesso un disagio che non riesce più a essere contenuto, un’esasperazione profonda accumulata nel tempo.
- Disinvestimento improvviso dalle attività abituali: il burnout negli adolescenti può manifestarsi con un ritiro graduale, ma deciso, da tutte quelle attività che un tempo rappresentavano piacere, passione, appartenenza. Sport, musica, hobby, gruppi sociali, volontariato — ciò che prima veniva vissuto con entusiasmo ora viene accolto con apatia, insofferenza, fastidio o addirittura ansia anticipatoria. Il ragazzo inizia a trovare ogni occasione “pesante”, “inutile”, “stressante”. Chiede sempre più spesso di non andare, cerca scuse, si lamenta della fatica o dice semplicemente: “non ce la faccio più”. Questo non va interpretato come pigrizia, ma come una forma di auto-protezione da un sistema che chiede troppo. Il ritiro non è sempre sinonimo di disinteresse: può essere il segnale che l’attività in sé è diventata una fonte di pressione ulteriore. E quando questo vale per più ambiti — sport, doposcuola, amici — allora siamo di fronte a un vero e proprio disinvestimento generalizzato, tipico del burnout.
- Rendimento scolastico in calo senza motivi apparenti: uno degli aspetti più visibili e tracciabili del burnout è la discesa improvvisa del rendimento scolastico, spesso inspiegabile alla luce degli sforzi mantenuti. Il ragazzo continua a studiare, almeno formalmente, ma ottiene risultati sempre più scarsi, fatica a memorizzare, si distrae facilmente, dimentica cose già apprese. È come se il cervello si fosse “inceppato”. Questo accade perché la stanchezza mentale, soprattutto se prolungata, compromette le funzioni cognitive superiori: attenzione, memoria, flessibilità. Il ragazzo sente di “non farcela”, ma spesso si colpevolizza, alimentando un ciclo di ansia e frustrazione che peggiora le prestazioni. In questi casi, può anche manifestarsi un aumento delle lamentele psicosomatiche legate alla scuola, come mal di testa al mattino, nausea prima delle interrogazioni, senso di vertigine durante lo studio. Sono segnali corporei autentici, che raccontano un corpo che si ribella a un ambiente ormai vissuto come tossico, anche in assenza di una reale minaccia.
- Fatica costante, isolamento e sintomi psicosomatici ricorrenti: uno degli indicatori più sottovalutati del burnout è la comparsa di una fatica cronica, che non si risolve con il sonno né con il riposo. Il ragazzo sembra stanco “a prescindere”: si alza già scarico, fa fatica a iniziare la giornata, ha poca energia anche per le cose semplici. Questo stato di esaurimento può portare a un progressivo ritiro sociale e familiare: resta sempre più tempo in camera, evita le interazioni, risponde a monosillabi o non risponde affatto. A tutto questo si associano spesso lamentele psicosomatiche frequenti: dolori alla pancia senza causa apparente, cefalee, dolori muscolari, palpitazioni, tensioni al petto, malesseri vaghi ma persistenti. Il corpo diventa il linguaggio di un malessere profondo che non riesce ancora a passare per le parole. Questi sintomi, se cronici e senza spiegazione medica, non vanno sottovalutati: sono grida silenziose del sistema nervoso, che cerca un modo per farsi ascoltare quando la mente è troppo stanca per chiedere aiuto.
- Perdita di motivazione, cinismo emergente e visione negativa del futuro: un altro segnale importante, ma difficile da cogliere, è il cambiamento nel tono affettivo e nel linguaggio motivazionale. Il ragazzo o la ragazza che un tempo era coinvolto/a e presente comincia a parlare in modo svuotato, distaccato, disilluso. Frasi come “Tanto non cambia niente”, “Non mi interessa più”, “Non vale la pena”, “Basta, non ho voglia” diventano ricorrenti. Ma a differenza della ribellione adolescenziale classica, qui non c’è rabbia viva, ma una specie di stanchezza emotiva. Il tono è spento, il volto è scarico, la postura è chiusa. È il segno che la motivazione si è consumata, che la benzina interiore si è esaurita. Il ragazzo non si lamenta per attirare attenzione, ma perché qualcosa si è rotto dentro: il legame tra ciò che fa e il senso che dava a quelle azioni. Questa perdita di significato è un tratto cardine del burnout, che non è solo fatica ma anche perdita di connessione con ciò che si faceva con piacere o con senso di identità.
Comprendere il burnout negli adolescenti significa smettere di valutare la loro fatica solo in base a ciò che fanno, e iniziare ad ascoltare come stanno mentre lo fanno. Significa riconoscere che anche i giovani, pur non avendo ancora le responsabilità dell’età adulta, vivono pressioni, aspettative e conflitti interiori che possono logorarli in modo profondo.
I segnali non sono sempre evidenti. A volte si presentano come piccoli cambiamenti d’umore, cali di rendimento, lamentele vaghe, un’apatia che si insinua piano.
Ma se osservati con attenzione e accolti senza giudizio, diventano porte d’accesso a un dialogo più vero e più profondo. Essere un genitore presente non significa avere tutte le risposte, ma saper creare uno spazio sicuro in cui un figlio possa portare anche il suo non sapere, la sua stanchezza, la sua fragilità.
È in quello spazio, fatto di ascolto e fiducia, che si possono gettare le basi per la ripresa. Perché nessuno guarisce dal burnout da solo, ma tutti possono attraversarlo, se accompagnati con amore e consapevolezza.
Il Centro Psicologico Specializzato GAM-Medical riconosce che stress e burnout non sono fenomeni esclusivi dell’età adulta, ma possono emergere anche in età precoci, inclusa l’adolescenza.
In un’epoca in cui i giovani vivono sotto una pressione crescente e spesso invisibile, è fondamentale non sottovalutare i segnali di esaurimento psicofisico, demotivazione o chiusura emotiva.
Intervenire tempestivamente, rivolgendosi a professionisti esperti come quelli del team di GAM, significa offrire uno spazio di ascolto e cura che può prevenire evoluzioni più gravi, come l’insorgenza di depressione e ansia, purtroppo sempre più frequenti tra gli adolescenti.
Affidarsi a chi conosce da vicino le dinamiche dello stress evolutivo è un atto di responsabilità e amore: verso i propri figli, verso il loro benessere, e verso il loro futuro.