Autolesionismo nei Disturbi Alimentari

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Autolesionismo nei Disturbi Alimentari

I disturbi alimentari raramente si presentano come condizioni isolate ed è molto comune che si accompagnino ad altre problematiche psichiatriche (frequentemente ansia, depressione e disturbi di personalità).

Tuttavia, oltre alle comorbidità clinicamente diagnosticabili, tra i comportamenti frequentemente riscontrati nelle persone che soffrono di disturbi alimentari, in particolare anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating disorder, vi è l’autolesionismo.

Quando si parla di autolesionismo si fa riferimento a comportamenti intenzionali diretti a danneggiare il proprio corpo, senza l’intenzione di porre fine alla propria vita.

Questo tipo di comportamento viene perciò definito autolesionismo non suicidario.

In realtà, i disturbi alimentari possono essere considerati a pieno titolo disturbi autolesionistici.

Anche senza la presenza di comportamenti comunemente riconosciuti come autolesionistici, il semplice fatto di sottoporre il corpo a una prolungata malnutrizione, a cicli di abbuffate e vomito, a stress metabolico e fisico estremo, costituisce una forma di autolesione.

L’organismo subisce danni sistemici a livello cardiaco, osseo, endocrino, neurologico, ed è soggetto a complicanze potenzialmente gravi che compromettono a lungo termine la salute fisica e mentale.

In questo senso, i disturbi alimentari agiscono come una forma di autolesionismo strutturato e protratto nel tempo, rendendo difficile tracciare una linea netta tra il disturbo stesso e i comportamenti autolesionistici secondari.

Nelle prossime righe approfondiremo meglio il complesso tema dell’autolesionismo collegato ai disturbi alimentari, soprattutto anoressia, bulimia e disturbo dell’alimentazione incontrollata.

Quali Sono i Principali Gesti Autolesivi nei Disturbi Alimentari?

Come già accennato, la distinzione tra disturbo della nutrizione e dell’alimentazione e autolesionismo comportamentale è sottile e complessa: non si tratta di due fenomeni distinti, ma di manifestazioni che si sovrappongono e si intrecciano.

Possiamo quindi suddividere i comportamenti autolesionistici in due grandi categorie: quelli intrinseci al disturbo alimentare e quelli estrinseci o secondari, più riconducibili ai gesti di autolesione comunemente noti

  • Gesti autolesionistici intrinseci al disturbo:
    • Restrizione alimentare: privare volontariamente il corpo del nutrimento necessario alla sopravvivenza è uno dei più evidenti e gravi gesti autolesionistici insiti nei disturbi alimentari. La restrizione calorica prolungata non solo rallenta il metabolismo, ma produce danni irreversibili a carico dell’apparato cardiovascolare, del sistema nervoso centrale, del sistema endocrino e della struttura ossea. Ogni giorno di digiuno o di grave restrizione rappresenta un’aggressione al corpo, un attacco sistematico che riduce le difese immunitarie, altera la chimica cerebrale, favorisce la comparsa di aritmie potenzialmente letali e conduce alla progressiva disgregazione dei tessuti muscolari. Il gesto di negarsi il cibo non è semplicemente il tentativo di raggiungere un ideale estetico: è una forma di controllo assoluto che trova nella privazione una modalità distruttiva di gestione del dolore psichico, una scelta reiterata di infliggersi danno nella speranza paradossale di ottenere sollievo o redenzione.
    • Abbuffata: anche l’abbuffata compulsiva, sebbene apparentemente opposta alla restrizione, si configura come un gesto profondamente autolesionistico. L’ingestione incontrollata di enormi quantità di cibo, spesso in un tempo molto breve, sovraccarica il sistema digestivo, provoca lacerazioni microscopiche nell’apparato gastrointestinale, altera l’equilibrio glicemico e lipidico del sangue e favorisce l’instaurarsi di patologie metaboliche severe. A livello psicologico, l’abbuffata è seguita quasi sempre da un senso di vergogna, disgusto, colpa e disperazione che rafforza il ciclo della punizione e dell’autosvalutazione. La persona che si abbuffa non lo fa per piacere o per gratificazione reale, ma per anestetizzare un dolore interno insopportabile, finendo per infliggersi un danno sia fisico sia emotivo di proporzioni devastanti.
    • Vomito autoindotto: il gesto volontario di provocarsi il vomito è uno dei comportamenti autolesionistici più distruttivi e insidiosi associati ai disturbi alimentari. Indurre ripetutamente l’espulsione del contenuto gastrico causa erosioni della mucosa esofagea, lesioni della laringe, infiammazioni croniche e danni permanenti allo smalto dentale. Sul piano sistemico, il vomito determina squilibri elettrolitici gravissimi, in particolare ipopotassiemia, che può condurre ad aritmie cardiache fatali. Il vomito autoindotto non è soltanto una modalità per “annullare” le calorie ingerite, ma si configura come un rituale punitivo, un atto di espiazione e di disprezzo verso se stessi, un modo per scaricare fisicamente un carico emotivo insostenibile attraverso la violenza diretta sul proprio corpo.
    • Uso di enteroclismi, clisteri, lassativi e diuretici: l’uso compulsivo di mezzi farmacologici per svuotare l’intestino o ridurre la ritenzione idrica rappresenta una forma di autolesionismo medico-assistito particolarmente subdola. L’assunzione sistematica di lassativi e diuretici altera in modo irreversibile il funzionamento del colon, provoca disidratazione cronica, squilibri elettrolitici, danni renali e dipendenza farmacologica. Gli enteroclismi ripetuti danneggiano la mucosa intestinale, modificano la flora batterica e aumentano il rischio di infezioni e disfunzioni gastrointestinali permanenti. Questi comportamenti, seppur socialmente meno visibili rispetto al tagliarsi o al vomitare, sono espressioni altrettanto gravi di autodistruzione e testimoniano la profondità della sofferenza psicologica che anima il disturbo.
  • Gesti autolesionistici secondari:
    • Tagliarsi: il tagliarsi la pelle con lamette, coltelli o altri oggetti affilati è uno dei gesti autolesionistici più riconosciuti nelle persone affette da disturbi alimentari. Questo comportamento, lungi dall’essere un tentativo suicidario, è spesso un modo per materializzare un dolore interno altrimenti insopportabile, per “vedere” la propria sofferenza, oppure per punirsi in seguito a episodi percepiti come fallimentari, come un’abbuffata o il mancato rispetto di regole alimentari autoimposte. Le ferite autoinflitte fungono da strumento di regolazione emotiva, offrendo un sollievo immediato ma effimero, che rinforza il ciclo della dipendenza dall’autolesione.
    • Grattarsi compulsivamente: grattarsi fino a provocare lesioni, abrasioni o vere e proprie escoriazioni rappresenta una forma più “sottile” di autolesionismo, spesso meno evidente e più facilmente razionalizzabile. Questo comportamento, simile al disturbo da escoriazione, può essere scatenato dall’ansia, dalla frustrazione o dal bisogno di punirsi per presunti fallimenti. Il dolore fisico che deriva dalle escoriazioni fornisce un senso di controllo o di scarica emotiva temporanea, sostituendo il dolore psichico con un danno fisico più gestibile.
    • Pizzicarsi ripetutamente: il pizzicarsi ripetutamente la pelle, specialmente in zone percepite come “difettose” o “grasse”, è una forma di autolesionismo che si lega strettamente alla distorsione dell’immagine corporea tipica dei disturbi alimentari. Attraverso questi gesti, la persona tenta di “modificare” fisicamente il corpo, in un tentativo disperato e autodistruttivo di correggere ciò che è vissuto come inaccettabile o mostruoso. Il pizzicarsi può causare ematomi, lividi e lesioni permanenti, alimentando ulteriormente il ciclo di vergogna e autodenigrazione.
    • Strapparsi peli e capelli (tricotillomania): il comportamento di strapparsi peli o capelli con le mani, benché possa evolvere in una condizione clinica autonoma come la tricotillomania, nei disturbi alimentari si manifesta spesso come un gesto impulsivo e autolesionistico secondario alla gestione di emozioni intense. Strapparsi i capelli può servire come mezzo per ridurre l’ansia, per infliggersi dolore fisico che distragga da emozioni interiori insostenibili o come forma di punizione autoimposta. Anche questo gesto, apparentemente minore, contribuisce al deterioramento dell’immagine corporea e rinforza dinamiche di colpa, vergogna e autocritica distruttiva.

La presenza di comportamenti autolesionistici, sia intrinseci che secondari, nei disturbi del comportamento alimentare sottolinea quanto queste patologie siano complesse, profonde e radicate nella sofferenza emotiva.

Riconoscere che il DCA stesso è una forma di autolesionismo permette di non sottovalutare la gravità della condizione e di indirizzare la persona verso un percorso di cura adeguato.

Rivolgersi a un centro specializzato come il Centro per i DCA GAM-Medical può rappresentare un passo decisivo nella lotta contro il proprio DCA.

GAM-Medical, mette a disposizione della sua utenza un test DCA online, che aiuta a individuare precocemente la presenza di un disturbo dell’alimentazione ed eventualmente avviare un percorso diagnostico approfondito.

La diagnosi di DCA è un processo delicato che deve essere affidato esclusivamente a professionisti della salute mentale qualificati, come psicologi, psicoterapeuti e psichiatri, capaci di cogliere non solo i sintomi evidenti, ma anche le dinamiche più profonde che sostengono il disturbo.

Solo attraverso un lavoro sinergico e multidisciplinare è possibile affrontare il disturbo alimentare in tutte le sue sfaccettature, compresi i comportamenti autolesionistici che spesso lo accompagnano, restituendo alla persona la possibilità di costruire una relazione sana con il proprio corpo, le proprie emozioni e la propria vita.

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