Sei ADHD, hai appena ricevuto la diagnosi di ADHD in età adulta e ti sorge un dubbio, scomodo, silenzioso, che si insinua tra una seduta e l’altra, tra un pensiero di sollievo e uno di smarrimento.
“E se non fosse vero? E se stessi fingendo tutto questo? E se mi fossi autoconvinto/a nel tempo di avere qualcosa che in realtà non ho, e ora sto solo cercando una scusa, una giustificazione?”
È un pensiero che può spaventare, perché arriva nel momento esatto in cui dovresti finalmente sentirti riconosciuto/a, compreso/a, sollevato/a.
E invece, ecco la voce del dubbio, che ti fa mettere in discussione tutto: la diagnosi, il percorso che ti ha portato lì, perfino la tua stessa percezione della realtà.
Questo accade molto più spesso di quanto immagini.
È una reazione comune tra chi riceve una diagnosi neurodivergente in età adulta, in particolare ADHD.
Molte persone, in questo momento del percorso, si chiedono se per caso si stiano autoconvincendo.
Se, magari, a forza di leggere, informarsi, seguire contenuti online, si siano identificate così tanto da finire col vedere sintomi ovunque.
Questi pensieri non sono rari, anzi, sono estremamente comuni. Talmente comuni da essere quasi un sintomo collaterale non ufficiale dell’ADHD stesso.
Chi riceve una diagnosi di ADHD da adulto spesso ha passato tutta la vita a sentirsi fuori posto, sbagliato/a, pigro/a, distratto/a, eccessivo/a, incostante, ma senza mai avere un nome per tutto questo. E quando finalmente quel nome arriva — ADHD — qualcosa dentro vacilla.
La mente inizia a mettere in dubbio tutto.
Il dubbio può assumere tante forme:
- “Forse sto solo cercando un alibi per i miei fallimenti.”
- “E se fossi solo una persona pigra che si è illusa di avere qualcosa per sentirsi meglio?”
- “E se stessi semplicemente cercando attenzioni?”
- “E se avessi ingannato anche i professionisti senza volerlo?”
Questo senso di frode interiore ha un nome ben preciso: sindrome dell’impostore.
Ed è sorprendentemente comune nelle persone neurodivergenti, specialmente quando ricevono una diagnosi in età adulta.
Molti crescono senza riconoscimento, senza supporto, ma con un bagaglio pesante fatto di giudizi, punizioni, confronti costanti con gli altri.
Allora, quando finalmente arriva una spiegazione, è difficile accettarla. È difficile crederci. Perché siamo stati abituati a non fidarci delle nostre percezioni, a mettere in discussione il nostro sentire.
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“Perché dubito di essere ADHD?”
Dubitare della propria diagnosi di ADHD è molto comune, soprattutto quando arriva in età adulta.
Dopo aver passato anni a sentirsi in un certo modo, ricevere una diagnosi può dare sollievo, ma anche generare molti dubbi.
Una delle prime cose che può venire in mente è: “E se stessi solo cercando una scusa?
Questo accade spesso perché l’ADHD non è sempre evidente. Ci sono giornate in cui sembra di riuscire a fare tutto, di essere super produttivo/a, concentrato/a, pieno/a di iniziativa.
In quei momenti, è facile pensare: “Se ci riesco oggi, vuol dire che potrei farlo sempre, se solo mi impegnassi.”
Ma l’ADHD non è una mancanza di capacità. È una difficoltà di regolazione: dell’attenzione, delle emozioni, dell’energia. Il problema non è il se, ma il quando e il come riesci a far funzionare le cose.
Il dubbio cresce ancora di più quando si comincia a pensare che forse si è semplicemente interiorizzata l’idea di avere un disturbo, che magari ci si è convinti nel tempo, leggendo, guardando contenuti, seguendo pagine sui social.
Qualcuno arriva addirittura a pensare: “Magari sono solo suggestionato/a, e ho finito per convincere anche chi mi ha diagnosticato.”
Questo pensiero è più comune di quanto si immagini, e spesso deriva da una lunga storia di invalidazione.
Se per anni ti sei sentito/a dire che esageravi, che dovevi solo impegnarti di più, che eri pigro/a, disordinato/a, o che facevi apposta, è normale che adesso ti riesca difficile accettare una spiegazione neurobiologica. È normale che ti sembri troppo semplice, o che tu non ti senta “abbastanza ADHD”.
In più, chi arriva tardi alla diagnosi spesso ha sviluppato tantissime strategie di compensazione.
Magari sei sempre stato/a in grado di cavartela all’ultimo momento, di adattarti, di coprire le tue difficoltà con intelligenza o creatività.
Ma il fatto che tu ci sia riuscito/a non significa che non ci fosse una fatica continua sotto, significa solo che hai imparato a mascherare.
In certi momenti, potresti anche pensare di fare le cose “apposta”, perché magari ti scoccia iniziare una certa attività, la rimandi, perdi tempo, ma poi — quando arriva il momento giusto — riesci a farla perfettamente.
Questo contrasto crea confusione, e può farti pensare che in fondo il problema sia solo il tuo atteggiamento. In realtà, anche questa è una caratteristica tipica dell’ADHD: riuscire molto bene in certe condizioni, e bloccarsi completamente in altre, anche se apparentemente identiche.
Non è questione di forza di volontà. È questione di come funziona l’attivazione mentale.

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Può una persona “fingere” o autoconvincersi di essere ADHD?
La verità è che “fingere” l’ADHD, soprattutto in modo così accurato da ingannare anche professionisti esperti, è estremamente difficile.
Le valutazioni diagnostiche per l’ADHD includono colloqui clinici approfonditi, anamnesi completa, osservazioni comportamentali, questionari standardizzati, a volte anche il confronto con persone vicine al paziente (famiglia, partner, insegnanti). Inoltre, i sintomi ADHD devono essere presenti fin dall’infanzia e impattare significativamente su più aree della vita.
Una persona potrebbe, forse, esagerare qualche risposta in un questionario. Ma non può costruire dal nulla un intero vissuto coerente con l’ADHD, soprattutto se non lo conosce nel dettaglio.
Quindi no, se sei stato/a valutato/a da un professionista formato e hai ricevuto una diagnosi, non l’hai “finta”. Hai finalmente avuto uno spazio sicuro dove essere letto/a correttamente.
Può essere difficile fidarsi di sé, soprattutto se per tutta la vita ti è stato detto che esageravi, che eri distratto/a, lunatico/a, disorganizzato/a, ribelle o incostante.
Può essere difficile credere che il tuo modo di vivere le cose non fosse “sbagliato”, ma semplicemente diverso. Eppure è così. La diagnosi non è una scusa.
È uno specchio che, per la prima volta, ti mostra un’immagine coerente con ciò che hai sempre sentito dentro, anche se non sapevi darle un nome.
Anzi, paradossalmente, il fatto che tu ti stia facendo queste domande è un segno di consapevolezza, non di falsità.
Chi “finge” davvero, in genere non dubita così profondamente di sé stesso. Non mette in discussione la diagnosi, non si interroga su ogni dettaglio.
Chi mente non si tormenta. E probabilmente la tua sensibilità e il tuo desiderio di onestà dicono molto più di quanto pensi.
Hai il diritto di fidarti della tua esperienza. Meriti di accettare che, forse, finalmente c’è un nome che dà senso a tutto e non è una scusa, è la verità ed è il primo passo verso una vita più autentica.
Se fai fatica a fidarti di te stesso/a, almeno prova a fidarti delle persone che ti conoscono da tanto tempo.
I professionisti della salute mentale che ti hanno diagnosticato ha sicuramente raccolto informazioni non solo da te, ma anche da chi ti è stato accanto per anni. E se la diagnosi è arrivata, non è basata solo su ciò che pensi oggi, ma su una storia che si è costruita nel tempo.
Magari hai parlato con i tuoi genitori, e ti hanno ricordato che da piccolo/a eri sempre in movimento, perdevi tutto, facevi fatica a finire le cose, avevi spesso note o richiami.
Forse ti sei confrontato/a con i tuoi insegnanti, e ti hanno detto che eri intelligente ma non riuscivi a stare attento/a, che parlavi fuori turno, che avevi mille idee ma poca organizzazione.
Forse i tuoi fratelli o sorelle ti prendevano in giro perché lasciavi sempre qualcosa in giro, perché cambiavi idea ogni cinque minuti, o ti perdevi nei tuoi pensieri.
Queste cose non le stai inventando ora. Ci sono sempre state. E le persone che ti sono vicine le ricordano chiaramente.
Se oggi hai dubbi sulla diagnosi, prova a tornare a quei racconti. A quelle memorie. A tutte le volte in cui ti sei sentito/a “diverso/a” ma non sapevi perché. Quello è ADHD.
Non ti sei convinto/a da solo/a. Non hai inventato tutto per avere una scusa. Hai solo messo insieme i pezzi di una vita in cui certe difficoltà sono sempre esistite, ma solo ora hanno un nome.
Fidati di chi ti ha aiutato a ricostruire questa storia. Perché se tante persone, in momenti diversi, ti hanno raccontato cose che oggi ritornano con un senso diverso, non è una coincidenza, è una conferma.
Se ti riconosci in questi dubbi, se continui a mettere in discussione la diagnosi o senti che dentro di te c’è ancora qualcosa che non torna, parlarne con un professionista della salute mentale può essere molto utile.
Uno psicologo o psicoterapeuta esperto in ADHD — in particolare nell’ADHD in età adulta — conosce bene queste dinamiche.
Ha già visto tante persone vivere esattamente le stesse incertezze, lo stesso senso di colpa, lo stesso timore di “stare fingendo”.
Un professionista formato può aiutarti a fare chiarezza, a capire meglio il tuo funzionamento e, soprattutto, a fare pace con la diagnosi.
Non per etichettarti, ma per darti strumenti concreti, per aiutarti a mettere ordine in un vissuto che forse ti è sempre sembrato confuso.
I professionisti della Clinica ADHD GAM-Medical sono pronti ad aiutarti proprio in questo: con competenza, ascolto e un approccio centrato sull’adulto ADHD, possono guidarti nel percorso di consapevolezza e supportarti nel prendere finalmente sul serio quello che hai sempre vissuto.
Non devi farcela da solo/a e non devi necessariamente avere tutte le risposte da subito. Chiedere aiuto è già un passo importante.
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