Un po’ per i ricordi diretti, un po’ per ciò che ci viene raccontato da familiari e amici, quasi tutti abbiamo un’idea, più o meno nitida, di come eravamo o cosa facevamo da piccoli.
Questi ricordi, o il modo in cui ci vengono narrati, spesso plasmano la nostra percezione di chi eravamo: il bambino curioso, timido, vivace, o magari ribelle.
Per alcune persone, questi comportamenti vengono visti come tratti individuali, particolarità che si incastrano nella varietà dell’esperienza umana.
Tuttavia, quando si parla di neurodivergenza, come nel caso dell’autismo, alcuni di questi comportamenti, inizialmente percepiti come “normali eccentricità infantili”, possono in realtà essere i primi segnali di un diverso modo di percepire e interagire con il mondo.
Essere autistici significa spesso avere un’esperienza del mondo unica, che si manifesta fin dalla prima infanzia, anche se non sempre viene riconosciuta immediatamente.
Molti adulti autistici, guardando indietro, riesaminano i propri ricordi o ascoltano i racconti dei genitori e riconoscono quei segnali che, da bambini, erano semplicemente “stranezze” o tratti particolari.
Alcuni di questi possono essere, ad esempio:
- Accarezzare superfici specifiche o “preferite”: Potresti ricordare un oggetto o un tipo di materiale che non riuscivi proprio a lasciare andare, come se il tocco stesso fosse una fonte di conforto e sicurezza. Poteva trattarsi di un pezzo di velluto liscio e soffice, il bordo ben definito di un cuscino, o persino una superficie ruvida, come quella di un tappeto o di una parete. Ti piaceva il contrasto tra la sensazione tattile e la prevedibilità del tocco ripetuto, che ti faceva sentire in controllo. Probabilmente accarezzavi queste superfici nei momenti di calma, ma anche quando ti sentivi stressato, come se quel gesto fosse una specie di “ancora” che ti aiutava a ritrovare equilibrio. Se potevi, portavi l’oggetto preferito con te, piegando o strofinando sempre la stessa parte fino a renderla consumata o logora. Anche i vestiti potevano avere un ruolo: magari indossavi una maglietta o un pigiama specifico non tanto per la loro estetica, ma perché la loro texture ti dava una sensazione piacevole. Se qualcuno ti impediva di accarezzare quella superficie, potevi sentirti infastidito o persino agitato, come se ti fosse stata tolta una parte essenziale del tuo comfort quotidiano.
- Imitare rumori o versi degli oggetti: Se sentivi un suono interessante, come il cigolio di una porta, il ronzio di un motore o il “bip” di un dispositivo elettronico, ti veniva naturale provare a riprodurlo con la tua voce o con altri mezzi. Magari perfezionavi l’imitazione fino a renderla indistinguibile dall’originale, dedicando un’attenzione incredibile ai dettagli del tono, del ritmo e della durata. Non lo facevi solo per divertimento, ma anche perché trovavi affascinante la possibilità di “controllare” quei suoni, trasformandoli in qualcosa che potevi riprodurre a piacimento. Potevi ripetere lo stesso rumore più e più volte, trovando piacere nel perfezionare ogni piccolo aspetto, anche se agli altri poteva sembrare bizzarro o monotono. Se c’era un suono particolarmente complesso, magari dedicavi giorni o settimane a cercare di replicarlo, ascoltandolo con attenzione e provando nuove tecniche per avvicinarti il più possibile all’originale. Questo comportamento poteva emergere anche in momenti di socializzazione, dove invece di rispondere verbalmente a una domanda, riproducevi un suono che ritenevi rilevante o interessante per quella situazione. Anche oggetti quotidiani, come una cerniera che si apriva e chiudeva, potevano diventare una fonte di ispirazione sonora, e a volte potevi riprodurre l’intero “spettacolo sonoro” di un evento, come il rumore di passi seguito dal suono di una porta che si chiudeva. Per te, questi suoni erano come una lingua segreta che usavi per esprimere curiosità e creatività.
- Allineare oggetti in modo meticoloso o creare “schemi” perfetti: Ogni oggetto doveva essere al suo posto preciso, e il tuo modo di organizzare le cose seguiva una logica tutta tua. Poteva essere l’ordine cromatico delle matite, una fila di macchinine disposte per grandezza, o i libri ordinati in base al peso o alla forma. Questo processo non era casuale, ma profondamente appagante: vedere tutto “a posto” ti dava una sensazione di controllo e sicurezza. Se qualcuno disturbava l’ordine che avevi creato, potevi reagire con grande disagio, magari cercando immediatamente di rimettere tutto a posto.
- Camminare in punta di piedi (toe walking): Camminare in punta di piedi poteva essere il tuo modo di esplorare il mondo, un’abitudine che ti faceva sentire leggero o più controllato nei movimenti. Non lo facevi sempre, magari solo in momenti in cui eri molto concentrato o particolarmente eccitato. Per te, camminare in quel modo era naturale, anche se chi ti stava intorno poteva notarlo e chiederti di camminare “normalmente”. Se venivi corretto, forse cercavi di adeguarti, ma senza riuscirci per troppo tempo, tornando inevitabilmente a quella modalità che ti dava un senso di comfort o piacere.
- Pointing ritardato o inesistente: Il pointing, o indicare con il dito per attirare l’attenzione su un oggetto o un evento, è una pietra miliare dello sviluppo che può essere diversa nei bambini autistici. Forse non indicavi gli oggetti come gli altri bambini, preferendo portare fisicamente i tuoi genitori verso ciò che volevi. Questo comportamento non era necessariamente legato a una mancanza di interesse, ma a un diverso modo di comunicare, più basato sull’azione che sul gesto.
- Guardare ripetutamente le luci attraverso le dita: Ti piaceva posizionarti in modo da poter vedere una luce filtrare attraverso le dita, osservando come cambiava colore, intensità o forma a seconda di come muovevi la mano. Era quasi un piccolo spettacolo personale, un effetto visivo che trovavi irresistibile e affascinante. Magari piegavi leggermente le dita o creavi fessure minuscole per concentrare il raggio di luce, studiando con attenzione ogni variazione. Se avevi accesso a oggetti trasparenti, come bicchieri, pellicole di plastica o persino bolle di sapone, potevi trascorrere ore a osservarli mentre giocavano con la luce, creando riflessi, ombre o arcobaleni. Questo comportamento poteva apparire ripetitivo agli occhi degli altri, ma per te era un’esperienza profondamente immersiva, che combinava stimolazione visiva e una sorta di “esperimento” personale. Nei momenti di ansia o confusione, osservare la luce attraverso le dita poteva diventare un modo per calmarti, quasi una forma di meditazione. Anche la luce che passava attraverso una tenda o una finestra poteva catturare la tua attenzione, e magari inclinavi la testa o le mani per ottenere l’angolo perfetto, perdendoti completamente nell’effetto visivo.
- Muovere oggetti davanti agli occhi per osservarne i movimenti o le rifrazioni: Forse ti trovavi spesso a muovere un oggetto, come una penna, un pezzo di stoffa o un filo, proprio davanti agli occhi, osservando attentamente come cambiava l’aspetto dell’oggetto stesso o dell’ambiente circostante. Ti piaceva vedere come una luce si rifletteva o come il movimento veloce creava una sfocatura. Questo comportamento poteva durare a lungo, perché ogni volta che ripetevi il movimento scoprivi qualcosa di nuovo o trovavi il processo incredibilmente calmante. Magari lo facevi in modo quasi automatico, senza renderti conto di quanto fossi assorbito, e se qualcuno cercava di fermarti, potevi sentirti frustrato, perché interrompeva un momento che ti portava piacere e concentrazione.
- Essere alimentariamente selettivo o mangiare sempre la stessa cosa: Potresti aver avuto una relazione molto particolare con il cibo, preferendo una gamma molto ristretta di alimenti o addirittura mangiando solo uno o due tipi di cibo per settimane o mesi. Forse amavi cibi specifici per la loro consistenza – ad esempio, solo cose croccanti come cracker o solo cose morbide come purè – o preferivi evitare alimenti con consistenze miste come zuppe o insalate. Il colore, l’odore o persino la temperatura del cibo potevano essere importanti per te, e se qualcosa non era “giusto”, potevi rifiutarlo completamente, anche se lo avevi amato il giorno prima. Questo comportamento non era solo una preferenza, ma una vera e propria esigenza sensoriale, che ti faceva sentire al sicuro e prevedibile in un mondo di stimoli che potevano sembrare eccessivi.
È importante ricordare che l’autismo è uno spettro, il che significa che le sue manifestazioni sono straordinariamente varie e uniche in ogni individuo.
Non esiste un unico modo di essere autistico, così come non esiste un unico insieme di comportamenti o esperienze che definisca l’autismo per tutti.
Ogni persona nello spettro autistico ha una propria combinazione di tratti, preferenze, sfide e punti di forza.
L’elenco fornito sopra non pretende di favorire un’identificazione completa o universale.
Non tutte le persone autistiche si riconosceranno in ogni descrizione, e questo è perfettamente normale. Alcuni potrebbero ritrovarsi in molti punti, altri in pochi, mentre altri ancora potrebbero avere comportamenti o esperienze del tutto diversi da quelli descritti.
La diversità nelle esperienze autistiche è ciò che rende l’autismo uno spettro: per alcuni, le manifestazioni potrebbero essere più evidenti e influire significativamente sulla vita quotidiana; per altri, potrebbero essere più sottili o emergere solo in contesti specifici.
Questo rende ogni persona autistica unica, ma tutte meritano lo stesso riconoscimento e rispetto per il loro modo autentico di vivere e percepire il mondo.
L’obiettivo di questo elenco non è etichettare o ridurre l’autismo a una serie di caratteristiche predefinite, ma fornire spunti di riflessione e una maggiore consapevolezza sulle possibili esperienze comuni, senza dimenticare la complessità e la varietà che caratterizzano ogni individuo nello spettro.
Infatti, riconoscere comportamenti dell’infanzia come “autistici” può avere un significato profondo e diverso per ogni adulto autistico.
Dire “Uh sì, anch’io lo facevo” non è solo un esercizio nostalgico: può rappresentare un momento di connessione, auto-comprensione e validazione.
Identificare comportamenti infantili come parte dell’autismo permette di riconoscere che c’è sempre stata una coerenza nel proprio modo di essere.
Può essere un modo per collegare il passato al presente e capire che ciò che un tempo sembrava “strano” o “sbagliato” era semplicemente un’espressione autentica della propria neurodivergenza.
Per molte persone autistiche, inoltre, l’infanzia è stata un periodo in cui si sono sentite fraintese o spinte a conformarsi a norme sociali che non potevano rispettare.
Ricordare quei comportamenti e riconoscerli come tratti dell’autismo può portare a una profonda validazione.
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