Molte persone prima di ricevere una diagnosi di ADHD ufficiale e definitiva, descrivono sintomi che sembrano tipici dell’ansia: un continuo vociare interno, pensieri che si accavallano senza tregua, difficoltà a “spegnere la mente” e a trovare un momento di silenzio mentale.
Spesso raccontano di sentirsi sempre in movimento, anche quando il corpo è fermo, e di vivere con la sensazione di avere troppi stimoli, idee o preoccupazioni che si affollano tutte insieme.
Non sorprende, quindi, che in una prima fase interpretino questi segnali come ansia o ipervigilanza.
Tuttavia, in molti casi non si tratta di ansia nel senso classico del termine, ma di una manifestazione cognitiva dell’ADHD: la mente iperattiva, la difficoltà di filtrare i pensieri, il continuo passaggio da un’idea all’altra.
Alcuni di loro arrivano alla diagnosi proprio in modo indiretto, quando notano che un farmaco come il bupropione — che non agisce sulla serotonina ma sulla dopamina e sulla noradrenalina — non solo riduce l’ansia, ma migliora la concentrazione e la chiarezza mentale.

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Cos’è il bupropione e come agisce?
Il bupropione (nome commerciale più noto: Wellbutrin) è un antidepressivo atipico. A differenza degli SSRI — che aumentano la serotonina — il bupropione agisce sulla dopamina e sulla noradrenalina, due neurotrasmettitori chiave nei circuiti cerebrali che regolano:
- l’attenzione,
- la motivazione,
- la memoria di lavoro,
- la capacità di concentrazione,
- l’energia mentale.
Proprio questi stessi sistemi dopaminergici e noradrenergici sono quelli coinvolti nell’ADHD.
Per questo motivo, in diversi paesi il bupropione è utilizzato anche come trattamento per i sintomi dell’ADHD, soprattutto negli adulti che non tollerano o non desiderano assumere i farmaci per l’ADHD più conosciuti: gli stimolanti classici (come metilfenidato o anfetamine).

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ADHD e Wellbutrin: quando il bupropione riduce l’ansia (anziché aumentarla)
Un effetto interessante del bupropione è che può ridurre l’ansia in alcune persone, ma peggiorarla in altre.
La differenza dipende spesso dal profilo neurobiologico di chi lo assume:
- In chi soffre di ansia primaria (senza ADHD), il bupropione può essere troppo stimolante e portare a insonnia o agitazione, andando a peggiorare, quindi, i sintomi ansiosi.
- In chi è ADHD, invece, lo stesso effetto dopaminergico può risultare calmante: la mente diventa più focalizzata, meno dispersa, e di conseguenza l’ansia “secondaria” cala.
Questo avviene perché molte persone ADHD non sono ansiose in sé, ma sviluppano ansia come conseguenza della disorganizzazione: arrivare tardi, dimenticare scadenze, sentirsi sopraffatti, temere di fallire.
Quando l’attenzione migliora, l’ansia si riduce “a monte”, perché la persona riesce a gestire meglio la vita quotidiana.

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Perché lo psichiatra può considerare la risposta al bupropione un indizio di ADHD?
Quando un paziente riferisce che con il bupropione si sente più lucido, concentrato, con meno ansie, energico ma paradossalmente più calmo, lo psichiatra può interpretarlo come un segnale compatibile con l’ADHD.
Non come diagnosi in sé, ma come indicatore di funzionamento dopaminergico tipico dei disturbi dell’attenzione.
In parole semplici:
- se il farmaco stimolante riduce l’ansia e migliora la chiarezza mentale,
- e non la peggiora (come accadrebbe in chi ha solo ansia generalizzata),
allora è possibile che il problema di base sia una disregolazione attentiva più che ansiosa.

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Risposta ai farmaci come indizio diagnostico: è comune nella pratica clinica?
Come abbiamo visto, spesso la risposta ai farmaci può fornire indizi utili sulla natura della condizione.
Questo non significa che la diagnosi si faccia “per tentativi ed errori”, ma che l’osservazione della risposta terapeutica può far parte del percorso diagnostico complessivo.
Abbiamo visto, ad esempio, come durante un iter di valutazione per sospetto ADHD, può capitare che si prescriva inizialmente un farmaco come il bupropione, prima di passare a stimolanti classici come il metilfenidato. In questi casi, la risposta (positiva o meno) al trattamento può contribuire a orientare il ragionamento clinico.
Allo stesso modo, in un quadro depressivo che in realtà sottende un disturbo bipolare, la somministrazione di un antidepressivo può indurre un viraggio maniacale o ipomaniacale, fornendo così un indizio retrospettivo sul fatto che non si trattasse di una depressione unipolare.
Attenzione però, cautela: il fatto che una persona risponda positivamente al bupropione non significa di per sé che abbia un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
L’osservazione della risposta farmacologica può rappresentare un elemento utile solo all’interno di un percorso diagnostico già orientato dal sospetto clinico, e non uno strumento di diagnosi autonoma.
In altre parole, il miglioramento dell’attenzione, della concentrazione o dell’energia dopo l’assunzione di bupropione può fornire un indizio solo se la valutazione complessiva — anamnestica, comportamentale e psicometrica — suggerisce la possibilità di ADHD.
Poiché il bupropione può migliorare anche sintomi presenti in altri disturbi, come la depressione o alcune forme di ansia, la risposta positiva al farmaco non è specifica per l’ADHD.
Per questo, l’interpretazione della risposta terapeutica deve sempre essere contestualizzata all’interno di un inquadramento clinico più ampio, condotto da un professionista qualificato.

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