Quando si parla di cosplay capita spesso di imbattersi in un’osservazione ricorrente: nei contesti legati al cosplay sembra esserci una presenza significativa di persone nello spettro autistico, tanto che qualcuno si domanda se esista un legame diretto tra le due realtà.
È importante chiarire fin da subito che non c’è alcuna sovrapposizione clinica o un nesso causale che spieghi questo fenomeno: non significa che “chi fa cosplay è autistico” né che “chi è autistico fa cosplay”.
Eppure, la percezione di una forte presenza di persone neurodivergenti in queste comunità è reale e merita una riflessione.
Perché proprio il cosplay, con le sue caratteristiche espressive e identitarie, sembra essere così frequentato anche da persone autistiche?
È un dato che invita a interrogarsi, non per trarre conclusioni affrettate, ma per comprendere meglio le possibili ragioni psicologiche e sociali che rendono questo ambito particolarmente accogliente per chi vive una condizione di neurodivergenza.
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Che cos’è il Cosplay?
Il termine cosplay deriva dall’unione delle parole inglesi “costume” e “play”, cioè “giocare a travestirsi”. Con questa espressione si indica la pratica di indossare i panni di un personaggio, reale o immaginario, proveniente da mondi narrativi come anime, manga, fumetti, film, serie tv, videogiochi o libri.
Il cosplay non è soltanto un semplice travestimento: non si limita a riprodurre fedelmente i tratti estetici di un personaggio, ma implica anche l’interpretazione, la messa in scena e, per molti, l’immedesimazione temporanea in quel ruolo.
I cosplayer, infatti, non solo costruiscono o indossano costumi curati nei dettagli, ma spesso adottano i gesti, il linguaggio e l’atteggiamento del personaggio scelto, dando vita a una vera e propria performance identitaria.
Dietro questa pratica si nasconde un universo complesso e sfaccettato: c’è la dimensione artigianale, fatta di sartoria, trucco, acconciature, accessori, elettronica o stampa 3D, che stimola creatività e competenze manuali; c’è la dimensione sociale, legata alla partecipazione a convention, fiere ed eventi, in cui le persone si incontrano, si fotografano, competono o semplicemente condividono passioni comuni; e c’è la dimensione personale, in cui il cosplay diventa un mezzo per esplorare la propria identità, esprimere parti di sé, sperimentare ruoli e sentirsi parte di una comunità.
Il cosplay è quindi molto più che un hobby: è una forma di espressione culturale e artistica che permette di vivere in prima persona storie amate, di intrecciare relazioni basate su passioni condivise e di dare spazio alla creatività individuale.
Per alcuni rappresenta una passione occasionale, per altri diventa un vero e proprio stile di vita, una modalità di appartenenza e di autorappresentazione che si intreccia con il proprio percorso personale.
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Perché ci sono tante persone autistiche nei contesti di Cosplay?
Posto che, allo stato attuale, non esiste una correlazione clinica dimostrata tra autismo e cosplay, e che questo vuole essere un articolo per rispondere ad una curiosità più che ad un reale dato, la nostra riflessione procederà su due binari complementari: da un lato la logica clinica e l’osservazione professionale maturate nella pratica quotidiana, che ci aiutano a formulare ipotesi prudenti senza scivolare in spiegazioni riduzionistiche; dall’altro, l’ascolto delle testimonianze dirette di persone autistiche, familiari e membri delle community cosplay che segnalano una presenza numericamente rilevante nei contesti di riferimento.
Tratteremo queste testimonianze per ciò che sono, cioè evidenze aneddotiche, utili a orientare domande e a illuminare vissuti, senza confonderle con prove scientifiche generalizzabili.
L’obiettivo non è trovare un nesso causale, bensì comprendere perché alcuni elementi del cosplay possano risultare attrattivi, accessibili o regolanti per alcune persone autistiche (e non per tutte), mantenendo un linguaggio rispettoso della neurodiversità ed evitando stereotipi.
Questo quadro metodologico ci consentirà, nei punti elenco che seguono, di esplorare possibili spiegazioni psicologiche e sociali e di proporre indicazioni pratiche per lettori, professionisti, famiglie e organizzatori di eventi.
Nello specifico, noi abbiamo pensato a:
- Interesse specifico per personaggi: uno dei tratti che caratterizzano alcune persone autistiche è la tendenza a sviluppare un’intensa focalizzazione su interessi specifici. Nel contesto del cosplay, questa caratteristica trova un terreno fertile: molti scelgono di dedicarsi ai loro personaggi preferiti con grande dedizione, replicandone l’aspetto nei minimi dettagli. In questo modo, un sintomo che altrove potrebbe essere percepito come limitante, si trasforma in un punto di forza e in una fonte di divertimento, riconoscimento e soddisfazione personale.
- Fantasy come meccanismo di difesa: per alcune persone autistiche che faticano a comprendere le norme sociali implicite, il ricorso al mondo fantasy diventa un rifugio sicuro e un meccanismo di difesa. All’interno di universi immaginari, regolati da logiche chiare e narrative, le difficoltà della vita sociale quotidiana sembrano ridimensionarsi. Il cosplay, che rappresenta una vera e propria “mecca” del fantasy, diventa così un terreno naturale di attrazione: non solo perché offre la possibilità di vestire i panni dei propri personaggi preferiti, ma anche perché permette di abitare un contesto dove l’immaginario sostituisce l’ambiguità delle interazioni reali e riduce il peso della dissonanza sociale.
- Il cosplay come sospensione dell’etichetta sociale: alcune testimonianze raccontano che, indossando un costume, la percezione di sé e quella degli altri cambia radicalmente. Può capitare che la persona venga percepita come “più normale” o “meno autistica” quando si muove in un contesto cosplay, perché la maschera sociale del personaggio consente di bypassare alcune difficoltà relazionali. Non sempre questo è vissuto in maniera positiva: se da un lato rappresenta un sollievo momentaneo (smetto di essere autistic* quando si fa cosplay), dall’altro può generare un senso di estraneità rispetto alla propria identità autentica. “Non sono io in quel momento, sto interpretando un ruolo scritto da altri”, dice chi vive questa esperienza. È una frase che racchiude bene l’ambivalenza del cosplay: da una parte protezione e libertà, dall’altra il rischio di sentirsi accettati solo dietro una maschera.
- Espressione identitaria mediata dal personaggio: per molte persone autistiche la gestione diretta della propria identità sociale può essere faticosa, soprattutto nei contesti caratterizzati da norme implicite o da richieste di adattamento rapido. Il cosplay permette di indossare un personaggio e, attraverso di esso, sperimentare modalità relazionali che altrimenti sarebbero più complesse. La maschera del costume non annulla l’individualità, ma diventa un mediatore: facilita l’ingresso in interazioni sociali e rende più semplice comunicare emozioni, interessi e passioni. In questo modo il cosplay diventa un veicolo di espressione identitaria protetta e condivisa.
- Riduzione del peso dell’interazione non mediata: molte persone autistiche faticano a gestire interazioni spontanee e improvvisate. Nel cosplay, invece, l’interazione è spesso mediata dal costume e dal ruolo: questo può alleggerire la pressione sociale, perché consente di comunicare attraverso la rappresentazione del personaggio piuttosto che direttamente come sé stessi. Non si tratta di nascondersi, ma di avere uno strumento che filtra e rende più sostenibile il contatto con gli altri. La distanza che il personaggio offre diventa quindi un mezzo per avvicinarsi alla relazione senza sentirsi completamente esposti.
- Canali di socializzazione strutturata: oltre al costume e al ruolo, gli eventi di cosplay e le fiere dedicate offrono occasioni di incontro basate su regole e ruoli chiari: ci si veste da un personaggio, si partecipa a sfilate, ci si incontra con altri appassionati, si scattano foto. Questa cornice esplicita rende più comprensibili e prevedibili le interazioni sociali, riducendo la difficoltà di decodificare segnali impliciti o ambigui. In questo senso, il cosplay può diventare un modo per sperimentare la socialità in un contesto “protetto”, dove le aspettative sono chiare e condivise e dove la passione comune crea un terreno di partenza già consolidato.
- Struttura e prevedibilità degli universi narrativi: molte opere da cui nascono i personaggi di cosplay appartengono a mondi strutturati, governati da regole chiare e coerenti. Per chi è autistico, la possibilità di immergersi in contesti ordinati e prevedibili può risultare rassicurante, perché riduce l’impatto dell’imprevedibilità tipica delle interazioni sociali quotidiane. Sapere che un personaggio agirà in un certo modo, che le dinamiche della storia seguono una logica interna, offre un senso di sicurezza che rende l’esperienza più accessibile e coinvolgente. Tuttavia, questo non significa rifugiarsi in un mondo “parallelo” in senso patologico, ma piuttosto poter disporre di un contesto stabile attraverso cui esprimersi.
- Routine creativa e ritualità rassicurante: la preparazione di un costume richiede pianificazione, attenzione ai dettagli, cura ripetitiva di piccoli passaggi tecnici. Per alcune persone autistiche, questo processo può assumere una valenza regolante perché si inserisce in una logica di ritualità costruttiva. Seguire step precisi, dedicarsi a una sequenza di attività artigianali, controllare i dettagli e migliorare progressivamente l’abito non è solo un atto creativo, ma anche un’esperienza che dà struttura al tempo e riduce l’ansia. La ritualità non è necessariamente ossessiva, ma può diventare un modo per canalizzare energie e interessi specifici.
- Accoglienza delle comunità: le comunità legate al cosplay, sia online che dal vivo, sono spesso caratterizzate da un forte senso di inclusione, dove l’originalità, l’attenzione al dettaglio e la passione sono più valorizzati che criticati. Questo clima può risultare particolarmente accogliente per persone autistiche, che talvolta vivono esperienze di esclusione in contesti sociali tradizionali. Trovare uno spazio in cui si è apprezzati per la propria dedizione, creatività e autenticità può avere un valore psicologico molto positivo, rafforzando il senso di appartenenza e autostima.
- Valorizzazione della creatività e delle competenze pratiche: realizzare un cosplay può richiedere abilità manuali, artistiche e tecnologiche: cucito, trucco, artigianato, stampa 3D, elettronica. Per alcune persone autistiche, che sviluppano competenze molto raffinate in aree specifiche, questo diventa un campo di applicazione concreto e gratificante. Non si tratta solo di esprimere creatività, ma anche di sperimentare un senso di padronanza e di autoefficacia che rinforza il benessere psicologico.
Non sappiamo se siamo riusciti davvero a non cadere in qualche inevitabile generalizzazione, perché il rischio in un tema tanto complesso è sempre presente.
Quello che abbiamo provato a fare è mettere insieme riflessioni basate sulla logica clinica e sulle esperienze raccolte dalle persone stesse che vivono sia la dimensione dell’autismo che quella del cosplay.
Non c’è una spiegazione clinica che stabilisca un nesso diretto tra le due realtà, ma ci sono ipotesi, osservazioni ed elementi di senso che ci aiutano a comprendere come mai, nei contesti cosplay, si incontrino così spesso persone autistiche o più in generale neurodivergenti.
Più che dare risposte definitive, questo contributo intende aprire uno spazio di dialogo, ascolto e comprensione, nel rispetto delle differenze individuali e della ricchezza che portano con sé.
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