Uno degli aspetti estremamente comuni nell’ADHD riguarda il rapporto con l’alimentazione.
Molte persone ADHD si ritrovano a vivere una vera e propria dualità nel modo in cui mangiano, oscillando tra due estremi apparentemente inconciliabili: da un lato, la totale dimenticanza di nutrirsi, dall’altro, un’alimentazione disorganizzata, frenetica, a tratti compulsiva.
Questi due pattern alimentari tipici nel disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività potremmo chiamarli colloquialmente “Mi-dimentico-di-mangiare-mode” vs. “Mangio-tutto-quello-che-trovo-mode”.
Questa alternanza può risultare confusa, frustrante e spesso difficile da spiegare sia a sé stessi che agli altri.
Capita così che in certi momenti si trascorrano ore senza avvertire fame o senza nemmeno accorgersi del tempo che passa, immersi in un’attività che assorbe completamente l’attenzione.
In altri momenti, invece, il cibo diventa una fonte immediata di stimolazione e gratificazione, un modo per regolare l’umore, placare l’agitazione o semplicemente cercare conforto nel mezzo del caos.
Questa forte variabilità nella relazione con il cibo porta spesso le persone ADHD a chiedersi come sia possibile avere un appetito tanto incostante, che un giorno sembra inesistente e quello dopo diventa insaziabile.
Nelle prossime righe approfondiremo le radici di questa esperienza così comune tra chi convive con l’ADHD.
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Ipoalimentazione da disattenzione nell’ADHD
L’ipoalimentazione da disattenzione, conosciuta anche come “ADHD del digiuno”, è una manifestazione alimentare frequentemente osservata nelle persone ADHD.
Questa si esprime attraverso un pattern restrittivo non intenzionale, caratterizzato da un’inibizione dell’appetito non volontaria e da una trascuratezza alimentare che non trova spiegazione in fattori fisiologici o in motivazioni dietetiche consapevoli.
Le ragioni che determinano questo fenomeno sono molteplici:
- iperfocalizzazione: uno dei fattori principali è l’iperfocalizzazione, ovvero la tendenza a concentrarsi in maniera intensa e selettiva su un’attività specifica, escludendo tutto ciò che non è direttamente collegato a essa. In questo stato, la persona può non percepire i segnali di fame, o percepirli in modo attenuato o ritardato. Il sistema attentivo, infatti, filtra selettivamente le informazioni in entrata, e i bisogni corporei possono venire temporaneamente “disattivati”. Questo determina una vera e propria disconnessione dai segnali fisiologici, in cui la fame non viene ignorata intenzionalmente, ma semplicemente non viene registrata a livello cosciente.
- ridotta interocezione: le persone ADHD presentano spesso una ridotta interocezione, cioè una difficoltà a percepire in modo chiaro e tempestivo i segnali provenienti dal proprio corpo, come la fame, la sete o la stanchezza. In questo caso, il segnale corporeo può essere presente ma viene interpretato male o ignorato del tutto. Ne deriva una regolazione alimentare discontinua, dove l’azione del nutrirsi avviene solo in momenti di fame estrema o malessere fisico, e non come risposta naturale a un bisogno fisiologico.
- disfunzione esecutiva: un’altra componente fondamentale è rappresentata dalle difficoltà esecutive, che includono problematiche nell’avvio, nella pianificazione e nella sequenza delle azioni. Preparare un pasto, anche semplice, richiede una serie di passaggi cognitivi e decisionali che possono risultare estremamente faticosi in presenza di disfunzioni esecutive. Questo può portare a uno stato di stallo, in cui la persona è consapevole della necessità di mangiare, ma non riesce a tradurre questa consapevolezza in un comportamento concreto. L’inizio stesso dell’atto alimentare può diventare un ostacolo, contribuendo così al mantenimento del pattern restrittivo.
- assenza di routine alimentari strutturate e cecità temporale: è un ulteriore elemento critico. Le persone ADHD faticano spesso a costruire e mantenere ancore temporali stabili durante la giornata, come orari fissi per i pasti o pause predefinite. In assenza di queste strutture, l’alimentazione tende a scomparire dallo schema quotidiano. Inoltre, la percezione del tempo è spesso alterata nel profilo ADHD: la cosiddetta “cecità temporale” porta a una sottostima del tempo che passa, e a una conseguente omissione dei pasti che può protrarsi per molte ore, senza che il soggetto ne sia realmente consapevole.
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Iperalimentazione da disregolazione emotiva nell’ADHD
L’iperalimentazione da disregolazione emotiva, comunemente riscontrata nelle persone ADHD, rappresenta l’altro estremo della dualità alimentare frequentemente osservata in questo disturbo.
In questo caso, si assiste a un comportamento alimentare caratterizzato da una spinta impulsiva e disorganizzata verso l’assunzione di cibo, che si configura come una ricerca compulsiva di gratificazione e di autoregolazione affettiva.
A differenza dell’ipoalimentazione da disattenzione, qui il cibo assume un ruolo centrale come strumento per modulare stati emotivi difficili da gestire attraverso altri mezzi.
Questo pattern si manifesta con una fame da compensazione dopaminergica, ovvero con una spinta ad assumere alimenti – spesso altamente calorici, zuccherati o ricchi di grassi – che abbiano la capacità di stimolare rapidamente il sistema dopaminergico.
In molti soggetti ADHD, la regolazione dei neurotrasmettitori come la dopamina risulta alterata, portando a un costante stato di sotto-stimolazione.
Il cibo diventa così un mezzo immediato, accessibile e socialmente tollerato per ottenere quella stimolazione che il cervello percepisce come necessaria per regolare il tono dell’umore, l’energia e l’attenzione.
L’impulsività, sintomo cardine dell’ADHD, gioca un ruolo determinante nel favorire episodi di iperalimentazione.
La difficoltà a inibire comportamenti automatici o ad attendere una gratificazione futura favorisce un pattern alimentare in cui la persona agisce sulla base dell’impulso momentaneo, spesso in risposta a un’emozione intensa o a uno stato di noia o frustrazione.
Il cibo viene consumato in modo rapido, disorganizzato, con poca consapevolezza, e talvolta senza reale percezione di fame fisiologica.
Questo comportamento è riconducibile a una vera e propria compensazione neurochimica, in cui l’atto alimentare viene utilizzato come tentativo di regolare in modo immediato uno squilibrio interno — sia esso emotivo, energetico o attentivo.
Il cibo, quindi, non è assunto con l’obiettivo primario di nutrirsi, ma piuttosto per contenere stati emotivi intensi o per colmare un vuoto stimolativo.
Tale dinamica rende l’assunzione alimentare fortemente condizionata da stati interni fluttuanti, e quindi difficilmente regolabile con la sola forza di volontà o con strategie comportamentali semplici.
L’iperalimentazione da disregolazione emotiva condivide diverse caratteristiche con il disturbo da alimentazione incontrollata, noto anche come binge eating disorder, con cui l’ADHD mostra una comorbidità significativa.
In entrambi i casi si osservano episodi di assunzione compulsiva di cibo, perdita di controllo, senso di colpa post-prandiale e una stretta correlazione con fattori emotivi scatenanti.
Il cibo, in questo quadro, funziona come fonte di autoregolazione accessibile, e in quanto tale viene ricercato con maggiore insistenza nei momenti di instabilità emotiva, stress, solitudine o sovraccarico sensoriale.
In molti casi, i comportamenti assimilabili al binge eating osservati nelle persone ADHD rappresentano, appunto, una comorbidità vera e propria, in cui il disturbo alimentare si configura come disturbo primario associato alla neurodivergenza; in altri casi, invece, si tratta di manifestazioni comportamentali direttamente collegate ai sintomi nucleari dell’ADHD, come impulsività, disregolazione emotiva e ricerca dopaminergica, che pur assumendo un pattern simile al binge eating, non soddisfano pienamente i criteri diagnostici formali per un DCA, ma ne condividono molte dinamiche funzionali e soggettive.
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