Come abbiamo già detto, psicoeducazione e coaching possono sembrare la stessa cosa, ma in realtà sono interventi diversi, anche se complementari, che noi, per esempio, offriamo all’interno di un unico percorso. La psicoeducazione è la parte più educativa, in cui si comprendono i meccanismi dell’ADHD e del proprio funzionamento, mentre il coaching è la parte più pratica e operativa, dove si imparano e si mettono in atto strategie concrete per gestire la vita quotidiana.
La psicoterapia, invece, è un percorso ancora diverso: non si concentra tanto sul “fare meglio”, ma sul “stare meglio”, lavorando in modo più profondo sulla storia personale, sulle emozioni, sull’autostima e sulle dinamiche che possono aver generato sofferenza o difficoltà nel tempo.
Psioeducazione e coaching: nella psicoeducazione l’accento è educativo, nel coaching psicologico per l’ADHD l’accento è operativo. Nel percorso che noi di GAM abbiamo strutturato appositamente, si parte da una psicoeducazione mirata per comprendere come funziona la propria attenzione, la memoria di lavoro e la regolazione degli impulsi, e si traduce questa consapevolezza in strumenti concreti per il quotidiano (es. pianificazione, gestione del tempo, priorità, sistemi di promemoria, routine sostenibili). Il setting è generalmente più strutturato e a breve-medio termine: incontri scanditi da obiettivi specifici e misurabili, compiti tra una seduta e l’altra, monitoraggi frequenti dei risultati, un linguaggio orientato all’azione e al “come fare”. Il focus è il funzionamento: ridurre la procrastinazione, consegnare in tempo, gestire la burocrazia, migliorare la coordinazione tra studio/lavoro e vita personale. La relazione è collaborativa e direttiva quanto basta per sostenere sperimentazioni, feedback rapidi e aggiustamenti iterativi. In questo contesto, il “successo” si valuta in termini di cambiamenti osservabili nelle abitudini e nella qualità della vita.
Psicoterapia: la psicoterapia, invece, è un intervento clinico che lavora sulla sofferenza psicologica. Il setting è diverso: tempi spesso più lunghi, una cornice metodologica fondata su modelli teorici specifici (per esempio cognitivo-comportamentale, psicodinamico, sistemico ecc), un’attenzione centrale alla dimensione emotiva e alla relazione terapeutica come spazio di comprensione e trasformazione. L’obiettivo non è solo “funzionare meglio”, ma comprendere il perché di certi pattern e modificare alla radice i processi che generano sofferenza, promuovendo un cambiamento profondo e duraturo. Anche la valutazione degli esiti segue un’altra logica: non soltanto indicatori comportamentali, ma anche riduzione dei sintomi, maggiore regolazione emotiva, nuove modalità di stare in relazione con sé e con gli altri.
Queste differenze si riflettono nei confini e nelle responsabilità: nel coaching si lavora quando non è presente una sofferenza clinica marcata e l’obiettivo è affinare abilità e strategie; se durante il percorso emergono segnali di disagio psicologico rilevante, il professionista indirizza o integra con un percorso psicoterapeutico. In psicoterapia, al contrario, la priorità è la tutela del benessere emotivo e la cura della sofferenza: si esplorano storia personale, credenze profonde, vulnerabilità e risorse, si rielaborano esperienze e si costruiscono nuovi significati. In altre parole, approccio, setting e obiettivi non coincidono: il coaching è il contesto del “fare meglio” sulla base di una consapevolezza operativa; la psicoterapia è il contesto del “stare meglio” intervenendo sulle cause e sui processi interni.
Per chi convive con l’ADHD, i due percorsi possono dialogare: la psicoeducazione offre il primo strato di consapevolezza, il coaching aggiunge lo strato delle strategie efficaci per il quotidiano, e la psicoterapia—quando necessaria—lavora sulle radici emotive e relazionali che ostacolano il cambiamento.