Sì, si può essere anoressici anche senza essere sottopeso. Questa condizione ha un nome preciso nella letteratura clinica: anoressia nervosa atipica.
Si tratta di una forma di disturbo alimentare che, pur condividendo gli stessi pensieri, paure e comportamenti dell’anoressia “classica”, non comporta necessariamente un calo ponderale significativo.
La persona mantiene un peso considerato “nella norma” — o in alcuni casi superiore — ma vive la stessa ossessione per il controllo, la paura di ingrassare, la distorsione dell’immagine corporea e l’ansia costante legata al cibo.
Nella nostra pratica clinica con i disturbi del comportamento alimentare, ci capita spesso di incontrare adulti e giovani adulti che arrivano tardi alla diagnosi proprio per questo motivo: “Non ero magra, quindi pensavo di stare bene”.
Eppure, sotto quella normalità apparente, si nasconde la stessa sofferenza, la stessa rigidità e lo stesso senso di colpa di chi presenta un’anoressia visibile.
I disturbi alimentari non sono solo “disturbi del cibo”
Sebbene i termini “disturbi del comportamento alimentare” o il più attuale “disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” facciano pensare a un problema legato al mangiare, nella realtà clinica il cibo è solo il mezzo, non il fine.
Il nucleo dei DCA risiede in una difficoltà profonda nel regolare emozioni, autostima e senso di valore personale.
Mangiare, non mangiare, controllare il corpo, misurare le calorie o compensare con l’esercizio diventano strategie di gestione del controllo e dell’ansia.
L’anoressia, come la bulimia o il disturbo da alimentazione incontrollata, è un linguaggio del disagio, non una semplice alterazione dell’appetito.
Per questo motivo, una persona può avere un disturbo alimentare pur mantenendo un peso nella norma: il problema non è solo quanto si mangia, ma come si vive il rapporto con il cibo e con sé stessi.
Quando la mente è “anoressica” ma il corpo no
Nel caso dell’anoressia nervosa, l’immagine più nota è quella di un corpo estremamente magro.
Tuttavia, la caratteristica principale non è il peso, bensì la paura intensa di ingrassare, accompagnata da una distorsione dell’immagine corporea e da comportamenti restrittivi (limitazione del cibo, esercizio eccessivo, rituali di controllo).
In alcuni casi, questi comportamenti non portano a un calo ponderale drastico — per esempio:
- perché la restrizione alimentare è compensata da fasi di alimentazione più regolare;
- perché il metabolismo si è adattato;
- o perché la persona parte da un peso più alto e rimane nel range “normale” per molto tempo.
Eppure, dal punto di vista psicologico, l’esperienza soggettiva è identica a quella di chi ha una forma conclamata di anoressia: paura costante del cibo, ipercontrollo, pensieri intrusivi sul peso, senso di colpa dopo ogni pasto, bisogno di purezza o perfezione.
L’anoressia, dunque, può esistere anche in assenza di sottopeso.
In questi casi si parla di anoressia nervosa atipica o di disturbo alimentare sottosoglia.
L’anoressia nervosa atipica: definizione clinica
L’anoressia nervosa atipica è stata riconosciuta come diagnosi ufficiale nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali).
Si tratta di una condizione in cui la persona soddisfa tutti i criteri dell’anoressia nervosa, tranne uno: non presenta un peso corporeo significativamente basso.
In altre parole:
- la restrizione alimentare è presente;
- la paura di ingrassare è costante;
- l’autostima è fortemente legata al controllo del peso e della forma del corpo;
- ma il peso corporeo rimane nel range “normale” o leggermente superiore.
Questa forma atipica è tutt’altro che rara: negli ultimi anni si stima che rappresenti fino a un terzo dei casi di anoressia nervosa, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti.
È importante sottolineare che l’assenza di sottopeso non implica un disturbo meno grave.
Al contrario, chi soffre di anoressia atipica può sperimentare livelli di ansia, depressione, ossessioni e comportamenti compensatori altrettanto intensi.
Perché si può essere anoressici senza dimagrire
Ci sono diversi motivi per cui una persona può vivere un’esperienza anoressica senza perdere peso in modo visibile.
- Il corpo si adatta: il metabolismo tende a rallentare in caso di restrizione calorica, per cui il peso può stabilizzarsi anche in presenza di un apporto ridotto.
- Il peso di partenza è alto: molte persone iniziano un percorso restrittivo da una condizione di sovrappeso o normopeso alto, per cui la perdita non raggiunge i limiti clinici della “magrezza patologica”.
- Le compensazioni si alternano: fasi di restrizione estrema possono alternarsi a momenti di alimentazione “normale”, impedendo un calo costante ma mantenendo il ciclo ossessivo-controllante tipico del disturbo.
- L’aspetto corporeo non riflette la sofferenza: il corpo può mascherare il disagio per mesi, mentre la mente resta intrappolata in pensieri ossessivi sul controllo, la purezza e il peso.
L’errore più comune è quindi valutare la gravità del disturbo solo dall’aspetto fisico, quando invece la compromissione psicologica e relazionale è ciò che definisce la patologia.
Quando il corpo “non racconta” il disturbo
Una delle difficoltà maggiori per chi soffre di anoressia senza sottopeso è non essere creduto.
Amici, familiari o persino operatori sanitari possono dire: “Ma non sembri malata”, oppure “Hai un bell’aspetto, stai bene così”.
Queste frasi, anche se dette in buona fede, possono rafforzare il senso di invisibilità e vergogna.
Il corpo, in questi casi, diventa un paradosso clinico: è l’unico sintomo osservabile, ma non sempre visibile.
Eppure il disagio interiore è reale: chi soffre di anoressia atipica può presentare sintomi fisici (stanchezza, bradicardia, disturbi mestruali, vertigini) e sintomi psicologici intensi (ossessioni, paura del cibo, isolamento).
Riconoscere l’anoressia atipica significa restituire visibilità clinica a chi non rientra negli stereotipi del disturbo.
Il rischio clinico del ritardo diagnostico nell’anoressia atipica
Uno degli aspetti più preoccupanti dell’anoressia nervosa atipica è che spesso non viene riconosciuta in tempo.
Molti pazienti non rientrano nei criteri tradizionali di ricovero o non vengono inviati ai centri specializzati, perché “non sembrano abbastanza gravi”.
Questo ritardo nella diagnosi può favorire:
- la cronicizzazione del disturbo;
- l’evoluzione verso altre forme di DCA (bulimia, disturbo evitante-restrittivo, ortoressia);
- la comparsa di sintomi ansiosi o depressivi secondari.
Inoltre, l’invisibilità fisica può alimentare un senso di colpa: “non sto così male da meritare aiuto”.
Questo auto-sabotaggio è una delle barriere più difficili da superare in terapia.
Quindi si, si può essere anoressici anche senza essere sottopeso, perché l’anoressia non è una taglia, ma un modo di percepire sé stessi.
Ridurre un disturbo del comportamento alimentare alla forma fisica significa ignorare tutto ciò che lo genera: la paura, il perfezionismo, il bisogno di controllo, la difficoltà a chiedere aiuto.
Come clinica specializzata nei disturbi del comportamento alimentare, vediamo ogni giorno quanto l’anoressia possa essere invisibile e quanto, al tempo stesso, incida profondamente sulla qualità della vita.
Il nostro lavoro consiste nel dare voce e riconoscimento anche a chi non “sembra” malato, accompagnando ogni persona in un percorso personalizzato di comprensione, cura e ricostruzione di sé.
Un disturbo alimentare non si misura sulla bilancia: si misura nella fatica di vivere in pace con sé stessi.
 
								 
															 
															 
															 
															



