Chi ha avuto modo di interagire, anche solo occasionalmente, con una persona autistica, si sarà probabilmente imbattuto in un comportamento che inizialmente può risultare curioso, spiazzante o addirittura inspiegabile: la tendenza a porre la stessa domanda più volte, spesso in modo identico oppure riformulandola con parole diverse, ma sempre tornando sullo stesso identico interrogativo.
Questo fenomeno può manifestarsi in una varietà di contesti, dalle situazioni quotidiane più semplici, come chiedere “A che ora si mangia?”, fino a questioni più complesse, come “Perché quella persona ha fatto così?”.
Ciò che colpisce non è solo la ripetizione in sé, ma la frequenza e la costanza con cui essa si presenta: anche dopo che è stata fornita una risposta chiara, precisa e rassicurante, la persona autistica potrebbe continuare a chiedere la stessa cosa, senza apparente motivo, e talvolta anche a breve distanza di tempo dalla risposta precedente.
Questo comportamento può sorprendere, confondere o persino esasperare chi non ha familiarità con le dinamiche dell’autismo, portando a domandarsi se non si tratti di una forma di test, di sfida, di insistenza gratuita o di distrazione.
In realtà, osservando con attenzione, si nota che questa ripetizione non è mai del tutto casuale, né è messa in atto con lo scopo di infastidire.
Nelle prossime righe capiremo quindi quali sono le principali motivazioni per le quali le persone nello spettro autistico, spesso, chiedono più volte la stessa cosa.
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Perché le Persone Autistiche Fanno più Volte la Stessa Domanda?
Come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, la tendenza delle persone autistiche a ripetere frequentemente le stesse domande non è affatto un comportamento privo di senso o una semplice “mania”, ma affonda le sue radici in motivazioni profonde, articolate e, soprattutto, diversificate.
È fondamentale ricordare che l’autismo è uno spettro: ciò significa che ogni individuo autistico ha caratteristiche, sensibilità e bisogni diversi.
Non esiste una spiegazione unica e valida per tutti, ma esistono tendenze comuni che aiutano a comprendere alcuni tratti comportamentali osservabili.
Ecco perché quando osserviamo una persona autistica che pone più volte la stessa domanda, possiamo ipotizzare diverse ragioni alla base di quel comportamento, che vanno considerate con attenzione, rispetto e senza riduzionismi.
Le motivazioni più comuni includono:
- Ecolalia strutturata (ripetizione verbale di frasi, comprese le domande): l’ecolalia è un fenomeno linguistico in cui una persona ripete parole, frasi o suoni che ha sentito in precedenza. L’ecolalia nell’autismo può manifestarsi in forme molto varie, e non si limita a ripetere brevi parole o versi sentiti casualmente: può includere anche intere frasi, espressioni complesse, e, in modo particolare, domande strutturate. La persona può ripetere una domanda che ha sentito o formulato lei stessa non tanto per ottenere una risposta, ma per il piacere sensoriale del suono, della sequenza verbale, o per il senso di rassicurazione che quella formula linguistica trasmette. Questa ripetizione può essere immediata (subito dopo aver sentito una domanda) oppure differita (dopo minuti, ore o anche giorni). In alcuni casi, le domande non sono rivolte davvero a un interlocutore, ma vengono dette “in aria”, come una sorta di eco mentale resa udibile. Quando l’ecolalia ha questa funzione, non si tratta di una richiesta di informazione vera e propria, ma di un meccanismo interno, che può essere regolativo, confortante, o addirittura stimolatorio sul piano sensoriale. In questi casi, la domanda diventa una sorta di “mantra” ripetitivo, che dà forma e struttura al pensiero o modula l’attivazione cognitiva o emotiva.
- Funzione stimolatoria o autostimolazione verbale (self-stim): in molti casi, la ripetizione di domande rientra in ciò che viene definito comportamento autostimolatorio, o “stimming”. Si tratta di azioni ripetitive (come dondolarsi, battere le mani, ruotare oggetti, ecc.) che aiutano la persona a regolare l’attivazione emotiva o sensoriale. Quando lo stimming è di tipo verbale, può manifestarsi come ecolalia o come ripetizione ossessiva di determinate parole o frasi, tra cui le domande. La ripetizione in questo caso ha una funzione autoregolativa: può servire ad abbassare l’ansia, a dare una sensazione di controllo, o semplicemente a fornire un ritmo interno che scandisce il tempo e l’esperienza. La domanda, anche se formalmente “rivolta a qualcuno”, ha in realtà una funzione molto più interna e soggettiva. Questo tipo di comportamento può intensificarsi nei momenti di sovraccarico emotivo o di stimolazione sensoriale e non va forzatamente interrotto, ma piuttosto compreso e, se necessario, accompagnato verso forme più funzionali senza giudizio.
- Rigidità cognitiva e bisogno di routine stabili: una delle caratteristiche più comuni nell’autismo è quella che viene definita rigidità autistica che rappresenta, essenzialmente, bisogno di prevedibilità. Le persone autistiche, a causa di differenze neurologiche nella gestione della flessibilità mentale, hanno spesso un forte bisogno di sapere in anticipo cosa accadrà, a che ora, con chi, per quanto tempo. Qualsiasi variazione rispetto a una routine prestabilita può generare confusione, frustrazione o addirittura panico. In questo contesto, la domanda ripetuta (“A che ora andiamo via?”, “Ci sarà anche la maestra?”, “Facciamo ancora ginnastica oggi?”) diventa una strategia per verificare costantemente la stabilità della realtà esterna. È una forma di monitoraggio continuo, un modo per “ancorarsi” a punti di riferimento rassicuranti. Questo comportamento è molto comune sia nei bambini che negli adulti autistici, e si intensifica in situazioni di transizione o incertezza. La ripetizione, quindi, non è tanto un fallimento della comprensione quanto un tentativo di protezione da un mondo che può sembrare caotico e imprevedibile.
- Ansia anticipatoria e bisogno di rassicurazione: molte persone autistiche sperimentano un livello molto alto di ansia, specialmente quando si tratta di anticipare eventi futuri, anche banali. Questa ansia può essere tanto intensa da bloccare il pensiero, paralizzare le decisioni o scatenare vere e proprie crisi. In questo caso, la ripetizione della stessa domanda diventa un bisogno di rassicurazione costante. Anche se l’informazione è già stata data, la persona sente il bisogno di riascoltarla, di “verificare” che sia ancora valida, che nulla sia cambiato. Non si tratta di mancanza di memoria, ma di un bisogno emotivo profondo di certezza e stabilità. La domanda serve, simbolicamente, a tenere sotto controllo l’ansia legata all’ignoto. In alcuni casi, questa ansia è talmente forte che la persona non riesce a “fidarsi” della risposta ricevuta se non dopo averla sentita molte volte. È importante comprendere che in questi casi la rassicurazione non va negata, ma gestita in modo da non alimentare il ciclo ossessivo e al tempo stesso non lasciar sola la persona nel suo bisogno.
- Difficoltà di elaborazione e processamento delle informazioni: un’altra possibile motivazione riguarda la difficoltà, comune in molte persone nello spettro, di processare le informazioni in modo lineare e immediato. La domanda può essere ripetuta non tanto perché non si è ascoltata la risposta, ma perché quella risposta non è stata completamente compresa, integrata o “digerita”. In questi casi, la persona può ripetere la domanda per cercare una forma di comprensione più piena, oppure per riformularla mentalmente fino a quando non acquisisce senso. Anche se può sembrare una richiesta superflua, in realtà è una modalità adattiva per consolidare un apprendimento o un’informazione, attraverso la ripetizione. Questo è particolarmente vero quando le domande riguardano concetti astratti, emozioni, intenzioni altrui o linguaggio figurato, aree che spesso rappresentano una sfida nell’elaborazione per chi è nello spettro.
Un aspetto che merita particolare attenzione in questo pattern ricorrente nello spettro dell’autismo è l’impatto che questo comportamento può avere sull’interlocutore.
Nella maggior parte dei contesti sociali, la comunicazione segue delle convenzioni implicite: si dà per scontato che, una volta ricevuta una risposta, non sia necessario tornare subito sulla stessa domanda, e che insistere su un punto possa apparire come una forma di ostinazione, distrazione, mancanza di ascolto o addirittura come una provocazione-
Per chi non conosce l’autismo, trovarsi a rispondere più volte allo stesso identico interrogativo può risultare faticoso, alienante o persino irritante.
Questo può generare delle reazioni più o meno esplicite, che vanno dal semplice cambio di tono (meno disponibile, più secco), fino a veri e propri ammonimenti verbali del tipo: “Te l’ho già detto”, “Quante volte devo ripeterlo?”, “Non insistere, lo sai già”, “È inutile continuare a chiedere”.
Anche quando non c’è un rimprovero diretto, il linguaggio del corpo, le espressioni del viso, i sospiri o lo sguardo sfuggente comunicano chiaramente all’altra persona che la sua insistenza non è ben tollerata.
Per una persona autistica, tutto questo può diventare fonte di un intenso turbamento interno, che non sempre è facile da spiegare o verbalizzare.
Da un lato, infatti, permane il bisogno autentico e ricorrente di porre la stessa domanda (per tutte le ragioni che abbiamo visto finora), ma dall’altro si sviluppa una crescente consapevolezza del fatto che questo comportamento non è socialmente accettato, che infastidisce, che stanca chi ascolta.
Nel tempo, questo può portare a una forma di inibizione profonda, una sorta di autocensura comunicativa, in cui la persona impara che certe domande è meglio non farle, anche se dentro di sé sente ancora il bisogno, il dubbio o l’ansia.
Questo fenomeno è particolarmente rilevante negli adulti nello spettro autistico, soprattutto in quelli che hanno trascorso anni tentando di “mimetizzarsi” o di aderire alle aspettative sociali tipiche.
Molti imparano a non chiedere più, o a chiedere solo una volta e poi tacere, anche quando dentro provano disagio, incertezza, disorientamento. Alcuni interiorizzano la convinzione di essere “fastidiosi”, “ingombranti”, “troppo”, semplicemente perché il loro modo di comunicare richiede una ripetizione che non è benvista.
Questa inibizione può avere conseguenze emotive significative: aumenta il senso di isolamento, mina la fiducia in sé, e riduce le opportunità di ottenere le rassicurazioni o le informazioni di cui si ha davvero bisogno.
In alcuni casi, questa dinamica si aggrava a tal punto da generare un circolo vizioso: più la persona si inibisce, più si accumulano dentro di lei dubbi, incertezze e tensioni non espresse, che poi esplodono in modo improvviso, con crisi di ansia, meltdown, o reazioni sproporzionate che sembrano “inspiegabili” a chi non conosce il processo che le ha generate.
È dunque cruciale che, nella relazione con una persona autistica, ci sia consapevolezza del fatto che la ripetizione di una domanda non è mai “contro” l’altro, ma a favore di sé, come un bisogno reale che cerca espressione.
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