Alcune persone ADHD possono avere difficoltà nella memoria emotiva, il che significa che fanno fatica a ricordare come si sono sentite in passato, e questo le porta spesso a non riconoscere o collegare le emozioni vissute, come se ogni volta fosse la prima.
Che le persone ADHD abbiano spesso difficoltà con la memoria, è qualcosa di ormai abbastanza riconosciuto e pacifico.
È una delle caratteristiche più comuni e più visibili, tanto che viene spesso descritta nei manuali diagnostici, nei forum, nei racconti personali.
E chi vive accanto a qualcuno ADHD lo sa bene: si dimenticano le cose in giro, si lasciano oggetti nei posti più improbabili, si saltano appuntamenti anche importanti, si smarriscono oggetti nel tragitto dal salotto alla cucina.
Non è pigrizia, non è disorganizzazione nel senso comune del termine, è proprio che la mente funziona a salti, a interruzioni, a blackout momentanei.
Una persona ADHD può prendere le chiavi di casa, guardarle, decidere di metterle nello zaino per uscire… e due minuti dopo non sapere più dove siano. Oppure può fissare un appuntamento, segnarselo in agenda, metterlo nel calendario del telefono con tanto di promemoria… e poi dimenticarsene lo stesso.
Può avere una conversazione importante, impegnarsi con tutto il cuore a ricordare un’informazione, ma poi vederla svanire come se non ci fosse mai stata.
Questi episodi non sono rari e non sono casuali: fanno parte del modo in cui la memoria di lavoro, l’attenzione sostenuta e l’organizzazione temporale funzionano nel disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività.
E sono una delle cause più comuni di frustrazione, sia per chi vive la condizione, sia per chi le sta accanto.
C’è un senso costante di “mi sfugge tutto”, e di lotta per tenere insieme le fila di una giornata che sembra sempre scivolare dalle mani.
Ma c’è un altro aspetto della memoria di cui si parla molto meno, e che viene spesso sottovalutato: la memoria emotiva.
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Cos’è la Memoria Emotiva?
Quando si parla di memoria emotiva, si fa riferimento a una particolare forma di memoria che conserva e richiama esperienze vissute accompagnate da emozioni intense.
Non si tratta di una memoria neutra o razionale, come ricordare una data storica o il numero di telefono di qualcuno.
La memoria emotiva è qualcosa di più viscerale, profondo, legato al corpo e al sentire. È quella che fa venire un nodo in gola ripensando a una separazione, che fa sorridere improvvisamente mentre si cammina perché è riaffiorato un ricordo felice, o che scatena un’inspiegabile sensazione di disagio rivedendo un luogo legato a qualcosa di spiacevole, anche se non lo si collega subito a nulla di preciso.
È una memoria che lavora in profondità e che può agire anche senza che ce ne rendiamo conto.
Dal punto di vista neurobiologico, la memoria emotiva coinvolge diverse aree del cervello. In particolare l’amigdala, che ha un ruolo cruciale nella gestione delle emozioni forti, in particolare quelle legate alla paura o al pericolo; l’ippocampo, che si occupa dell’organizzazione dei ricordi autobiografici; e la corteccia prefrontale, che ci aiuta a valutare e razionalizzare ciò che viviamo emotivamente.
Quando un’esperienza è particolarmente intensa dal punto di vista emotivo, il cervello tende a registrarla in modo più profondo e duraturo.
L’amigdala segnala all’organismo che si tratta di un evento importante, e questo rende il ricordo più resistente nel tempo.
È per questo che, anche dopo molti anni, certi episodi ci restano impressi come se fossero appena successi, mentre altri — magari più recenti — svaniscono senza lasciare traccia.
La memoria emotiva ha un’importanza fondamentale per l’essere umano perché ha uno scopo adattivo.
Serve a proteggerci, a orientarci nel mondo, a guidarci nelle relazioni e a costruire un senso di identità. In particolare:
- ci protegge perché ci permette di evitare situazioni potenzialmente pericolose. Se da piccoli ci siamo fatti male facendo una certa cosa, non solo ce lo ricordiamo, ma lo sentiamo nel corpo, come un allarme interno che ci frena dal ripetere quell’azione;
- ci guida nelle relazioni, perché anche se dimentichiamo le parole precise dette da una persona, ricordiamo perfettamente come ci siamo sentiti con lei. Questo influisce profondamente sul modo in cui ci comportiamo con gli altri, sul nostro livello di fiducia o di diffidenza, spesso in modo automatico;
- costruisce e mantiene il nostro senso di identità, perché le emozioni vissute danno significato alla nostra storia personale. Non siamo solo ciò che è successo, ma anche e soprattutto ciò che abbiamo provato;
- alimenta la creatività, perché chi crea — che sia uno scrittore, un regista, un musicista — attinge spesso alla propria memoria emotiva per raccontare storie, per dare forma a emozioni che risuonano anche negli altri.
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Memoria emotiva e ADHD: quando il cervello dimentica anche i sentimenti
Ti è mai capitato di pensare: “Perché ripeto sempre gli stessi errori emotivi se so già come va a finire?”, “Perché dimentico sempre quanto ho sofferto? (E poi ci ricasco…)”
Probabilmente è per via della tua memoria emotiva.
Nelle persone ADHD, infatti, la memoria emotiva può essere disconnessa, fragile, sfumata e sfocata.
Ad esempio, potrebbe succedere di:
- Dimenticare come ci si sentiva in un certo periodo della vita: la memoria emotiva deficitaria nell’ADHD può portare a vivere periodi estremamente difficili — come una depressione, un burnout, un lutto — e poi, nel momento in cui le cose migliorano anche solo un po’, perderne totalmente la traccia emotiva. Non è che non si ricordano i fatti, ma non si riesce più a sentire cosa si provava davvero. Una persona può aver passato un’intera settimana in preda all’angoscia, e poi, appena il contesto cambia, sentirsi meglio e non riuscire più ad accedere a quel malessere. Questo può rendere molto difficile la comunicazione in terapia, ad esempio, perché quando arriva il momento di raccontare cosa è successo, il dolore è diventato distante, ovattato, come se appartenesse a qualcun altro. E quindi spesso non se ne parla nemmeno, oppure se ne parla in modo piatto, poco coinvolto, razionalizzando e lasciando fuori il cuore.
- Rivivere emozioni del passato solo quando vengono riattivate nel presente: un altro modo in cui questa difficoltà si manifesta è il fatto che molte emozioni “non elaborate” restano sospese, come chiuse in un cassetto. Non si sentono più, non sembrano più rilevanti… finché qualcosa di simile non accade di nuovo. A quel punto, senza preavviso, quelle emozioni tornano in superficie con una forza enorme. Per esempio, dopo una rottura sentimentale dolorosa, ci si può sentire devastati, ma poi arriva una nuova relazione, e il dolore precedente sembra scomparire. Si crede davvero di stare bene. Ma poi quella nuova persona fa qualcosa di simile a quanto faceva il partner precedente, e improvvisamente tutto quel dolore “dimenticato” riemerge, amplificato e confuso. Il cervello collega gli stimoli simili, le emozioni si riattivano, e ci si ritrova a reagire non solo a quello che sta succedendo adesso, ma anche a tutto quello che si era rimasto in sospeso prima. È come se i cassetti interni si aprissero da soli, e non si riuscisse più a distinguere il passato dal presente.
- Confondere emozioni vecchie con emozioni nuove: a volte, le emozioni che si provano in un certo momento non sono nuove, ma vengono interpretate come tali perché non ci si ricorda di averle già provate. Questo può portare a una forte confusione emotiva. Si può pensare di essere “improvvisamente tristi” o “inspiegabilmente arrabbiati”, quando in realtà si stanno rivivendo sentimenti già sperimentati, ma che erano stati messi da parte. Senza la capacità di riconoscere il percorso emotivo, senza una memoria che colleghi i pezzi, ogni emozione intensa sembra avvenire nel vuoto, come se non ci fosse mai stato un prima. Questo rende difficile regolare le emozioni, anticiparle, prevenirle. Ogni volta è come la prima volta, e si è sempre colti alla sprovvista.
- Difficoltà a imparare dall’esperienza emotiva: se non si ricorda cosa si è provato in certe situazioni, diventa difficile imparare da quelle esperienze. Una persona può ritrovarsi in dinamiche relazionali che si ripetono, in scelte che portano sempre alle stesse conseguenze emotive, senza riuscire a “imparare la lezione”, perché quel dolore o quella delusione non sono stati interiorizzati davvero. Non è mancanza di intelligenza o riflessione, è che la parte emotiva non ha avuto il tempo o lo spazio per sedimentarsi. Si finisce per rifare cose che fanno male, non perché lo si voglia, ma perché non si ha memoria di quanto hanno fatto male la volta precedente. E questo può generare un senso profondo di impotenza, di frustrazione, di sentirsi “bloccati”.
- Emozioni che cambiano troppo velocemente per essere comprese: le persone ADHD spesso vivono emozioni che si accendono e si spengono molto rapidamente. Questa velocità rende difficile osservarle, nominarle, ricordarle. È come se ogni emozione fosse una scena fugace di un film che non si riesce mai a vedere tutto intero. Una persona può passare dal sentirsi euforica al sentirsi senza speranza nel giro di poche ore o minuti, e non avere traccia di ciò che è successo nel mezzo. Questo può creare confusione sia internamente che nelle relazioni: “perché sto così adesso?” oppure “ma non eri felice poco fa?”. La verità è che l’emozione precedente è scomparsa senza lasciare appigli, e quella attuale ha preso tutto lo spazio disponibile. Senza memoria emotiva stabile, ogni stato d’animo diventa totalizzante e scollegato dagli altri.
Tutti questi sono esempi di come la memoria emotiva nell’ADHD possa determinare una difficoltà nel richiamare alla memoria sentimenti, emozioni e sensazioni passate.
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Conseguenze delle difficoltà di Memoria Emotiva nell’ADHD
Le difficoltà della memoria emotiva nell’ADHD hanno ovviamente delle conseguenze.
In generale, gli esseri umani tendono a rimuovere, minimizzare o mettere da parte esperienze che sono state particolarmente dolorose.
È un meccanismo di difesa naturale, in certi casi anche adattivo.
Ma mentre nei neurotipici questo tende ad attivarsi soprattutto per eventi molto forti, molto gravi o potenzialmente traumatici, in chi è ADHD questo slittamento può verificarsi anche con emozioni negative più comuni, più “quotidiane”, che però non vengono pienamente sentite, registrate o ricordate.
Questo porta a una situazione per cui non solo non si rielaborano certi eventi emotivamente intensi, ma non si impara nemmeno da quelli che, pur meno gravi, avevano un significato emotivo importante.
Il risultato è che si può tornare a vivere situazioni simili senza accorgersene, perché la mente non riconosce più il “precedente” da cui prendere spunto.
Il problema non è tanto che si dimenticano gli eventi in sé — spesso si ricordano benissimo i fatti, chi ha detto cosa, cosa si è fatto — ma che viene meno il collegamento tra ciò che si è vissuto e come ci si è sentiti. Se manca questa connessione, è molto difficile che si possa sviluppare un apprendimento profondo.
Le emozioni restano separate dall’esperienza, non guidano il comportamento, non insegnano nulla e quindi si rischia di ripetere gli stessi errori, di ricadere negli stessi schemi relazionali, sociali, affettivi che hanno già fatto soffrire in passato.
Ci si ritrova a scegliere persone simili, situazioni simili, a reagire nello stesso modo, a esporsi agli stessi rischi, e non si capisce perché.
Si ha la sensazione di tornare sempre allo stesso punto, come in un labirinto che cambia forma ma porta sempre allo stesso centro.
Ma non è solo questione di apprendimento: il secondo grande effetto è che le esperienze emotive non vengono mai completamente elaborate e restano in sospeso.
Galleggiano in una zona grigia della coscienza, pronte a riemergere quando meno ce lo si aspetta. Questo perché, oltre al deficit nella memoria emotiva, la persona ADHD ha spesso anche una bassa tolleranza alle emozioni negative, insieme a difficoltà di regolazione emotiva.
Questo significa che quando un’emozione negativa si presenta, è più difficile sostenerla, starci dentro, lasciarla fluire e poi lasciarla andare.
Si tende piuttosto a evitarla, scappare, distrarsi, rimuoverla, far finta di niente.
Ma se un’emozione non viene accolta, contenuta e digerita, resta lì.
Magari silenziosa per un po’, ma pronta a riattivarsi alla prossima occasione. E così si accumulano esperienze non chiuse, ferite non medicare, dolori lasciati in una specie di limbo mentale che, invece di passare, si stratificano.
Questo rende il percorso di crescita personale molto più complicato perché è difficile cambiare se non si capisce fino in fondo cosa ci ha feriti, cosa ci ha fatto male, cosa non vogliamo più rivivere.
È difficile guarire se non si sente fino in fondo la ferita, se non si riesce nemmeno a tenerla a mente.
La persona ADHD può anche desiderare profondamente di non ricadere più in certi meccanismi, ma senza una memoria emotiva stabile, integrata e accessibile, manca lo strumento principale che ci permette di imparare dall’esperienza: la traccia emotiva che ci ricorda cosa ci ha fatto soffrire e perché.
E senza quella traccia, il rischio è che ogni volta sembri una nuova volta, e ogni volta si parta da capo.
Se ti sei riconosciuto in questo articolo — se anche tu vivi emozioni che spariscono troppo in fretta, se ti capita di dimenticare come ti sentivi, o se ti ritrovi a ripetere certi schemi emotivi senza capire perché — allora potrebbe essere il momento giusto per parlarne con qualcuno.
Un terapeuta può aiutarti a dare forma, voce e continuità al tuo mondo emotivo.
Può affiancarti nel lavoro di integrazione di quella memoria emotiva che spesso, nell’ADHD, rimane frammentata, scollegata, sospesa.
I professionisti della salute mentale del centro ADHD GAM-Medical conoscono bene queste difficoltà, perché ogni giorno lavorano con persone neurodivergenti che vivono esattamente questo tipo di esperienza.
E proprio per questo possono offrirti un percorso di supporto pensato per rispettare i tuoi tempi, le tue emozioni e il tuo modo unico di sentire.
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