Ruolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) nella depressione

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Ruolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) nella depressione

Una delle principali ipotesi biologiche sull’insorgenza della depressione riguarda il ruolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), un sistema endocrino fondamentale nella regolazione della risposta allo stress.

Parliamo di “ipotesi” perché, nonostante i numerosi studi condotti, la scienza non ha ancora identificato un’unica causa certa e definitiva per la comparsa della depressione

Al contrario, ciò che emerge con sempre maggiore chiarezza è che l’eziopatogenesi di questo disturbo è estremamente varia e complessa.

L’uso del termine ipotesi riflette proprio la necessità di considerare più modelli esplicativi, ciascuno dei quali contribuisce a illuminare aspetti diversi del fenomeno depressivo.

In altre parole, la depressione non nasce da un solo fattore isolato, ma è il risultato di un intreccio di cause che possono differire notevolmente da persona a persona.

L’eziopatogenesi della depressione è infatti multifattoriale, il che significa che la sua insorgenza è influenzata da una molteplicità di elementi, che spaziano dal piano biologico a quello psicologico, fino a includere aspetti ambientali e sociali.

Non esiste una via unica e predeterminata verso la depressione: ogni individuo può svilupparla attraverso un percorso del tutto personale, in cui le esperienze di vita, la predisposizione genetica, lo stato neurobiologico e le condizioni sociali si combinano in modo irripetibile.

Alcuni soggetti possono mostrare una vulnerabilità legata a fattori genetici o neurochimici, altri possono essere stati esposti a eventi traumatici, a condizioni familiari difficili, a contesti socioeconomici sfavorevoli o a periodi prolungati di stress cronico, tutti elementi che possono influenzare l’equilibrio psicofisico e predisporre allo sviluppo del disturbo.

Ad ogni modo, tra tutte le ipotesi attualmente indagate, una delle più validate dalla letteratura scientifica è proprio quella che coinvolge l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA).

Questa ipotesi ha ottenuto ampio sostegno grazie a studi clinici, neurobiologici e sperimentali che ne hanno messo in evidenza il ruolo centrale nella mediazione della risposta allo stress e nella genesi di alterazioni neuroendocrine associate ai sintomi depressivi.

Nelle prossime righe approfondiremo in maniera dettagliata il funzionamento di questo asse e il modo in cui la sua disfunzione può contribuire concretamente allo sviluppo della depressione.

Ipotesi dello squilibrio Ruolo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) nella depressione

Tra le numerose ipotesi biologiche formulate per spiegare l’insorgenza della depressione, una delle più studiate e accreditate riguarda il possibile coinvolgimento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), un sistema endocrino essenziale per la regolazione della risposta allo stress.

Questo asse funziona come una sofisticata catena di comando neuroendocrina a tre livelli, che consente all’organismo di reagire prontamente a situazioni percepite come minacciose o sfidanti, mobilitando risorse fisiche e cognitive per farvi fronte.

Tuttavia, quando questo meccanismo, che dovrebbe essere temporaneo e protettivo, si attiva in modo cronico o disfunzionale, può trasformarsi in un fattore patogeno, contribuendo allo sviluppo e al mantenimento della sintomatologia depressiva.

Il funzionamento dell’asse HPA inizia con l’ipotalamo, una piccola ma fondamentale struttura del cervello situata alla base del diencefalo.

L’ipotalamo ha il compito di monitorare costantemente lo stato interno dell’organismo e l’ambiente esterno, rilevando segnali di pericolo o squilibrio. In presenza di una situazione stressante, l’ipotalamo secerne un ormone chiamato CRH (corticotropin-releasing hormone), che agisce come primo messaggero della catena.

Il CRH raggiunge l’ipofisi anteriore, un’altra ghiandola localizzata nel cervello, che in risposta produce e rilascia nel flusso sanguigno un secondo ormone: l’ACTH (adrenocorticotropic hormone).

Questo ormone viaggia attraverso il sistema circolatorio fino alle ghiandole surrenali, situate sopra i reni, stimolandole a sintetizzare e liberare il cortisolo, il principale ormone dello stress.

Il cortisolo ha effetti diffusi in tutto l’organismo. In condizioni normali, aiuta a mantenere la pressione arteriosa, regola il metabolismo del glucosio, modula la risposta infiammatoria e influenza il ciclo sonno-veglia. Inoltre, agisce a livello del cervello per preparare l’individuo ad affrontare lo stress, migliorando temporaneamente attenzione, vigilanza e reattività.

Tuttavia, quando l’asse HPA risulta iperattivato in maniera cronica — come accade in molte forme di depressione — i livelli di cortisolo restano costantemente elevati, anche in assenza di stimoli stressanti esterni.

Questo stato di “stress biologico continuo” può avere conseguenze neurobiologiche rilevanti e dannose.

Numerosi studi di neuroimaging e ricerca clinica hanno dimostrato che la persistente iperattivazione dell’asse HPA è associata a modificazioni strutturali e funzionali in diverse aree cerebrali coinvolte nella regolazione dell’umore, delle emozioni e delle funzioni cognitive.

L’ippocampo, ad esempio, è una delle regioni più vulnerabili agli effetti neurotossici del cortisolo cronico. Coinvolto nella memoria, nell’apprendimento e nella modulazione della risposta allo stress, l’ippocampo può subire una riduzione del volume, una diminuzione della neurogenesi e un’alterazione della plasticità sinaptica.

Tutto ciò compromette non solo la capacità di gestire in modo efficace le situazioni stressanti, ma anche il mantenimento di un equilibrio emotivo stabile.

Un’altra area critica è la corteccia prefrontale, fondamentale per le funzioni esecutive, la pianificazione, il controllo dell’impulsività e la regolazione delle emozioni.

In condizioni di ipercortisolemia prolungata, anche la corteccia prefrontale può andare incontro a disfunzioni, con una ridotta attività neuronale, una minor connettività con altre aree cerebrali e un indebolimento delle capacità di affrontare razionalmente le difficoltà.

Questi cambiamenti contribuiscono all’anedonia, alla ruminazione mentale, alla mancanza di motivazione e a un generale impoverimento delle risorse cognitive tipiche della depressione.

Inoltre, l’amigdala — una struttura cerebrale chiave nella gestione della paura e delle emozioni negative — tende a diventare iperattiva in presenza di livelli elevati di cortisolo, rafforzando la percezione di pericolo, l’ansia e la reattività emotiva, e aggravando ulteriormente il quadro depressivo.

Questo squilibrio nel circuito limbico-corticale del cervello porta a una distorsione nella percezione degli eventi, a una maggiore sensibilità alle frustrazioni e a una costante sensazione di sopraffazione, tipica della sofferenza depressiva.

Va sottolineato che questo assetto disfunzionale dell’asse HPA non è solo una conseguenza della depressione, ma può anche rappresentare un fattore di vulnerabilità predisponente.

Alcune persone, infatti, mostrano già prima dell’esordio clinico del disturbo una maggiore reattività dell’asse HPA, una sorta di “ipervigilanza biologica” che le rende più sensibili agli eventi stressanti e meno capaci di recuperare da esperienze avverse.

Tale vulnerabilità può avere radici genetiche, epigenetiche o derivare da esperienze precoci traumatiche, come l’abuso o la trascuratezza durante l’infanzia, che possono imprimere nell’organismo una sorta di “traccia biologica” duratura, rendendo l’asse HPA più suscettibile a future disfunzioni.

Per sintetizzare l’ipotesi:

L’asse HPA è il principale sistema neuroendocrino dello stress

  • Composto da:
    • Ipotalamo → rilascia CRH (ormone di rilascio della corticotropina)
    • Ipofisi → stimolata dal CRH, rilascia ACTH
    • Ghiandole surrenali → stimolate dall’ACTH, producono cortisolo

Cortisolo = ormone dello stress

  • Ha effetti su metabolismo, sistema immunitario, vigilanza e risposta allo stress acuto
  • In condizioni normali, l’aumento è temporaneo e autoregolato (feedback negativo)

Nella depressione, l’asse HPA può essere iperattivato o disregolato

  • Livelli di cortisolo cronicamente elevati anche in assenza di stress reale
  • Il feedback inibitorio (che dovrebbe spegnere l’asse) non funziona correttamente

Effetti del cortisolo cronico sul cervello

  • Ippocampo: riduzione del volume, neurogenesi inibita, alterazione della memoria e della regolazione dello stress
  • Corteccia prefrontale: compromissione del pensiero critico, controllo emotivo e motivazione
  • Amigdala: iperattivazione, aumento dell’ansia e della reattività emotiva

Risultato clinico

  • Comparsa e mantenimento dei sintomi depressivi (apatia, tristezza, ruminazione, deficit cognitivi)
  • Maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti futuri
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