9 Atteggiamenti che Potrebbero Portarti al Burnout

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9 Atteggiamenti che Potrebbero Portarti al Burnout

Abbiamo atteggiamenti che ci rendono vulnerabili al burnout, spesso senza esserne consapevoli.

Molto spesso il burnout non arriva soltanto “da fuori”. Non è sempre colpa del capo che pretende troppo, dei colleghi che non collaborano o delle richieste aziendali infinite. A volte il burnout ce lo mettiamo addosso da soli, quasi senza accorgercene.

Lo alimentiamo ogni volta che rispondiamo a una richiesta per non deludere, anche se siamo esausti. Ogni volta che ci imponiamo di fare tutto alla perfezione, anche quando non serve.

Ogni volta che ci convinciamo che “possiamo reggere” anche quel carico in più, anche quella consegna in più, anche quell’email fuori orario.

Siamo noi che, spesso per bisogno di approvazione, per abitudine, per senso del dovere o per paura di non valere abbastanza, assumiamo atteggiamenti che ci consumano. Siamo noi che non ci diamo il permesso di fermarci, di dire “non ce la faccio”, di mettere dei limiti.

A volte è una voce interna – severa, esigente, inflessibile – che ci spinge a correre sempre, a non sbagliare mai, a essere tutto per tutti. E quando quella voce prende il comando, anche il lavoro più bello può diventare una gabbia.

Il burnout, quindi, non è solo una conseguenza dell’ambiente esterno. È spesso anche il risultato di come ci muoviamo dentro quell’ambiente.

Riconoscerlo è il primo passo per cambiare rotta, per tornare a prenderci cura di noi, per smettere di auto-sabotarci e cominciare a costruire un modo più sostenibile di lavorare.

Nelle prossime righe, infatti, vedremo quali sono alcuni dei nostri atteggiamenti che ci espongono ad un maggiore rischio di burnout.

Quali sono gli Atteggiamenti sul Lavoro che Possono Predisporre ad un Burnout?

Come già accennato, esistono alcuni comportamenti e atteggiamenti personali che possono predisporre al burnout.

Non sempre, infatti, il burnout arriva “dall’alto”, cioè da contesti professionali tossici, da capi esigenti o da carichi di lavoro insostenibili. In molti casi è determinato anche da modi di essere, automatismi interiori o convinzioni profonde che ci rendono più vulnerabili al sovraccarico.

Ce ne possiamo accorgere soprattutto quando, anche cambiando lavoro, contesto, ruolo o superiori, ci ritroviamo a sperimentare gli stessi vissuti di esaurimento, ansia e svuotamento.

Questo è un segnale importante: indica che forse, al di là delle condizioni esterne, c’è qualcosa nel nostro modo di abitare il lavoro che merita attenzione e trasformazione.

Alcune potrebbero essere:

  1. Dare troppa disponibilità: essere sempre reperibili, rispondere ai messaggi di lavoro anche fuori orario, accettare chiamate sul numero personale e controllare le email durante il weekend sono comportamenti che, se protratti nel tempo, minano il confine tra vita professionale e privata. Questa iper-disponibilità trasmette implicitamente agli altri l’idea che non ci siano limiti al tuo impegno, generando aspettative crescenti e un progressivo svuotamento delle tue risorse mentali. Il lavoro diventa totalizzante, invade ogni spazio e lascia poco tempo per rigenerarti, aumentando il rischio di esaurimento emotivo e mentale.
  2. Agire come per non scontentare gli altri: dire sempre di sì per timore di deludere colleghi, superiori o clienti è un atteggiamento che può apparire virtuoso ma che, alla lunga, consuma. Il desiderio di essere apprezzati o di evitare conflitti può spingerti a sovraccaricarti di compiti, a non porre limiti e a sacrificare i tuoi bisogni pur di compiacere gli altri. Questo atteggiamento è subdolo perché si alimenta di una forma di pressione interna, spesso invisibile, che logora la tua autostima e ti fa sentire inadeguato ogni volta che osi dire di no. Il risultato è un progressivo senso di impotenza e perdita di controllo.
  3. Perfezionismo eccessivo: voler fare tutto perfettamente, senza errori, e non accettare margini di imperfezione comporta uno sforzo continuo e spesso sproporzionato rispetto ai risultati. Questo atteggiamento si accompagna alla paura del giudizio e alla sensazione costante di non essere mai all’altezza. Il perfezionismo alimenta l’ansia, riduce la capacità di delega e crea una pressione interna continua che può diventare insostenibile. Alla lunga, il corpo e la mente pagano un prezzo altissimo.
  4. Assenza di confini emotivi con il lavoro: vivere ogni richiesta, critica o risultato come un giudizio sul proprio valore personale è un atteggiamento rischioso. Se ti identifichi troppo con il tuo ruolo, ogni insuccesso diventa una ferita, e ogni richiesta una prova del tuo valore. Questo coinvolgimento emotivo eccessivo può portare a uno stato di vulnerabilità costante, dove il lavoro diventa il metro assoluto del tuo essere “abbastanza”. Quando tutto gira attorno al lavoro, qualsiasi scossone può diventare devastante.
  5. Non delegare agli altri: affrontare tutto da soli per dimostrare che si è capaci, che si può reggere il carico, è una trappola pericolosa. Spesso, dietro questa scelta c’è il timore di sembrare deboli o incompetenti. In realtà, non chiedere aiuto isola, aumenta il carico e rallenta i tempi. Nel lungo periodo, si rischia di accumulare stress e frustrazione, con un senso di solitudine crescente. Il lavoro si trasforma così in un terreno di resistenza silenziosa, ma logorante.
  6. Rimandare i propri bisogni personali a data da destinarsi: tralasciare costantemente ciò che ti fa stare bene – che sia lo sport, il tempo con gli amici, il sonno, o semplicemente il relax – per dare sempre priorità al lavoro, crea uno squilibrio progressivo. Il corpo e la mente hanno bisogno di piacere, svago e recupero. Privarsene sistematicamente in nome della produttività non solo riduce l’efficienza, ma mina il benessere psico-fisico e la motivazione. Il burnout si insinua quando si perde il contatto con ciò che ci nutre.
  7. Accettare mansioni e ruoli che non competono o che non sentiamo nostri: dire sempre sì anche a compiti che esulano dal proprio ruolo, o assumersi responsabilità non proprie per evitare che il lavoro si blocchi, può sembrare spirito di iniziativa ma rischia di diventare una trappola. Senza una chiara delimitazione di ruoli, si genera confusione e sovraccarico. Inoltre, svolgere attività non allineate ai propri valori o alle proprie competenze erode il senso di identità professionale e crea un senso di alienazione.
  8. Pensare che il proprio valore dipenda solo dai risultati: misurarsi unicamente sulla base di obiettivi raggiunti, riconoscimenti o guadagni, senza dare peso a processi, relazioni e apprendimento, riduce la ricchezza dell’esperienza lavorativa a un sistema binario di successo o fallimento. Questo atteggiamento alimenta l’ansia da prestazione e rende ogni insuccesso una minaccia identitaria. Si lavora con l’ossessione del risultato, perdendo il contatto con la motivazione interna e con il piacere di ciò che si fa.
  9. Non riconoscere i segnali del corpo e andare avanti comunque: ignorare la stanchezza, sottovalutare il mal di testa cronico, non ascoltare l’irritabilità crescente o i disturbi del sonno sono segnali pericolosi. Il corpo parla quando la mente è troppo occupata per farlo. Spingersi oltre nonostante i segnali di allarme porta a un progressivo esaurimento psico-fisico. Il burnout spesso non arriva all’improvviso, ma si costruisce giorno dopo giorno nell’incapacità di ascoltarsi e fermarsi.

Forse non ci hai mai pensato, ma uno psicologo o uno psicoterapeuta può aiutarti a sviluppare strategie concrete per aumentare l’assertività e migliorare il tuo atteggiamento nei confronti del lavoro.

Il modo in cui ti relazioni al tuo ruolo, alle richieste esterne, ai limiti che (non) poni, ha un impatto diretto sul tuo equilibrio psicofisico.

Spesso crediamo di dover “resistere”, di dover fare tutto da soli, ma in realtà riconoscere le proprie fragilità è il primo passo verso una forma di forza più autentica: quella che sa prendersi cura di sé.

I professionisti della salute mentale di GAM-Medical, centro specializzato nella gestione di Stress e Burnout, sono abituati ad affrontare queste situazioni.

Con competenza e umanità ti possono accompagnare in un percorso per riscoprire il tuo spazio, definire i tuoi confini e tornare a vivere il lavoro – e la vita – in modo più sostenibile.

La tua salute mentale ha valore e merita lo stesso rispetto e la stessa attenzione che dai a ogni altro aspetto della tua vita.

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