7 cose che non sapevi sui traumi psicologici

Tempo di lettura: 4 minuti

Ci sono cose che il trauma fa, silenziosamente, con precisione chirurgica e che spesso non riconosciamo.

Pensiamo che il trauma sia solo l’evento traumatico in sé, ma non è così: il trauma è ciò che resta dentro quando l’evento è finito. È l’impronta invisibile che modifica il modo in cui percepiamo, reagiamo, pensiamo, amiamo.

A volte lo chiamiamo “carattere”, a volte “ansia”, altre volte “sono fatto così”. Ma non sempre lo siamo così: spesso siamo diventati così. E dietro quel diventare, c’è una storia di adattamento.

In questo articolo scopriamo 7 cose che forse non sapevi sui traumi: modi sottili, curiosi e potenti con cui l’esperienza traumatica agisce dentro di noi.

1. Sviluppiamo gli “anticorpi” del trauma: i meccanismi di difesa

Il nostro sistema psichico, come quello immunitario, produce anticorpi.
Solo che non sono molecole: sono strategie. Ogni volta che viviamo qualcosa di troppo intenso da tollerare, la mente costruisce una barriera per non farci crollare. La chiamiamo difesa: razionalizzazione, minimizzazione, dissociazione, ironia, controllo, iperfunzionamento.

Questi anticorpi funzionano benissimo nel breve periodo: evitano il collasso. Il problema nasce quando restano attivi anche dopo che il pericolo è passato. Diventano rigidi, automatici, e ci separano non solo dal dolore ma anche dal piacere.

Il compito della terapia, o di qualsiasi percorso di consapevolezza, non è “togliere” le difese, ma ringraziarle e integrarle: capire cosa stavano proteggendo, e insegnare al corpo che adesso può abbassare la guardia.

2. Il trauma può essere trasmesso di generazione in generazione

Non ereditiamo solo gli occhi o la forma delle mani. Ereditiamo anche le narrazioni emotive delle generazioni precedenti: ciò che è stato taciuto, negato, congelato.

Oggi sappiamo che i traumi non elaborati possono lasciare tracce epigenetiche, cioè modifiche nel modo in cui i geni vengono “letti” (senza cambiare il DNA).
Sono come segnalibri biologici: “qui c’è stato pericolo, qui serve allerta”.

Ma la trasmissione non è solo biologica — è anche relazionale.
Un genitore iper-vigile, che vive ancora in un sistema di paura, può crescere un figlio che impara la paura come linguaggio di base del mondo.
Una madre che non è riuscita a piangere, può avere una figlia che si sente in colpa ogni volta che prova emozione.

3. Il trauma può “slatentizzare” condizioni psichiatriche

Alcune persone hanno una predisposizione latente a disturbi come ansia, depressione, disturbi di personalità, disturbi dell’umore o sintomi somatici.
Questa predisposizione può restare silente per anni, finché un trauma non agisce come innesco.

Il trauma non “crea” il disturbo: lo attiva. Come un virus dormiente che si risveglia quando il sistema immunitario si indebolisce.

Succede, per esempio, che dopo una perdita, un incidente, un lutto o una relazione abusante, emergano sintomi che prima non esistevano: attacchi di panico, derealizzazione, difficoltà di concentrazione, alterazioni del sonno o dell’alimentazione.

Non è un “crollo”: è un equilibrio che non regge più.

4. Il trauma può non manifestarsi subito

A volte pensiamo che chi vive un trauma debba “crollare” subito, piangere, non dormire, parlare solo di quello.
In realtà, molti sembrano “reggere benissimo” all’inizio.

Il corpo è intelligente: in stato di emergenza, sospende il dolore per permettere la sopravvivenza. È come se attivasse un “ritardo emotivo”: il prezzo si paga dopo, quando il sistema nervoso smette di produrre adrenalina e torna a cercare equilibrio.

Per questo i sintomi traumatici possono comparire mesi o anni dopo: incubi, ansia, irritabilità, senso di distacco, difficoltà relazionali.

Il cervello può trattenere il dolore finché non percepisce un minimo di sicurezza per elaborarlo.
Ecco perché spesso “stai male quando finalmente stai bene”: il sistema si sente pronto a liberare ciò che aveva congelato.

5. Il trauma può lasciare firme epigenetiche

Le esperienze traumatiche possono modificare l’espressione genica, cioè come i geni si accendono o si spengono.

Attraverso processi come la metilazione del DNA, l’organismo registra nel suo codice biochimico un messaggio: “stai in allerta”. Alcuni geni che regolano la risposta allo stress (come NR3C1 o FKBP5) vengono alterati, e questo influenza la produzione di cortisolo, l’ormone che gestisce la reazione di fuga o attacco.

È come se il corpo restasse tarato su una frequenza di sopravvivenza. Ma questa taratura non è irreversibile: la ricerca mostra che l’ambiente, la relazione e la sicurezza possono ri-programmare parzialmente queste firme.

6. Puoi non sapere — o non ricordare — di aver subito un trauma

Non tutti i traumi sono visibili, e non tutti vengono ricordati.
Il cervello ha un meccanismo straordinario: quando qualcosa è troppo da sostenere, “spegne” l’accesso conscio alla memoria.

Questo accade spesso nei traumi infantili, negli abusi, nelle trascuratezze affettive precoci.
Il bambino non può permettersi di vedere il genitore come pericoloso: quindi sposta l’attenzione, dissocia, dimentica.
Ma il corpo no. Il corpo conserva la traccia.

Da adulti, quella memoria implicita può riemergere sotto forma di sintomi: ansia senza motivo apparente, tensioni croniche, paura del contatto, difficoltà a fidarsi, reazioni sproporzionate a stimoli minimi.

Ricordare non è sempre necessario — e spesso non è neppure possibile.
La guarigione avviene anche quando si impara ad ascoltare il corpo, a dare un nome alle emozioni, a riconoscere che quel malessere ha una storia, anche se non la ricordiamo tutta.

7. Il trauma può essere “rimesso in scena”

Freud lo chiamava coazione a ripetere: la tendenza a ricreare, inconsciamente, le condizioni del trauma per tentare di riscriverne il finale.

I bambini lo fanno nel gioco simbolico: ripetono scene, ruoli, azioni che riproducono parti dell’evento vissuto, per provare a “vincere” la paura.
È il loro modo naturale di elaborare.

Gli adulti lo fanno nelle relazioni: si innamorano di persone che li fanno sentire come una volta, scelgono ambienti lavorativi con la stessa dinamica del trauma, si ritrovano a rivivere ciò che li ha feriti.

Non è masochismo, è tentativo di guarigione.
Il sistema cerca inconsciamente di chiudere il cerchio, ma finché non è consapevole, finisce per riaprire la ferita.

Il lavoro terapeutico aiuta proprio qui: a riconoscere il copione, a scrivere un finale nuovo, a fare pace col corpo che vuole ancora “riprovare”.

9 (bonus): il trauma è intelligente

Una cosa che forse non sapevi è che il truama è intelligente, non è solo distruttivo.
È un adattamento, una forma di intelligenza estrema che ha permesso alla persona di sopravvivere.
Il problema è che, nel tempo, quell’adattamento diventa troppo rigido, e inizia a far male.

  • attivare difese che poi diventano corazze,
  • viaggiare attraverso generazioni,
  • accendere o spegnere geni,
  • nascondersi per anni,
  • riscrivere persino la biologia,
  • essere dimenticato ma non cancellato,
  • ripetersi in cerca di chiusura…

Guarire non significa dimenticare, ma integrare: fare spazio alla parte che ha sofferto, darle un linguaggio, e permetterle di appartenere alla nostra storia senza dominarla più.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Psichiatra ADHD Gincarlo Giupponi

Supervisione scientifica:
Questo articolo è stato revisionato dal Dott. Giancarlo Giupponi, psichiatra e psicoterapeuta, vicedirettore del Servizio Psichiatrico di Bolzano e presidente regionale della Società Italiana di Psichiatria. Oltre a garantire l’accuratezza clinica dei contenuti, il Dott. Giupponi supervisiona la selezione dei test e dei questionari disponibili sul sito, verificandone la conformità agli standard scientifici internazionali (DSM-5, OMS, strumenti clinicamente validati).
Scopo del contenuto: divulgativo, non diagnostico.

Psicologia generale

Condividilo

Pensi di soffrire di un disturbo d’ansia?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico per l’ansia.

Pensi di soffrire di depressione?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico per la depressione. 

Guarda le nostre recensioni

Pensi di soffrire di qualche disturbo?

I nostri test psicologici possono essere il primo passo verso la richiesta di un supporto clinico, in presenza dei sintomi di disturbi comuni come ansia, depressione, stress, ADHD, autismo e altro ancora.

Se ti è piaciuto l'articolo iscriviti alla newsletter per non perdere tutte le nostre comunicazioni.