Violenza ostetrica: Cos’è?

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violenza ostetrica

Che cos’è la violenza ostetrica e perché è importante parlarne oggi?

Negli ultimi anni, un numero crescente di donne ha iniziato a condividere pubblicamente esperienze dolorose vissute durante il parto o in occasione di visite ginecologiche. Episodi che, fino a poco tempo fa, venivano spesso normalizzati o sottovalutati, stanno ora emergendo come forme di abuso o di trattamento inadeguato. Questo fenomeno, conosciuto con il termine di violenza ostetrica, è ancora troppo poco discusso, ma riguarda aspetti fondamentali come la dignità, la salute mentale e fisica, e i diritti umani delle donne.

La violenza ostetrica può presentarsi in molte forme, dalle parole offensive agli interventi medici non richiesti, fino al mancato ascolto del dolore e delle esigenze della donna. È una tematica che tocca la sfera più intima e vulnerabile della persona, proprio in un momento cruciale come quello della nascita. 

In questo articolo esploreremo nel dettaglio cosa si intende per violenza ostetrica, come si manifesta, quali possono essere le sue conseguenze psicologiche e quali strumenti abbiamo per affrontarla e contrastarla.

Cosa si intende per violenza ostetrica?

La violenza ostetrica è un concetto complesso che racchiude una serie di atteggiamenti, pratiche e interventi che ledono l’autonomia, la libertà di scelta e la salute psicofisica delle donne durante la gravidanza, il parto o il puerperio. Essa può essere fisica, verbale, emotiva o strutturale, e può manifestarsi in forma esplicita o implicita.

Può trattarsi, ad esempio, di interventi medici eseguiti senza consenso informato, di commenti svalutanti, di mancanza di empatia, oppure della sensazione di essere trattate come oggetti piuttosto che come persone.

Uno studio qualitativo pubblicato su BMJ Open nel 2021, intitolato “Obstetric violence: a qualitative interview study”, ha esplorato in profondità l’esperienza vissuta da donne che hanno subito questo tipo di violenza. Dalle interviste è emerso un quadro chiaro: molte donne hanno descritto il trattamento ricevuto come autoritarismo sanitario, caratterizzato da una comunicazione scarsa o assente, decisioni prese senza coinvolgimento attivo, e assenza di rispetto per i bisogni fisici ed emotivi delle pazienti. Alcune donne hanno riferito di aver provato paura, vergogna e perdita di controllo durante il parto, elementi che evidenziano quanto l’ambiente ostetrico possa talvolta risultare traumatico piuttosto che accogliente.

È importante sottolineare che la violenza ostetrica non si limita agli atti fisici: può includere anche l’indifferenza, la pressione psicologica o la negazione del diritto all’informazione. Ciò che rende questa forma di violenza particolarmente insidiosa è il contesto in cui avviene, un contesto che dovrebbe, al contrario, garantire protezione, rispetto e cura.

Violenza ostetrica: come riconoscerla?

Riconoscere la violenza ostetrica è il primo passo per combatterla. Molte donne, però, faticano a identificare come abuso ciò che hanno vissuto, anche perché determinati comportamenti sono stati storicamente considerati parte “normale” dell’assistenza sanitaria.

Ecco alcuni segnali per riconoscerla:

  • Assenza di consenso informato: uno degli elementi centrali. Quando vengono effettuati interventi medici, come episiotomie, cesarei, manovre manuali o somministrazioni di farmaci, senza spiegazione o senza il permesso esplicito della donna, si tratta di una forma di violenza.
  • Trattamenti umilianti o irrispettosi: frasi del tipo “non fare la bambina”, “hai voluto fare un figlio, adesso sopporta”, oppure atteggiamenti sarcastici o denigratori.
  • Negligenza o abbandono emotivo: ignorare il dolore espresso dalla donna, minimizzare le sue paure o non rispondere alle sue richieste di aiuto.
  • Mancato rispetto delle scelte personali: come la posizione del parto, la presenza del partner, l’uso di analgesia o il contatto immediato con il neonato.
  • Forzatura di procedure mediche: spesso giustificate “per il bene del bambino” ma non sempre motivate clinicamente, come induzioni forzate o accelerazioni non necessarie.

È fondamentale ricordare che la percezione soggettiva conta: se una donna ha vissuto un’esperienza come traumatica o violenta, questa va ascoltata e riconosciuta. La medicina moderna non può prescindere dal rispetto dell’individuo e dalla sua dignità.

donna incinta in ospedale
donna incinta in ospedale

Possibili conseguenze psicologiche della violenza ostetrica

Le conseguenze della violenza ostetrica non si esauriscono con la fine dell’evento. Molte donne continuano a convivere con gli effetti psicologici per mesi, se non anni, e questi possono influire sulla relazione con il neonato, sul benessere familiare e sulla salute mentale complessiva.

Lo studio Obstetric violence: a qualitative interview study ha riportato che molte partecipanti hanno sviluppato sintomi compatibili con un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Tra questi: incubi, ricordi intrusivi, attacchi di panico, ansia costante e difficoltà nel riprendere una vita sessuale serena. Alcune donne hanno riferito di sentirsi colpevoli o inadeguate, mentre altre hanno evitato ulteriori gravidanze per paura di rivivere un’esperienza simile.

Inoltre, la depressione post-partum può essere aggravata, o in alcuni casi scatenata, da una nascita vissuta come traumatica. Le emozioni represse, il senso di isolamento e la mancanza di riconoscimento sociale del dolore subito contribuiscono a rendere ancora più difficile la fase postnatale.

Il danno psicologico non nasce solo dal singolo atto, ma dall’insieme di vissuti di solitudine, impotenza e incomprensione. Quando non si viene ascoltate o si minimizza il proprio vissuto, il trauma si radica più profondamente.

Violenza ostetrica: come affrontarla

Affrontare un’esperienza di violenza ostetrica richiede coraggio, tempo e supporto adeguato. Non esiste una soluzione unica, ma è possibile ricostruire un senso di sicurezza e fiducia nel proprio corpo e negli altri.

Ecco alcuni passi che possono aiutare:

  1. Riconoscere l’accaduto: dare un nome alla propria esperienza è il primo passo per guarire. Rendersi conto che ciò che si è vissuto è una forma di violenza e non un problema “personale” o di “sensibilità eccessiva” è fondamentale.
  2. Cercare supporto psicologico: rivolgersi a professionisti specializzati in traumi perinatali può essere estremamente utile per rielaborare il dolore e ridurre l’impatto emotivo del vissuto.
  3. Parlarne con altre donne: condividere la propria storia in gruppi di ascolto o comunità sensibili può favorire il senso di appartenenza, aiutare a uscire dall’isolamento e riconoscere che non si è sole.
  4. Informarsi sui propri diritti sanitari: conoscere le linee guida, i protocolli ospedalieri e i propri diritti può fornire strumenti per evitare che l’esperienza si ripeta in futuro.
  5. Valutare un’azione formale: alcune donne scelgono di segnalare l’accaduto all’ospedale o agli ordini professionali, o di avviare un’azione legale. Non è obbligatorio farlo, ma può essere un modo per affermare la propria dignità e contribuire al cambiamento del sistema.

Non esistono tempi giusti o sbagliati per affrontare la violenza subita: ogni donna ha il diritto di gestire il proprio percorso di guarigione secondo le proprie necessità. Quel che conta è sapere che esistono risorse, ascolto e possibilità di ricostruzione.

La consapevolezza è il primo passo per tutelare la propria salute. Quando situazioni complesse generano stress, ansia o sintomi depressivi, è fondamentale non restare soli. Presso il Centro GAM Medical, è possibile ricevere un supporto psicologico mirato per affrontare il disagio emotivo e ritrovare equilibrio e benessere.

Questo è contenuto divulgativo e non sostituisce le diagnosi di un professionista. Se ti è piaciuto l’articolo, condividilo.

Fonti:

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34872035/
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