All’interno del vasto contenitore dello spettro autistico, uno degli aspetti più affascinanti – ma al tempo stesso più delicati e impattanti sulla qualità della vita – riguarda il modo in cui le persone nello spettro percepiscono e reagiscono agli stimoli sensoriali.
Tra questi, gli stimoli uditivi occupano un ruolo particolarmente significativo, non solo per la loro presenza costante e inevitabile nella vita quotidiana, ma anche per l’intensità emotiva e fisiologica con cui vengono esperiti da molte persone autistiche.
Il DSM-5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, riconosce ufficialmente, tra i criteri diagnostici per il disturbo dello spettro autistico, l’iper- o iporeattività agli stimoli sensoriali, tra cui quelli di natura uditiva.
Questo significa che le persone autistiche possono avere reazioni particolarmente forti – sia in eccesso che in difetto – a suoni, rumori e ambienti acusticamente complessi o imprevedibili.
Una delle manifestazioni più frequenti e pervasive di questa caratteristica sensoriale è ciò che viene definito con il termine ridotta tolleranza ai suoni, in inglese Decreased Sound Tolerance (DST).
Questa espressione ombrello descrive un insieme di condizioni in cui i suoni quotidiani – che per la maggior parte delle persone passano inosservati, vengono facilmente ignorati o considerati poco rilevanti – possono risultare estremamente fastidiosi, disturbanti, dolorosi o addirittura insopportabili per alcune persone autistiche.
La ridotta tolleranza ai suoni non è una semplice preferenza sensoriale o una maggiore “sensibilità” in senso generico, ma rappresenta una vera e propria reattività neurofisiologica ed emotiva, che può interferire in modo significativo con il benessere personale, con le interazioni sociali e con il funzionamento nella vita quotidiana.
Questa condizione si colloca in un’area di studio ancora in evoluzione, dove la terminologia varia da autore ad autore e da disciplina a disciplina.
Infatti, nella letteratura scientifica e clinica si riscontra una certa varietà nel modo in cui viene descritta e classificata la DST.
Le etichette, pur indicando fenomeni con caratteristiche in parte sovrapponibili, si riferiscono a vissuti soggettivi e a risposte diverse agli stimoli sonori.
È per questo motivo che, parlando di ridotta tolleranza ai suoni in ambito autistico, ci si riferisce a un insieme di condizioni tra loro collegate ma distinte, che è utile tenere separate dal punto di vista descrittivo, diagnostico e clinico.
Le principali condizioni che rientrano sotto l’ombrello della ridotta tolleranza ai suoni sono le seguenti:
- Iperacusia
- Misofonia
- Sensibilità al rumore
- Fonofobia
Ognuna di queste manifestazioni ha caratteristiche peculiari, modalità di insorgenza e implicazioni soggettive differenti, ma tutte condividono un elemento centrale: la difficoltà, spesso intensa e persistente, a gestire l’esperienza uditiva in contesti quotidiani.
Per una persona autistica, questo può voler dire vivere come dolorosi rumori che per gli altri sono neutri o impercettibili, provare angoscia di fronte a determinati suoni ripetitivi o improvvisi, sentire crescere la tensione fino al punto di avere reazioni di fuga o di chiusura, oppure trovarsi costantemente in stato di allerta nei contesti sensorialmente densi, come scuole, supermercati, mezzi pubblici, locali affollati.
Nei paragrafi successivi, esploreremo più nel dettaglio ciascuna di queste condizioni per coglierne le specificità, i vissuti e le manifestazioni nell’autismo.
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Iperacusia, Misofonia, Sensibilità al Rumore e Fonofobia nell’Autismo
Come già accennato, sotto il termine ombrello di Decreased Sound Tolerance (DST) si collocano diverse manifestazioni, tra cui le principali sono: iperacusia, misofonia, sensibilità al rumore e fonofobia.
Queste forme di iper-reattività uditiva condividono un comune denominatore – ovvero l’esperienza soggettiva di difficoltà o disagio in risposta agli stimoli sonori – ma si differenziano per intensità, natura dello stimolo attivante, implicazioni emotive e comportamentali.
Nello specifico:
- Iperacusia: l’iperacusia è forse una delle manifestazioni più conosciute, anche se non sempre ben comprese, della ridotta tolleranza ai suoni. Come suggerisce l’etimologia stessa, questo termine indica una condizione in cui si verifica un abbassamento patologico della soglia di percezione uditiva. In parole semplici, suoni che per la maggior parte delle persone risultano normali, tollerabili, a volte persino piacevoli o appena percettibili, per una persona con iperacusia possono risultare dolorosi, invasivi, insostenibili. Non si tratta quindi di una sensibilità generica o di una fastidiosa ipersensibilità, ma di una vera e propria amplificazione percettiva che coinvolge il sistema uditivo a livello neurofisiologico. Il cervello autistico non riesce a regolare correttamente l’intensità del suono: tutto sembra più forte, più vicino, più aggressivo. Questa percezione distorta può avere ripercussioni molto serie sulla qualità della vita, perché comporta una costante esposizione a stimoli che vengono vissuti come minacciosi, dolorosi o disturbanti. Le conseguenze sono spesso evitamento sociale, difficoltà scolastiche o lavorative, e una sensazione costante di allerta e tensione che può minare profondamente il benessere psicologico. Basta il rumore di una sedia spostata, una sirena in lontananza, il volume della televisione, o persino il chiacchiericcio in una stanza per generare un’esperienza di sopraffazione sensoriale. La persona può avere reazioni corporee immediate – come sobbalzi, irrigidimento, coprirsi le orecchie, pianto o fuga – e un senso soggettivo di essere “aggredita” acusticamente da un ambiente che non sembra altrettanto invasivo agli altri. Questa discrepanza tra esperienza interna e realtà esterna contribuisce al senso di isolamento, incomprensione e frustrazione che spesso accompagna l’iperacusia.
- Misofonia: la misofonia è una condizione che, sebbene legata alla ridotta tolleranza uditiva, si differenzia profondamente dall’iperacusia per natura ed effetti. A essere problematici, infatti, non sono i suoni intensi o forti in sé, ma suoni specifici, ben identificabili, che scatenano una reazione emotiva sproporzionata, immediata e difficilmente controllabile. Non è tanto l’intensità del suono a disturbare, quanto il suo tipo, la sua qualità, il suo significato associativo. Tra i suoni più frequentemente coinvolti nella misofonia troviamo quelli corporei come il masticare, il deglutire, il respirare rumorosamente, il tamburellare con le dita, il battere ritmico di una penna, i tic nervosi, ma anche alcuni rumori ambientali ripetitivi. La persona che ne soffre può provare emozioni molto forti – rabbia, irritazione, disgusto, ansia – in modo improvviso e incontrollabile, come se quel suono attivasse un campanello di allarme interno. A livello relazionale, questo può portare a tensioni enormi, perché spesso i suoni che scatenano la reazione provengono da persone vicine, familiari, colleghi, compagni di classe. La misofonia può dunque trasformare anche un ambiente teoricamente “neutro” in una fonte di stress, e compromette la serenità nelle relazioni quotidiane. La persona misofonica può cominciare a evitare situazioni, persone o luoghi per ridurre la possibilità di entrare in contatto con i suoni trigger, con conseguenze importanti sul piano sociale e affettivo. La sofferenza non risiede solo nel rumore, ma nel fatto che quel suono diventa intollerabile perché carico di valenze soggettive negative, che spesso non vengono comprese dagli altri, generando ulteriore isolamento e senso di inadeguatezza.
- Sensibilità al rumore: in questo caso ci troviamo di fronte a un concetto più ampio e meno specifico, ma non per questo meno invalidante. La sensibilità al rumore è il termine generico con cui si descrive una condizione di reattività aumentata agli ambienti acusticamente intensi, caotici, sovraccarichi di stimoli uditivi. A differenza dell’iperacusia, qui non si parla necessariamente di dolore fisico o di una soglia percettiva alterata, e rispetto alla misofonia non ci sono trigger sonori specifici. Si tratta piuttosto di una ipersollecitazione generale da parte dell’ambiente rumoroso, che può generare una sensazione soggettiva di disagio, tensione, disorientamento, ansia o sopraffazione. Supermercati affollati, centri commerciali, mense scolastiche, feste, locali pubblici, trasporti urbani: tutti questi spazi possono diventare estremamente difficili da gestire per una persona con elevata sensibilità al rumore. Il cervello fatica a filtrare i suoni rilevanti da quelli di fondo, e questo sovraccarico sensoriale può rapidamente sfociare in uno stato di confusione, malessere, irritabilità o chiusura. Il rumore non viene percepito come isolato, ma come un impasto indistinto e caotico, in cui ogni suono compete per l’attenzione. Questo rende difficile concentrarsi, parlare, pensare con chiarezza. È una condizione che spesso accompagna o si sovrappone a quella del sovraccarico sensoriale più ampio, e può condurre al bisogno urgente di lasciare l’ambiente, cercare silenzio, proteggersi attraverso strategie difensive come cuffie, tappi o isolamento.
- Fonofobia: la fonofobia è una condizione meno conosciuta ma estremamente impattante, che si distingue per il fatto che la reazione negativa al suono avviene prima ancora che il suono venga effettivamente percepito. Si tratta infatti di una risposta ansiosa anticipatoria, una forma di paura preventiva che si attiva alla sola idea che un suono potenzialmente sgradevole, fastidioso o doloroso possa verificarsi. In questo senso, la fonofobia può essere vista come una conseguenza o una complicazione di condizioni come l’iperacusia: dopo aver provato più volte dolore o disagio in seguito a determinati suoni, la persona può sviluppare un vero e proprio evitamento ansioso, simile a quello delle fobie classiche. La fonofobia non è quindi tanto legata alla natura oggettiva del suono, quanto alla sua possibilità ipotetica, alla minaccia che rappresenta. Questo porta a comportamenti di evitamento sempre più marcati: si evitano luoghi rumorosi, si limita la partecipazione sociale, si adottano strategie preventive come indossare cuffie anche in ambienti silenziosi, si costruisce una routine rigida per ridurre al minimo le “sorprese” acustiche. La fonofobia può diventare molto invalidante, perché trasforma la paura del suono in una prigione anticipatoria che condiziona le scelte quotidiane e rafforza l’isolamento. La persona non reagisce più solo al suono in sé, ma vive in uno stato di tensione costante, nel timore che “quel” suono possa arrivare in qualunque momento.
Queste diverse forme di ridotta tolleranza ai suoni non devono essere intese come categorie rigide o mutuamente escludenti.
Al contrario, è del tutto possibile – e anzi piuttosto comune – che una stessa persona, soprattutto se nello spettro autistico, possa sperimentare più di una di queste condizioni contemporaneamente, oppure in momenti diversi della giornata, della vita o a seconda del contesto specifico.
Per esempio, un individuo potrebbe manifestare iperacusia di fronte a suoni intensi come una sirena o una porta che sbatte, provare misofonia verso il rumore del masticare durante i pasti, essere sopraffatto in ambienti affollati e rumorosi sviluppando una forte sensibilità al rumore, e al tempo stesso nutrire una paura anticipatoria (fonofobia) rispetto a determinati ambienti temuti proprio per la presenza potenziale di suoni spiacevoli.
Inoltre, la tolleranza ai suoni può variare sensibilmente in base a fattori come la stanchezza, il sovraccarico sensoriale, lo stato emotivo, la prevedibilità o meno dello stimolo e il senso di controllo percepito.
Questo rende la DST un fenomeno dinamico, fluido e fortemente legato all’interazione tra il profilo sensoriale individuale e le caratteristiche dell’ambiente circostante.
Riconoscere questa complessità è fondamentale per evitare semplificazioni, per leggere in modo corretto le reazioni della persona e per offrire risposte realmente personalizzate, inclusive e rispettose del funzionamento neurodivergente.
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