Negli ultimi anni, però, come già accennato, la comunità scientifica ha mutato il proprio approccio rispetto al disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, riconoscendo che si tratta di una condizione permanente.
L’ADHD, infatti, non è una condizione temporanea o qualcosa da cui si dovrebbe “guarire”, ma una neurodivergenza che fa parte della persona per tutta la vita.
Quando si parla di neurodivergenza ci si riferisce a modi di funzionare del cervello che si discostano dalla norma statistica o sociale. Le persone neurodivergenti hanno schemi di pensiero, apprendimento, elaborazione delle informazioni e percezione del mondo che differiscono da quelli considerati tipici (neurotipici).
La neurodivergenza, come l’ADHD, quindi, non è una malattia o un problema da “curare”, ma una variazione naturale del funzionamento neurologico umano.
Per questo motivo, la comunità ADHD, e noi stessi in quanto clinica specializzata, ci rendiamo partecipi di questa visione, promuoviamo attivamente un linguaggio che rifletta la natura identitaria dell’ADHD.
Nei nostri canali, sia qui sul sito che sui social, scegliamo di usare il verbo essere, e non avere, quando ci riferiamo a persone ADHD: questo significa dire che “una persona è ADHD” e non “ha l’ADHD”, perché crediamo che questa modalità rispecchi meglio la realtà delle persone neurodivergenti.
Può sembrare un capriccio ma il linguaggio modella il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri.
Dire “essere ADHD” aiuta a riconoscere che non si tratta di una malattia da cui liberarsi, ma di una caratteristica che accompagna la persona. Questo non significa che vogliamo negarne fatiche e difficoltà ma dare spazio anche ai punti di forza