Autismo e Riconoscimento Emotivo

Tempo di lettura: 5 minuti

Autismo e Riconoscimento Emotivo

Sapevi che le persone nello spettro dell’autismo possono avere difficoltà con il riconoscimento emotivo?

Quando pensiamo a “capire le emozioni degli altri”, di solito immaginiamo un volto: un sorriso, un sopracciglio inarcato, una smorfia di disgusto. Nella vita quotidiana, il nostro cervello usa queste informazioni in modo rapidissimo per indovinare cosa prova l’altra persona e cosa potrebbe accadere dopo.

Nel caso delle persone autistiche, però, questo processo può funzionare in modo diverso:

  • a volte è più lento,
  • a volte si basa su indizi diversi (contesto, parole, tono di voce),
  • a volte il riconoscimento c’è, ma la risposta “socialmente attesa” non arriva o arriva in modo diverso.

Che cos’è il riconoscimento emotivo?

Con riconoscimento emotivo intendiamo la capacità di:

  • osservare un segnale (una faccia, un tono di voce, un gesto, il contesto),
  • collegarlo a uno stato interno probabile (“sembra arrabbiato”, “mi pare deluso”),
  • usarlo per guidare il nostro comportamento (“forse è meglio che lo lasci un attimo in pace”, “posso chiedere se è tutto ok”).

Non riguarda solo il volto. Nella vita reale usiamo un mix di:

  • espressioni facciali (sorriso, fronte corrugata, sguardo sfuggente),
  • tono e ritmo della voce,
  • postura e gesti,
  • distanza fisica (ci si avvicina, si si allontana),
  • contesto (dove siamo, cosa è successo poco prima).

Perché è così importante riconoscere le espressioni facciali?

  1. Per costruire e mantenere relazioni: capire come sta l’altra persona ci aiuta a:
    • modulare le nostre parole (es. consolare, scherzare, cambiare argomento),
    • capire se l’altro è disponibile all’interazione o ha bisogno di spazio,
    • percepire segnali di interesse, fastidio, affetto, noia.
  2. Per la sicurezza e la gestione dei conflitti: le espressioni ci permettono di “annusare l’aria” sociale:
    • cogliere segni precoci di rabbia o frustrazione,
    • capire se una situazione sta diventando potenzialmente conflittuale,
    • regolare la nostra presenza (allontanarci, chiedere aiuto, cambiare tono).
  3. Per l’empatia e il senso di connessione: riconoscere le emozioni dell’altro non è solo “capire”, ma anche sentire con l’altro. Se vedo una persona triste e interpreto correttamente la sua espressione, posso:
    • avvicinarmi,
    • offrire supporto,
    • rispecchiare la sua emozione (“capisco che tu sia deluso”).

Le persone nello spettro autistico possono tranquillamente provare empatia, anche intensa, ma possono:

  • non cogliere subito i segnali,
  • non sapere come esprimerla in modo socialmente atteso,
  • apparire “freddi” o “distaccati” quando in realtà stanno sentendo molto.

Emozioni e Teoria della Mente (TOM) nell’autismo

La Teoria della Mente è implicata nel riconoscimento emotivo e consiste nella capacità di:

  • attribuire stati mentali a sé e agli altri (credenze, desideri, intenzioni, emozioni),
  • capire che ciò che le persone fanno dipende da ciò che pensano o provano, non solo da ciò che accade esternamente,
  • prevedere e interpretare il comportamento altrui.

Nell’autismo, non è corretto dire che la ToM sia “assente”: oggi la ricerca mostra che può essere diversa, meno automatica, oppure più dipendente dal contesto.

Retrodictive Mindreading nell’Autismo

La retrodictive mindreading è un’abilità specifica all’interno della ToM:

Consiste nel risalire a ciò che è accaduto a una persona a partire dalla sua risposta emotiva o comportamentale.

È un processo “al contrario”:

  • Predictive mindreading = prevedo cosa proverà qualcuno prima che accada qualcosa.
  • Retrodictive mindreading = inferisco cosa è accaduto dopo, partendo da come quella persona sta reagendo.

Esempio semplice:
Vedo una persona con una faccia sorpresa → posso intuire che ha ricevuto una notizia inattesa.

Non identifico solo l’espressione (“sorpresa”), ma ricostruisco la causa mentale ed emotiva che ha generato quella espressione.

Quando emozione, espressione e significato non coincidono: difficoltà nel riconoscimento emotivo negli adulti nello spettro autistico

Lo studio “Can adults with autism spectrum disorders infer what happened to someone from their emotional response?” indaga proprio una abilità sottile ma molto importante: la cosiddetta “retrodictive mindreading”, cioè la capacità di risalire a cosa è successo a qualcuno a partire dalla sua risposta emotiva.

Gli autori si sono chiesti:

“Gli adulti con diagnosi di autismo o Sindrome di Asperger riescono a inferire che cosa è accaduto a una persona guardando la sua reazione emotiva?”

Per rispondere, hanno:

  • reclutato adulti ad alto funzionamento con diagnosi nello spettro autistico e un gruppo di controllo neurotipico;
  • mostrato 21 brevi video in cui una persona riceveva uno di tre tipi di regalo:
    • cioccolato (regalo generalmente apprezzato),
    • soldi finti (monopoly),
    • un oggetto fatto in casa (un “novelty”, più ambiguo o potenzialmente deludente);
  • chiesto ai partecipanti di:
    • inferire che regalo aveva ricevuto la persona,
    • identificare che emozione stava esprimendo.

Nel frattempo, venivano registrati anche i movimenti oculari per vedere se guardavano di meno gli occhi.

I risultati, semplificando, mostrano che:

  • gli adulti autistici erano meno accurati nell’indovinare chi aveva ricevuto il cioccolato o il regalo fatto in casa (cioè situazioni in cui si doveva distinguere tra emozione genuina e emozione “finta” positiva);
  • tuttavia, entrambi i gruppi (autistici e neurotipici) erano in grado di indicare quali emozioni fossero appropriate per ciascun regalo (cioè possedevano la conoscenza astratta del legame tra evento ed emozione);
  • la difficoltà non era dovuta a “non sapere che emozione fosse giusta”, ma a usare le espressioni spontanee delle persone per risalire a cosa era successo.

Interessante anche il dato sugli occhi:

  • le persone autistiche non guardavano significativamente meno gli occhi rispetto ai neurotipici;
  • la quantità di sguardo agli occhi non era correlata alla precisione nel compito.

Questo studio suggerisce che, in molti casi:

  • la persona autistica sa quali emozioni sono legate a quali situazioni (la conoscenza “dichiarativa” c’è);
  • la difficoltà può emergere quando bisogna interpretare espressioni reali, spontanee, complesse, dove
    • l’emozione è genuina o “finta”,
    • la persona esprime più stati emotivi insieme (imbarazzo, cortesia, delusione).

In altre parole, quello che “salta” non è necessariamente il vocabolario emotivo, ma la lettura fine delle sfumature sociali e la capacità di usarle per ricostruire la storia che c’è dietro.

Emozioni dell’altro e risposta socialmente attesa: le difficoltà delle persone autistiche

Non tutte le persone autistiche presentano difficoltà nel riconoscimento emotivo, nella Teoria della Mente o nella retrodictive mindreading.

In molti casi, queste abilità sono presenti e funzionanti, soprattutto nelle persone autistiche adulte di livello 1, o che hanno sviluppato nel tempo strategie di compenso molto efficaci.

Questo significa che alcune persone nello spettro:

  • riescono a riconoscere correttamente le emozioni sulle espressioni facciali,
  • sono in grado di attribuire stati mentali (pensieri, intenzioni, desideri) agli altri,
  • sanno anche risalire a ciò che è accaduto a partire dalla reazione emotiva osservata (retrodictive mindreading).

Tuttavia, anche quando questi processi cognitivi sono integri, può accadere che la risposta visibile all’esterno non coincida con ciò che socialmente ci si aspetterebbe.

Per esempio:

  • la persona riconosce che l’altro è triste, ma non fa cose socialmente adeguate tipo non lo abbraccia e non cambia tono di voce;
  • comprende che l’altro è arrabbiato, ma mantiene un’espressione neutra o sorride per imbarazzo;
  • coglie perfettamente la situazione emotiva, ma risponde in modo molto diretto, “logico”, senza premettere frasi di rito.

Dall’esterno, questo può essere interpretato come “mancanza di empatia” o “difficoltà nel riconoscimento emotivo”, quando in realtà il problema non sta nella comprensione, ma nella traduzione in comportamenti socialmente riconoscibili come empatici.

In altre parole, per alcune persone autistiche il riconoscimento delle emozioni e la Teoria della Mente funzionano, ma il codice espressivo con cui queste competenze si manifestano è diverso da quello atteso in una prospettiva neurotipica.

Questa distinzione è fondamentale per evitare di ridurre l’autismo a un “deficit di empatia” e per costruire interventi più rispettosi, che non mirano a “correggere” ciò che la persona sente o capisce, ma a trovare insieme modi di esprimere le emozioni e la cura che siano sostenibili per lei e comprensibili per gli altri.

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Psichiatra ADHD Gincarlo Giupponi

Supervisione scientifica:
Questo articolo è stato revisionato dal Dott. Giancarlo Giupponi, psichiatra e psicoterapeuta, vicedirettore del Servizio Psichiatrico di Bolzano e presidente regionale della Società Italiana di Psichiatria. Oltre a garantire l’accuratezza clinica dei contenuti, il Dott. Giupponi supervisiona la selezione dei test e dei questionari disponibili sul sito, verificandone la conformità agli standard scientifici internazionali (DSM-5, OMS, strumenti clinicamente validati).
Scopo del contenuto: divulgativo, non diagnostico.

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