ADHD e Problemi di Udito

Tempo di lettura: 5 minuti

Indice Contenuti
ADHD e Problemi di Udito

Molte persone ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) raccontano di avere difficoltà a seguire le conversazioni, sia da bambini che in età adulta.

È un’esperienza comune quella di trovarsi in mezzo a un dialogo, magari in un contesto affollato o semplicemente durante una chiacchierata tra amici, e dover chiedere più volte: “Cosa?”.

Oppure, per evitare di rallentare la conversazione o sentirsi inadeguati, può capitare di annuire e fingere di aver capito perfettamente, anche quando le parole ascoltate non sono state realmente comprese.

Questi episodi, apparentemente banali, possono generare frustrazione sia nella persona che li vive, sia in chi le sta intorno.

Spesso, infatti, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a qualcuno che “non ascolta” o che ha problemi di udito. Tuttavia, la realtà è più complessa di così.

Quello che accade, in molti casi, non è una vera difficoltà uditiva nel senso medico del termine — ovvero legata all’apparato uditivo — ma una difficoltà nell’elaborazione delle informazioni uditive.

In altre parole, la persona sente ciò che viene detto, ma il suo cervello non riesce a processare correttamente quel suono nell’immediato.

Le parole arrivano, ma si confondono, sfuggono o non vengono interpretate con la stessa rapidità e chiarezza con cui lo farebbe qualcun altro.

Le testimonianze cliniche e gli studi in letteratura suggeriscono una forte similitudine tra alcune difficoltà uditive presenti nell’ADHD e quelle caratteristiche del Disturbo dell’Elaborazione Uditiva (APD – Auditory Processing Disorder).

Entrambe le condizioni possono manifestarsi con sintomi comuni: difficoltà a seguire le istruzioni verbali, necessità di frequenti chiarimenti, distrazione durante le conversazioni, risposte ritardate o inappropriate.

Questa sovrapposizione sintomatologica può portare a diagnosi incerte o addirittura errate.

Spesso ci si trova davanti a casi in cui una persona riceve una diagnosi di ADHD, mentre il problema principale riguarda in realtà un’elaborazione uditiva compromessa (APD), o viceversa.

Nelle prossime righe approfondiremo in maniera più dettagliata questo argomento, spesso oggetto di controversie e fraintendimenti.

Cos’è il Disturbo dell’Elaborazione Uditiva (APD)?

Il Disturbo dell’Elaborazione Uditiva, conosciuto anche con la sigla APD (Auditory Processing Disorder), è una condizione neurologica che riguarda il modo in cui il cervello interpreta le informazioni uditive ricevute. In parole semplici, chi ne soffre non ha problemi con l’udito in senso tradizionale — l’orecchio funziona normalmente e percepisce i suoni — ma è il cervello a non riuscire a elaborarli in modo corretto, efficiente o coerente.

Questo disturbo riguarda il sistema nervoso uditivo centrale, ovvero le aree del cervello deputate a ricevere, discriminare, analizzare, interpretare e attribuire significato ai suoni.

La persona sente, ma non riesce sempre a comprendere: i messaggi vocali possono sembrare confusi, sovrapposti o indistinti, soprattutto in ambienti rumorosi o con più fonti sonore contemporanee.

Questo rende difficoltoso riconoscere le parole, seguirne il significato, cogliere le sfumature del linguaggio o discriminare tra suoni simili.

Le difficoltà legate all’APD possono manifestarsi in diversi modi. Alcuni esempi comuni includono: difficoltà a seguire conversazioni in ambienti affollati, fatica nel comprendere frasi lunghe o complesse, necessità di chiedere ripetizioni frequenti, problemi nel distinguere suoni simili (come “p” e “b”), confusione tra istruzioni verbali simili, e lentezza nel rispondere a domande perché il cervello impiega più tempo a decodificare ciò che ha sentito.

Queste difficoltà possono influire significativamente sulla comunicazione quotidiana, sul rendimento scolastico nei bambini e sulle relazioni sociali.

L’APD viene diagnosticato da un audiologo specializzato attraverso una serie di test mirati, che non si limitano a misurare la capacità uditiva ma valutano come il cervello gestisce, seleziona e interpreta i suoni.

Non si tratta, quindi, di un semplice esame dell’udito, ma di una valutazione complessa che considera anche le capacità di attenzione uditiva selettiva, di memoria uditiva e di discriminazione temporale dei suoni.

Le cause dell’APD non sono ancora del tutto chiare.

Può essere presente fin dall’infanzia, ma anche svilupparsi in seguito a traumi cranici, infezioni o altre condizioni neurologiche.

In ogni caso, non si tratta di una disfunzione dovuta a pigrizia, disinteresse o scarsa intelligenza: è una condizione reale, neurologicamente fondata, che necessita di comprensione, diagnosi accurata e interventi personalizzati.

ADHD e Disturbo dell’Elaborazione Uditiva (APD): comorbilità o sovrapposizione sintomatologica?

Nel panorama delle diagnosi neuropsicologiche, ci sono situazioni in cui i confini tra i disturbi si fanno sottili, sfumati, talvolta ambigui.

È il caso della relazione il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività e APD (Disturbo dell’Elaborazione Uditiva, dall’inglese Auditory Processing Disorder).

Due condizioni che, pur essendo teoricamente distinte per origine, meccanismi e criteri diagnostici, nella pratica clinica e nella vita quotidiana possono manifestarsi con tratti molto simili, al punto da generare confusione diagnostica o, in alcuni casi, diagnosi errate.

Molti bambini e adulti ADHD riferiscono difficoltà nel seguire conversazioni, nel comprendere le istruzioni verbali o nel mantenere l’attenzione su ciò che viene detto in ambienti con stimoli multipli.

D’altra parte, le persone con APD presentano un quadro molto simile, ma con un’origine completamente diversa. È quindi fondamentale chiedersi: ci troviamo di fronte a una comorbilità — cioè alla coesistenza di due disturbi distinti — oppure si tratta di una sovrapposizione sintomatologica, dove una sola condizione (ADHD) è responsabile di un insieme di sintomi che possono facilmente sembrare quelli di un altro disturbo (APD)?

Per rispondere a questa domanda, è necessario prima comprendere cosa siano esattamente questi due disturbi e cosa li differenzia alla radice.

L’APD, come abbiamo visto nel paragrafo dedicato, colpisce specificamente il modo in cui il cervello elabora le informazioni uditive.

Le persone con APD non hanno un deficit dell’udito nel senso fisico del termine: l’apparato uditivo funziona correttamente, le onde sonore vengono percepite, ma è il cervello a faticare nel decodificarle.

In particolare, il sistema nervoso uditivo centrale presenta difficoltà nel riconoscere, discriminare e interpretare i suoni del linguaggio, soprattutto in ambienti complessi o rumorosi. Il problema non è “sentire”, ma “comprendere ciò che si sente”.

L’ADHD, al contrario, è un disturbo neuroevolutivo che interessa le funzioni esecutive: attenzione sostenuta, organizzazione, memoria di lavoro, controllo degli impulsi, regolazione emotiva e pianificazione.

La difficoltà nel mantenere l’attenzione su uno stimolo uditivo, ad esempio una voce in mezzo ad altri rumori, non deriva da un problema del sistema uditivo, ma dalla difficoltà a regolare il focus attentivo, a selezionare ciò che è rilevante da ciò che è irrilevante.

Questa distinzione è fondamentale: nel caso dell’APD, il problema è di tipo percettivo ed elaborativo, mentre nell’ADHD il problema è di tipo attentivo e regolativo.

Tuttavia, nella quotidianità, il risultato può apparire simile: difficoltà a comprendere, ritardo nel rispondere, bisogno di chiedere ripetizioni, confusione nei discorsi. Ecco perché, in assenza di un’analisi approfondita, è facile confondere i due quadri clinici.

Uno degli aspetti più insidiosi è che le persone ADHD, pur non avendo un disturbo uditivo clinicamente diagnosticabile, possono comunque mostrare importanti difficoltà legate all’elaborazione uditiva.

Non perché il sistema uditivo non funzioni, ma perché l’attenzione instabile, la difficoltà di filtro e la scarsa regolazione cognitiva interferiscono con la capacità di comprendere e rispondere efficacemente agli stimoli uditivi.

Queste difficoltà si presentano spesso in contesti specifici, come:

  • Incapacità di concentrarsi su una voce in ambienti rumorosi: ad esempio in classe, durante una riunione o a tavola con più persone che parlano contemporaneamente. Il cervello fatica a selezionare lo stimolo rilevante (la voce dell’interlocutore) dal rumore di fondo.
  • Bisogno di riascoltare o rileggere più volte le istruzioni: anche quando sono semplici. L’informazione sfugge rapidamente, oppure non viene registrata del tutto perché l’attenzione era momentaneamente altrove.
  • Ritardi nel rispondere a domande, anche semplici: non per disinteresse o lentezza mentale, ma perché c’è un tempo di elaborazione maggiore richiesto per mettere insieme ciò che è stato udito con una risposta coerente.

Questi comportamenti possono far pensare a un disturbo uditivo vero e proprio. In realtà, nel caso dell’ADHD, si tratta di un effetto secondario della condizione stessa: il sintomo “somiglia” a un deficit sensoriale, ma è espressione di una disfunzione attentiva e non percettiva.

È quindi importante che il processo diagnostico sia condotto in modo multidisciplinare, coinvolgendo neuropsichiatri, psicologi, logopedisti e audiologi, per valutare non solo se “sente bene”, ma come elabora ciò che sente, in quali contesti, con quali strategie compensative e con quali ricadute sul piano funzionale.

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments

ADHD a 360 gradi

Condividilo

Pensi di essere ADHD?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico.

Guarda le nostre recensioni

Pensi di essere ADHD?

Fai ora il test di autovalutazione che può fornirti una prima indicazione sulla possibilità di intraprendere un percorso diagnostico. Bastano 3 minuti per avere il risultato.

Se ti è piaciuto l'articolo iscriviti alla newsletter per non perdere tutte le nostre comunicazioni.