“ADHD post-partum”: è possibile? La maternità che smaschera

Tempo di lettura: 4 minuti

"ADHD post-partum": è possibile? La maternità che smaschera

Molte donne arrivano a una diagnosi di ADHD in età adulta in un momento molto preciso della loro vita: dopo la nascita di un figlio. Il periodo post-partum, già di per sé delicato e trasformativo, diventa per alcune un vero spartiacque identitario. Improvvisamente emergono difficoltà di attenzione, organizzazione, regolazione emotiva e gestione del carico mentale che prima sembravano sotto controllo o che, almeno, non avevano mai raggiunto un livello tale da richiedere una valutazione clinica.

È importante chiarirlo subito: l’ADHD non esordisce nel post-partum.

L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo, presente fin dall’infanzia. Tuttavia, ciò che accade spesso è che la maternità smaschera. Smonta meccanismi di compensazione costruiti in anni di adattamento, aspettative sociali e masking. Quello che prima funzionava, o sembrava funzionare, crolla sotto il peso di nuove richieste, responsabilità continue e privazione di sonno.

ADHD e maternità: quando la diagnosi arriva dopo il parto

Per comprendere perché tante donne scoprono di essere ADHD solo dopo la maternità, è necessario partire da un dato fondamentale: l’ADHD femminile è storicamente sotto-diagnosticato.

Per decenni, i criteri diagnostici dell’ADHD sono stati modellati su presentazioni tipicamente maschili: iperattività motoria evidente, comportamenti dirompenti, difficoltà scolastiche esplicite. Molte bambine e ragazze ADHD, invece, presentano forme prevalentemente inattentive o internalizzate: sono distraibili ma silenziose, disorganizzate ma perfezioniste, emotivamente intense ma socialmente adattate.

Molte imparano presto a:

  • compensare con un elevato impegno cognitivo
  • affidarsi a routine rigide
  • iper-controllare il comportamento
  • utilizzare ansia e iper-responsabilità come strumenti di funzionamento

Questo processo è noto come masking: un adattamento continuo alle aspettative esterne che consente di “funzionare”, ma a un costo interno elevatissimo.

Cos’è il masking e perché funziona (finché non funziona più)

Il masking nell’ADHD consiste nell’insieme di strategie consce e inconsce che permettono alla persona di compensare le difficoltà esecutive. Nelle donne, il masking è spesso rinforzato da pressioni culturali legate al ruolo di genere: essere organizzate, accudenti, multitasking, emotivamente disponibili.

Prima della maternità, molte donne ADHD riescono a reggere grazie a:

  • un controllo relativamente stabile del tempo
  • spazi personali di recupero
  • strutture esterne (lavoro, partner, famiglia)
  • livelli di sonno sufficienti

La maternità, però, cambia radicalmente l’equazione.

ADHD post-partum: perché la maternità smaschera

La maternità è uno degli eventi di vita più potenti, trasformativi e complessi che una persona possa attraversare. È un passaggio identitario profondo, che coinvolge il corpo, la mente, le relazioni, il tempo e l’idea stessa di sé.

Eppure, nella narrazione collettiva, la maternità viene spesso raccontata in modo parziale e idealizzato: come un’esperienza naturalmente appagante, istintiva, guidata dall’amore e dalla competenza innata.

La realtà clinica e psicologica è molto più articolata. La maternità è anche — e inevitabilmente — un evento altamente stressante. Comporta una perdita di controllo, una rottura delle routine, un carico di responsabilità continuo e una drastica riduzione delle risorse personali: sonno, tempo, spazio mentale. Per questo motivo, la maternità è riconosciuta come un evento trigger, capace di far emergere o rendere visibili condizioni psicologiche e neuropsicologiche che fino a quel momento erano rimaste compensate, silenti o non riconosciute.

Non è raro che, nel periodo post-partum, alcune donne si trovino a fronteggiare difficoltà nuove o improvvisamente amplificate: senso di sopraffazione costante, perdita di efficienza, instabilità emotiva, fatica cognitiva. Esperienze che possono generare smarrimento e una domanda dolorosa: “Perché ora non riesco più a funzionare come prima?”

La maternità, infatti, non aggiunge semplicemente un nuovo ruolo alla vita di una donna: riorganizza completamente l’equilibrio psichico ed emotivo preesistente. In questo processo, ciò che era fragile, nascosto o sostenuto da equilibri precari può emergere con forza.

1. Il carico cognitivo invisibile esplode

La genitorialità — e in particolare la maternità — comporta un carico mentale continuo: pianificazione, anticipazione dei bisogni, gestione delle emergenze, coordinamento logistico. Per un cervello ADHD, già vulnerabile sul piano delle funzioni esecutive, questo sovraccarico diventa rapidamente insostenibile.

Le difficoltà più frequentemente riportate includono:

  • dimenticanze costanti
  • incapacità di portare a termine compiti
  • paralisi decisionale
  • senso di caos mentale permanente

2. Privazione di sonno e disregolazione dopaminergica

Il sonno è uno dei principali regolatori della dopamina. Nel post-partum, la frammentazione del sonno è fisiologica, ma per le persone ADHD può avere effetti amplificati:

  • peggioramento dell’attenzione
  • aumento dell’impulsività
  • maggiore labilità emotiva
  • ridotta tolleranza allo stress

La deprivazione di sonno smonta ulteriormente le strategie compensative.

3. Cambiamenti ormonali e ADHD

Il periodo post-partum è caratterizzato da un drastico calo di estrogeni e progesterone. Gli estrogeni hanno un ruolo modulatore sui sistemi dopaminergici e noradrenergici, gli stessi coinvolti nell’ADHD.

Questo significa che:

  • i sintomi ADHD possono intensificarsi
  • le capacità di autoregolazione diminuiscono
  • aumentano ansia, irritabilità e disregolazione emotiva

In molte donne ADHD, la relazione tra ormoni e sintomi è già evidente durante il ciclo mestruale, la gravidanza o la perimenopausa. Il post-partum rappresenta uno dei momenti di maggiore vulnerabilità.

ADHD o depressione post-partum?

Un punto cruciale è la confusione diagnostica. Molte donne ADHD nel post-partum ricevono inizialmente una diagnosi di depressione o ansia post-partum.

Sebbene queste condizioni possano coesistere, è fondamentale distinguere:

  • la tristezza reattiva
  • l’apatia depressiva
  • dalla disorganizzazione esecutiva tipica dell’ADHD

Quando l’ADHD non viene riconosciuto, il rischio è duplice:

  1. trattamenti inefficaci
  2. aumento del senso di colpa e inadeguatezza

ADHD e maternità: “perché prima ce la facevo?”

Una delle domande più frequenti delle madri ADHD non diagnosticate è: “perché prima riuscivo a fare tutto e ora no?”

La risposta non è una perdita di valore personale, ma un cambiamento radicale del contesto. L’ADHD è fortemente dipendente dall’ambiente. Quando l’ambiente diventa imprevedibile, non strutturato e privo di pause — come accade con un neonato — le fragilità emergono.

Questo può generare:

  • vergogna
  • lutto per l’identità precedente
  • paura di non essere “abbastanza”

Quando l’ADHD dei figli porta alla diagnosi della madre

Oltre a quello descritto finora, un altro scenario estremamente comune è quello della diagnosi di ADHD nei figli in età scolare.

Durante il percorso valutativo del bambino, molte madri si riconoscono nelle descrizioni:

  • difficoltà di attenzione
  • disorganizzazione
  • emotività intensa
  • fatica nella gestione del tempo

Spesso emergono frasi come:

“Anch’io ero così da piccola” “Pensavo fosse normale”

L’ADHD è fortemente ereditabile. La diagnosi di ADHD del figlio diventa quindi uno specchio che permette alla madre di rileggere la propria storia con nuove lenti.

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Psichiatra ADHD Gincarlo Giupponi

Supervisione scientifica:
Questo articolo è stato revisionato dal Dott. Giancarlo Giupponi, psichiatra e psicoterapeuta, vicedirettore del Servizio Psichiatrico di Bolzano e presidente regionale della Società Italiana di Psichiatria. Oltre a garantire l’accuratezza clinica dei contenuti, il Dott. Giupponi supervisiona la selezione dei test e dei questionari disponibili sul sito, verificandone la conformità agli standard scientifici internazionali (DSM-5, OMS, strumenti clinicamente validati).
Scopo del contenuto: divulgativo, non diagnostico.

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