ADHD e Auto-gaslighting

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ADHD e Auto-gaslighting

Molti adulti ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) vivono un’esperienza psicologica che raramente viene discussa in modo esplicito: il fenomeno dell’auto-gaslighting.

“L’ho davvero fatto?”
“Mi sto immaginando tutto?”
“Sto perdendo la testa?”
“Non posso fidarmi nemmeno della mia memoria.”

Chi convive con l’ADHD riconoscerà queste frasi come parte di un dialogo interno molto comune. Episodi di memoria di lavoro instabile, difficoltà esecutive, disorganizzazione cronica, transizioni tra attività non registrate chiaramente nella mente, sensazioni di blackout attentivi – tutto questo può portare la persona a dubitare delle proprie percezioni, ricordi e persino della propria sanità mentale.

Questo processo non è banale: nel lungo periodo può diventare una forma di auto-gaslighting, cioè un auto-convincimento, lento e insidioso, che “il problema sono io”, “non posso fidarmi di ciò che percepisco”, “non so distinguere la realtà”, con conseguenze emotive importanti.

Nelle prossime righe capiremo meglio cos’è il gaslighting, come si manifesta nell’ADHD, quali sono le cause e le conseguenze di tale fenomeno e qualche esempio di vita quotidiana ad esso legato.

Cos’è il gaslighting e cosa significa auto-gaslighting

Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona spinge un’altra a mettere in discussione la propria percezione della realtà, i propri ricordi, le proprie emozioni.

Il termine proviene dal film Gaslight, in cui un marito manipola la moglie facendola dubitare della propria lucidità.

Nella sua forma più classica, il gaslighting avviene tra due persone: una manipola, l’altra interiorizza il messaggio di non potersi fidare di sé.

L’auto-gaslighting è qualcosa di diverso e, potenzialmente, ancora più insidioso.

È un processo totalmente interiore, in cui non serve un manipolatore esterno. È la stessa persona che, inconsapevolmente, comincia a invalidare ciò che pensa, ciò che sente e ciò che percepisce.

Il monologo interno assume la forma di un giudice severissimo: “Forse ho capito male”, “Sicuramente ricordo in modo distorto”, “Non posso fidarmi delle mie sensazioni”, “Sto esagerando”, “Forse sto immaginando tutto”.

Questo meccanismo è incredibilmente frequente negli adulti ADHD.

Non nasce dal nulla, ma si sviluppa nell’intersezione tra sintomi dell’ADHD, cognitivi e complessi, e una storia personale spesso segnata da incomprensioni, frasi svalutanti e aspettative che non tengono conto della neurodivergenza.

Perché l’ADHD predispone all’auto-gaslighting

Chi vive con l’ADHD manifesta difficoltà che, dall’esterno, vengono spesso interpretate come distrazione, irresponsabilità o mancanza di impegno.

Dimenticare un oggetto, iniziare un’attività e lasciarla a metà, saltare passaggi logici, eseguire azioni automatiche senza consapevolezza: tutto questo è tipico del profilo ADHD, ma raramente viene letto in modo adeguato.

Molti adulti crescono sentendosi dire che “non stanno attenti”, che “non si impegnano”, che “se volessero potrebbero farcela”. Il risultato è che interiorizzano l’idea che ogni difficoltà sia una colpa personale.

Quando un adulto con ADHD non ricorda di aver compiuto un gesto – spostare un oggetto, inviare un messaggio, chiudere la porta – e scopre di averlo fatto senza consapevolezza, interpreta la situazione come una “stranezza” della propria mente, non come un sintomo.

Da qui nasce un dubbio che può diventare devastante: se ho fatto qualcosa senza ricordarlo, cosa posso aspettarmi da me stesso? Posso fidarmi della mia memoria? Delle mie percezioni? Delle mie decisioni?

È in questo terreno che l’auto-gaslighting trova spazio.

La persona comincia a domandarsi continuamente se le proprie impressioni siano reali o frutto di confusione. Ogni volta che non ricorda un dettaglio, attribuisce la responsabilità alla propria “incapacità” e non al funzionamento neurobiologico dell’ADHD.

Questo meccanismo si amplifica quando la memoria di lavoro è particolarmente fragile. Diversamente dalla memoria a lungo termine, infatti, la memoria di lavoro riguarda la capacità di mantenere attive informazioni nel momento esatto in cui servono.

Nell’ADHD questa funzione è instabile: i passaggi intermedi di un’azione possono non essere registrati, oppure essere registrati in modo così superficiale da svanire dopo pochi secondi. È ciò che spiega perché molte persone con ADHD ricordano di aver pensato di fare una cosa, ma non ricordano se l’hanno fatta davvero; o il contrario: hanno effettivamente compiuto un gesto, ma non ne hanno alcuna memoria cosciente.

Nella vita quotidiana questo crea scenari che, nel tempo, diventano terreno fertile per il dubbio cronico.

Esempi di auto-gaslighting ADHD nella vita quotidiana

Un esempio tipico è quello degli oggetti spostati. Una persona ADHD può posare le chiavi in un punto della casa, passare nell’altra stanza e, in automatico, spostarle mentre è immersa in un pensiero completamente diverso. Quando le cerca, non le trova dove ricorda di averle riposte e attribuisce subito la responsabilità a qualcun altro. Quando poi scopre di essere stata lei a spostarle, prova confusione, imbarazzo e un senso di distacco da sé stessa. “Com’è possibile che non me lo ricordi?”.

Situazioni simili si verificano quando si crede di aver inviato un messaggio che invece è rimasto nel cassetto delle bozze. Oppure quando la persona ritrova un oggetto in mano senza ricordare perché lo avesse preso. O ancora quando un’attività viene completata in uno stato di semi-automatismo attentivo, tipico dell’iperfocus o dei passaggi dissociativi dell’ADHD, e poi non se ne ha memoria.

Questi episodi non sono rari: sono la quotidianità di molti adulti ADHD. Tuttavia, quando non sono compresi, generano risposte emotive intense. Non è raro che la persona sperimenti un senso di “vuoto mentale”, come se fossero presenti micro-buchi nella propria esperienza, che a loro volta alimentano la paura di star sviluppando un disturbo più grave.

Cause dell’Auto-Gaslighting nell’adulto ADHD

Le radici dell’auto-gaslighting nelle persone ADHD adulte derivano da un insieme di fattori neuropsicologici, emotivi e ambientali che, nel tempo, si intrecciano fino a creare un clima interno di sfiducia verso le proprie percezioni.

  1. Memoria di lavoro instabile: la memoria di lavoro nell’ADHD è caratterizzata da una ridotta capacità di mantenere attivi i passaggi intermedi di un’azione. Ciò porta a “buchi” nella sequenza delle attività: la persona può aver compiuto un gesto senza registrarlo, oppure ricordare solo l’intenzione e non l’azione. Questo genera dubbi ricorrenti.
  2. Monitoraggio esecutivo discontinuo: le funzioni esecutive deputate al monitoraggio delle proprie azioni (es. controllare ciò che si sta facendo, verificare gli step, mantenere coerenza) risultano intermittenti. L’adulto ADHD può facilmente perdere la consapevolezza del flusso di ciò che sta compiendo.
  3. Automatismi attentivi e iperfocus: durante stati di iperfocus o durante micro-distrazioni, alcune azioni vengono eseguite in modalità automatica. La persona può ritrovarsi con un oggetto in mano, o con un’attività già avviata o conclusa, senza avere memoria deliberata del processo.
  4. Storia di invalidazione e critiche: molti adulti ADHD sono cresciuti in ambienti che leggevano i loro comportamenti come “disattenzione”, “pigrizia” o “mancanza di volontà”. Questa lettura moralistica porta a interiorizzare la convinzione di essere intrinsecamente inaffidabili o “sbagliati”.

Nella nostra pratica clinica ci è capitato tante volte di sentire persone ADHD che descrivono un senso quasi corporeo di smarrimento quando scoprono di aver fatto qualcosa senza ricordarlo.

L’idea di non poter prevedere le proprie azioni o non poter contare sulla propria memoria genera un’ansia profonda. Alcuni arrivano a convincersi di star perdendo contatto con la realtà, pur essendo persone completamente lucide, con ottime capacità cognitive e nessun segno di un disturbo psicotico.

La paura nasce dalla discrepanza tra ciò che credono di aver fatto e ciò che scoprono essere accaduto. Questa sensazione, ripetuta nel tempo, crea una dissonanza interna: la persona vive in un continuo “doppio registro” tra intenzioni e azioni.

Conseguenze dell’Auto-Gaslighting nell’adulto ADHD

L’auto-gaslighting, come anticipato, è una risposta psicologica a un sistema cognitivo instabile e a una storia personale spesso invalidante.

Le conseguenze possono essere profonde, e riguardano principalmente:

  1. Riduzione della fiducia nelle proprie percezioni: la persona inizia a dubitare costantemente della propria memoria e delle proprie sensazioni. Ogni episodio di disattenzione diventa conferma dell’idea di non essere affidabile o di poter “perdere il controllo”.
  2. Paura di “impazzire” o di avere problemi più gravi: l’instabilità della memoria di lavoro può essere interpretata come segno di un disturbo mentale grave o di un problema organico mnestico cerebrale. Questo genera ansia, allarmismo e sensazioni di vulnerabilità, pur in assenza di qualunque rischio reale di psicosi.
  3. Ipercontrollo e comportamento simil-DOC: molti adulti sviluppano controlli ripetuti, fotografie dell’ambiente, riletture continue di messaggi o ricontrolli delle azioni (es. gas, chiavi, porte). Non si tratta di ossessioni primarie, ma di tentativi di compensare la scarsa fiducia nelle funzioni esecutive.
  4. Perfezionismo rigido e sovraccarico mentale: per evitare errori percepiti come “prove di inaffidabilità”, la persona sviluppa una rigidità eccessiva, tenta di controllare tutto nei minimi dettagli e spinge la propria energia oltre i limiti sostenibili. Questo aumenta il rischio di burnout.
  5. Svalutazione del sé e auto-colpevolizzazione: ogni episodio di distrazione viene vissuto come conferma di un limite personale (“sono incapace”, “non valgo”, “rovino tutto”). Con il tempo questo erode l’autostima e la percezione di autoefficacia.
  6. Fatica emotiva e burnout ADHD: il continuo auto-monitoraggio, la tensione verso la perfezione e il timore di sbagliare logorano le risorse cognitive. Con il tempo si sviluppa un senso di esaurimento mentale, perdita di motivazione e difficoltà a iniziare o portare avanti le attività.

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Psichiatra ADHD Gincarlo Giupponi

Supervisione scientifica:
Questo articolo è stato revisionato dal Dott. Giancarlo Giupponi, psichiatra e psicoterapeuta, vicedirettore del Servizio Psichiatrico di Bolzano e presidente regionale della Società Italiana di Psichiatria. Oltre a garantire l’accuratezza clinica dei contenuti, il Dott. Giupponi supervisiona la selezione dei test e dei questionari disponibili sul sito, verificandone la conformità agli standard scientifici internazionali (DSM-5, OMS, strumenti clinicamente validati).
Scopo del contenuto: divulgativo, non diagnostico.

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