Perché alcuni genitori non accettano l’autismo dei figli?
La comunicazione della diagnosi di autismo nei figli rappresenta uno snodo importante nella vita delle famiglie: da un lato può essere vissuta come un sollievo, finalmente una spiegazione; dall’altro lato come una doccia fredda, un’interruzione delle aspettative che si avevano sul figlio e sulla famiglia.
Non è facile: richiede energie, tempo, ripensamenti. In questo articolo esaminiamo due versanti del percorso genitoriale — la negazione (o mancata accettazione) della diagnosi e la accettazione — e cerchiamo di capire perché la negazione può avvenire, quali fattori lo favoriscono, e come si può accompagnare il passaggio verso l’accettazione.
Presenteremo anche alcuni studi scientifici che indagano questi temi.

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Genitori di figli autistici: tra negazione e accettazione
Quando a un bambino viene diagnosticato l’autismo, molti genitori descrivono la scena come uno spartiacque.
Si può sentirsi: “Finalmente capisco”, oppure “Ma come, proprio a noi?”, oppure ancora “Ma è un errore”.
Le reazioni immediate variano enormemente: speranza, sollievo, paura, incredulità, rabbia, senso di perdita.
- In alcuni casi la diagnosi rappresenta una liberazione: dopo mesi (o anni) di ricerca di spiegazioni, il “perché” prende forma. Ciò può consentire di orientarsi verso interventi, supporti, reti di sostegno.
- In altri casi la diagnosi viene percepita come una rovinata attesa: il figlio che ci si immaginava, il futuro che si era costruito mentalmente, l’identità famigliare — tutto sembra doversi ridefinire.
Questo momento iniziale è fondamentale: getta le basi per ciò che seguirà nel rapporto del genitore con sé stesso, con il figlio e con la comunità dei professionisti/supporti.

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Il polo della negazione o la mancata accettazione dell’autismo
La negazione della diagnosi, o meglio la mancata accettazione (che non è necessariamente rigida negazione “non è vero”, ma può essere un rifiuto ad integrare il significato della diagnosi), può manifestarsi in vari modi:
- minimizzazione dei segnali (“Ma è solo un ritardo temporaneo”),
- delega completa ai professionisti sperando che tutto torni “normale”,
- ricerca ossessiva di un’altra diagnosi che escluda lo spettro autistico,
- rifiuto emotivo (“Non voglio che mio figlio sia etichettato così”),
- senso di colpa o vergogna che spinge a non voler ammettere la diagnosi.
Le conseguenze della mancata accettazione possono essere significative: ad esempio, il sostegno e gli interventi precoci possono tardare o non essere sfruttati pienamente; la tensione familiare può salire; l’ansia e lo stress dei genitori possono aumentare.
Uno articolo dal titolo Parental Attunement, Insightfulness, and Acceptance of Child Diagnosis in Parents of Children With Autism: Clinical Implications ha evidenziato che genitori che non hanno “risolto” la diagnosi (cioè non hanno accettato pienamente) presentano maggiore stress, più difficoltà nella relazione con il figlio, una minore sensazione di efficacia genitoriale.
Perché avviene la negazione dell’autismo dei figli nei genitori? I motivi dietro il “non accettare”
Le motivazioni possono essere diverse:
a) Perdita delle aspettative
- Molti genitori avevano un’idea precisa del figlio: come sarebbe stato, cosa avrebbe fatto, il suo percorso di vita.
- La diagnosi interrompe questo scenario, aprendo un vero e proprio processo di lutto.
- Non si elabora solo la diagnosi, ma anche la perdita dell’immagine del futuro che si aveva.
- Questo lutto spesso non è riconosciuto né elaborato pienamente.
b) Paura dello stigma e dello sguardo dell’altro
- Il timore che il figlio venga etichettato o emarginato può portare i genitori a rifiutare la diagnosi.
- In alcuni contesti socio-culturali la disabilità è ancora fortemente stigmatizzata.
- Dichiarare il “problema” può far paura per il giudizio sociale o familiare.
c) Incertezza e mancanza di conoscenza
- L’autismo presenta una grande variabilità di sintomi e prognosi.
- L’assenza di conoscenza o comprensione può generare insicurezza e riluttanza ad accettare.
- La diagnosi può sembrare “astratta” o poco chiara senza un’adeguata informazione.
d) Colpa, auto-colpa e senso di responsabilità
- Alcuni genitori, in particolare le madri, provano un forte senso di colpa personale (“Forse è colpa mia”, “Avrei dovuto accorgermene prima”).
- Questo sentimento può ostacolare l’accettazione, perché ammettere la diagnosi significa anche confrontarsi con la propria colpa percepita.
e) Severità e visibilità dei sintomi
- Quando i sintomi sono più gravi o visibili, i genitori possono essere costretti ad affrontare prima la realtà.
- Se i segnali sono più lievi o atipici, la diagnosi può essere più facilmente messa in discussione o rifiutata.
f) Supporto sociale e professionale
- La presenza di professionisti chiari e accoglienti facilita la comprensione e l’accettazione.
- Gruppi di pari e consulenze psicologiche offrono spazio di condivisione e sostegno.
- L’assenza di una rete di supporto può rendere il percorso più solitario e difficile.
g) Aspetti culturali, religiosi e familiari
- Le credenze culturali o religiose influenzano la percezione della diagnosi.
- Alcuni contesti interpretano l’autismo come “punizione”, “dono” o fenomeno spirituale.
- In altri casi, la famiglia cerca cause esterne o alternative per negare la realtà medica.
Scenari di negazione/mancata accettazione: come riconoscere un genitore che non ha accettato l’autismo del figlio
- Genitore che continua a cercare “la cura che farà scomparire l’autismo”, ignorando il fatto che l’intervento potrà ridurre difficoltà ma non “eliminare” la condizione.
- Famiglia che evita di parlare della diagnosi con altri, che non coinvolge la scuola o i terapisti in maniera aperta, che teme il giudizio della comunità.
- Genitore che vive la diagnosi come colpa personale (“Se solo avessi fatto così…”), e quindi rifiuta di guardare avanti.
- Ritardo nell’attivare interventi o supporti perché “forse non è autismo”, con conseguente sensazione di impotenza o frustrazione successiva.

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Il percorso verso l’accettazione: che cosa comporta
L’accettazione non significa che tutto diventi facile, né che non ci siano più fatiche. Significa piuttosto che il genitore ha integrato la diagnosi come informazione reale, ha ripensato le aspettative, ha orientato le proprie energie verso la relazione col figlio nel “qui e ora”, e verso i possibili interventi/supporti.
Elementi chiave nell’accettazione sono:
- Riconoscimento della diagnosi: accettare che “sì, mio figlio ha una forma di autismo”, con tutti gli interrogativi che ne derivano.
- Ripensamento delle aspettative: modificare i propri obiettivi, magari mantenerne alcuni ma rivederli in ottica diversa, riconoscendo le potenzialità del bambino.
- Orientamento all’azione: già che la diagnosi c’è, attivare reti di sostegno, interventi, collaborazioni con scuole, terapisti, associazioni.
- Adattamento emotivo: elaborazione del lutto delle aspettative, riconoscimento delle emozioni (rabbia, paura, perdita), e maturazione verso la speranza e la progettualità.
Lo studio Parental Attunement, Insightfulness, and Acceptance of Child Diagnosis in Parents of Children With Autism: Clinical Implications, citato anche sopra, ha rilevato che l’accettazione parentale si associa a un miglior funzionamento della relazione genitore-figlio e a minori sintomi di distress nel genitore.

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Scenari di accettazione: riconoscere un genitore che ha accettato l’autismo del figlio e ne è consapevole
- Genitore che, dopo un momento di disorientamento, chiede informazioni, partecipa a gruppi genitori, costruisce un piano concreto con la scuola e i terapisti.
- Famiglia che ridefinisce le aspettative: magari non punta al “normale” indistinguibile, ma a una qualità di vita significativa per il figlio e la famiglia.
- Genitore che riconosce la diagnosi come una parte della vita del figlio (non l’unica), e valorizza i suoi interessi, capacità, il suo ritmo.
- Collaborazione serena con il terapista e la scuola, comunicazione aperta, progetto condiviso, miglior rapporto genitore-figlio.
La diagnosi di disturbo dello spettro autistico per un figlio è un momento che può scuotere, far vacillare certezze, cambiare il progetto di vita familiare.
Ma è anche l’inizio di un percorso, non facile, ma possibile, verso una nuova comprensione, una nuova relazione con il figlio e la comunità.
La comunità professionale, la scuola e la società hanno un ruolo importante: non basta dare la diagnosi, è necessario fornire il contesto per trasformarla in un’opportunità di crescita

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