Sluggish cognitive tempo e ADHD: sovrapposizioni e differenze

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Sluggish cognitive tempo e ADHD sovrapposizioni e differenze

Con sluggish cognitive tempo (SCT)—oggi chiamato anche cognitive disengagement syndrome—si indica un pattern ricorrente di funzionamento cognitivo caratterizzato da nebbia mentale, rallentamento, sogni ad occhi aperti e difficoltà ad avviare o portare avanti compiti cognitivi e sociali al ritmo richiesto.

Nonostante non compaia nel DSM, viene riportato con frequenza nell’ADHD, in particolare nelle presentazioni prevalentemente disattente, ed è un insieme di caratteristiche che diversi ricercatori stanno studiando per comprenderne identità clinica, confini e implicazioni pratiche.

Questa guida nasce con un obiettivo semplice: spiegare in modo accessibile che cos’è lo SCT/cognitive disengagement syndrome, come può coesistere con l’ADHD, quali sono i segnali tipici e se sia o ADHD e SCT siano la stessa cosa.

Che cos’è lo Sluggish Cognitive Tempo (SCT) / Cognitive Disengagement Syndrome

Parliamo di SCT quando la persona riferisce (o mostra) un disimpegno cognitivo: la mente tende a staccarsi, a vagare, a rallentare, soprattutto in compiti che richiedono attivazione mentale costante, inizio rapido o risposte pronte.

In termini quotidiani, chi sperimenta SCT descrive la sensazione di avere il cervello “offline”, come se ci fosse nebbia tra pensieri e azioni; un tempo interno che sembra più lento del contesto; la difficoltà a tradurre subito i pensieri in parole o risposte.

Sebbene il SCT non sia una diagnosi formale nei manuali classificatori, compare con una certa frequenza nell’ADHD, specialmente nella forma disattenta.

È importante sottolineare che, secondo l’attuale ricerca sul campo, SCT non è necessariamente sinonimo di ADHD: si tratta di costellazioni di caratteristiche con zone di sovrapposizione e zone di divergenza.

In alcuni casi, lo SCT può presentarsi da solo, senza criteri per l’ADHD, oppure comparire in altre condizioni (ad esempio, in quadri dello spettro autistico), contribuendo a complicare il ragionamento clinico su diagnosi e interventi.

Frequenza nell’ADHD: pattern ricorrente, non voce di manuale

Molte persone ADHD, specie con diagnosi di sottotipo ADHD disattento, si riconoscono nello SCT.

È frequente ascoltare racconti di lentezza nell’ingranare, fatica a mettersi in moto, sensazione di essere “fuori sincrono” con i tempi della classe, del lavoro o delle conversazioni.

Pur non essendo un criterio DSM, lo SCT è osservato frequentemente nella clinica dell’ADHD, tanto da spingere più gruppi di ricerca a indagare se si tratti di un profilo distinto o di una dimensione che attraversa l’ADHD e altre condizioni.

Il punto pratico è semplice: anche senza “nome ufficiale” nel manuale, lo SCT esiste come pattern di difficoltà che molte persone sperimentano nella vita reale.

Nominarlo aiuta a capirsi e a spiegare ad altri cosa succede “dentro” quando dall’esterno si vede “solo” distrazione o lentezza.

SCT, ADHD e Distrazione “da dentro”: non sempre il problema è lo stimolo esterno

Quando si pensa alla distrazione, spesso si immagina un ambiente pieno di stimoli che “rubano” l’attenzione: rumori, notifiche, movimenti.

Nel SCT, però, una parte fondamentale della distrazione proviene dall’interno:

  • mind wandering (“la mente vaga”),
  • sogni ad occhi aperti,
  • pensieri che scorrono lenti o si sfilacciano,
  • difficoltà a mantenere la “presa” sul compito perché la traccia interna si assottiglia o si spegne.

Non è pigriziadisinteresse: è disimpegno cognitivo.

La persona può voler essere presente, ma fatica a restare agganciata al compito o alla conversazione perché il focus interno non rimane stabile o perché il sistema di avvio (startup attentivo) è lento ad attivarsi.

Caratteristiche e sintomi classici dello SCT

Le caratteristiche che più spesso vengono associate allo sluggish cognitive tempo/cognitive disengagement syndrome sono:

1) Nebbia mentale (“brain fog”)

  • Sensazione di ovatta tra pensiero e azione.
  • Difficoltà a mettere a fuoco: il compito è davanti, ma l’aggancio vacilla.
  • La mente appare lenta nel consolidare informazioni, come se ci volesse più tempo per “scaldarsi”.

2) Mind wandering e sogni ad occhi aperti

  • Vagabondaggio mentale non intenzionale: si parte dal compito A, ci si ritrova al pensiero Z.
  • Sogni ad occhi aperti: immagini o scenari che si fanno spazio e scollano dal compito reale.
  • Non è necessariamente piacevole: può essere frustrante perché interferisce con ciò che si vuole fare.

3) Lentezza ad iniziare attività o a rispondere

  • Avvio lento (inerzia): la partenza richiede più tempo e più “spinta”.
  • Nelle conversazioni, risposte ritardate: il pensiero c’è, ma arriva tardi in parola o azione.
  • Ciò può essere scambiato per disinteresse o scarsa preparazione, quando invece c’è fatica di attivazione.

4) Letargia e bassa energia mentale

  • Energia cognitiva percepita come limitata.
  • Affaticamento rapido in compiti che richiedono presenza continuativa.
  • Sensazione di scarica, come se la batteria scendesse dal 100% al 30% “all’improvviso”.

5) Sovraccarico in ambienti rumorosi, affollati o frenetici

  • Contesti ricchi di stimoli (classi affollate, open space, feste) overloadano velocemente.
  • Questo non sempre perché “le cose esterne distraggono”, ma perché diventa difficile mantenere l’ancoraggio interno al compito o alla conversazione mentre il contesto accelera.

6) “Freezing” sotto pressione

  • Se la richiesta è immediata (“rispondi adesso”), può comparire un blocco: il pensiero si ferma e la parola non esce.
  • Visto dall’esterno, sembra silenzio o vuoto; dentro, spesso c’è troppo (sovraccarico) o troppo poco (sistema “in folle”).

7) Difficoltà a tradurre pensieri in parole

  • Il pensiero c’è, ma “metterlo in frase” richiede tempi lunghi.
  • Si cercano parole che sfuggono; la fluency verbale rallenta.
  • Nelle interrogazioni o nei meeting, questo può essere frainteso come “non sa” o “non ha studiato”.

8) Cervello “offline”

  • Momenti in cui il monitor interno sembra spento.
  • Non è sonno, ma stato ipocinetico della mente: basso livello di attivazione.
  • Uscire da questo stato richiede strategie o tempi che non sempre il contesto concede.

9) Ritmo percepito diverso dal resto del mondo

  • Sensazione di procedere con metronomo proprio: quando gli altri stanno a 120 bpm, lo SCT è a 60–80 bpm.
  • Questo mismatch può generare ansia, frustrazione o ritiro, soprattutto se il contesto giudica velocità e prontezza.

NB. Non si tratta di una lista di criteri diagnostici, ma di descrizioni funzionali che molte persone riconoscono.

ADHD e SCT: sovrapposizioni e differenze

Tra ADHD e SCT ci sono numerose aree di sovrapposizione.

  • Disattenzione percepita dagli altri (non segue, perde il filo, risponde tardi).
  • Difficoltà di autoregolazione nel tempo: alternanza di fasi “on/off”.
  • Impatto su scuola/lavoro: compiti non finiti, ritardi, prestazioni altalenanti.

Una grande fetta della letteratura sull’argomento, però, sottolinea come ADHD e SCT siano due condizioni diverse.

Queste pare possano co-esistere, specie nelle presentazioni disattente dell’ADHD, ma pare anche possano dissociarsi.

Non solo: pare lo SCT possa comparire anche in altre condizioni, come l’autismo, o comparire da solo.

Questa eterogeneità spiega perché diagnosi e trattamento possano essere complessi: la somiglianza con l’ADHD “disattento” può portare a una diagnosi di ADHD quando in realtà il profilo è SCT; viceversa, può accadere che si pensi a SCT mentre il quadro è meglio spiegato da ADHD (eventualità ritenuta meno frequente, ma possibile).

Il tema pratico non è “che nome dare”, bensì “quali difficoltà specifiche ci sono e cosa serve per aiutare”.

Perché complica la diagnosi e, soprattutto, guida il trattamento.

Se SCT e ADHD fossero la stessa cosa, non servirebbe parlare di SCT; ma le esperienze riferite suggeriscono profili diversi e la possibilità che interventi utili per ADHD non siano automaticamente efficaci per SCT.

Cosa dice la ricerca sulla sovrapposizione tra ADHD e SCT

Come già accennato, lo Sluggish Cognitive Tempo (SCT) – oggi spesso chiamato Cognitive Disengagement Syndromenon è incluso nel DSM.

Se ne parla ancora relativamente poco perché la ricerca è agli inizi e c’è un ampio dibattito tra i ricercatori: c’è chi lo considera un sottotipo dell’ADHD in generale, chi un sottotipo dell’ADHD prevalentemente disattento, e chi invece sostiene che si tratti di una condizione distinta.

Una parte consistente della letteratura propende proprio per la distinzione tra SCT e ADHD.

Per esempio, nell’articolo scientifico Report of a Work Group on Sluggish Cognitive Tempo: Key Research Directions and a Consensus Change in Terminology to Cognitive Disengagement Syndrome, i ricercatori hanno trovato che i sintomi di SCT sono associati in modo indipendente a debolezze su vari domini neuropsicologici (tra cui velocità di elaborazione più lenta, memoria di lavoro più scarsa, minore inibizione, vigilanza ridotta e tempi di reazione aumentati) e che tali associazioni restavano significative anche controllando per i sintomi dell’ADHD (disattenzione, ansia, depressione). Questo risultato supporta la validità dello SCT come profilo sintomatologico distinto dai sintomi di disattenzione dell’ADHD.

In ambito adulto, l’articolo scientifico Distinguishing sluggish cognitive tempo from attention-deficit/hyperactivity disorder in adults riporta che lo SCT forma una dimensione separata rispetto ai sintomi ADHD, con pattern di compromissione (funzioni esecutive e funzionamento psicosociale) che non si sovrappongono completamente all’ADHD. Nel campione rappresentativo, utilizzando una soglia sintomatologica (≥5 su 9 + compromissione), stimò una prevalenza intorno al 5,1%, con comorbilità ADHD-SCT presente in circa metà dei casi. In più, i profili di difficoltà pratiche risultavano diversi per alcuni domini (p.es. lavoro/istruzione e guida), suggerendo che SCT potrebbe costituire un disturbo distinto, pur presentandosi spesso insieme all’ADHD.

Allo stato attuale, quindi, non esiste un consenso definitivo.

È prudente trattare lo SCT come concetto clinico-descrittivo utile per la formulazione del caso, tenendo presente che diagnosi e soprattutto trattamento non sono automaticamente sovrapponibili a quelli dell’ADHD; anzi, spesso differiscono.

Per questo, la distinzione funzionale (cosa accade davvero nella vita della persona) è oggi più utile del “nome” formale, in attesa che la ricerca chiarisca posizione nosografica e best practices di intervento.

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Psichiatra-ADHD-Gincarlo-Giupponi

Supervisione scientifica:
Questo articolo è stato revisionato dal Dott. Giancarlo Giupponi, psichiatra e psicoterapeuta, vicedirettore del Servizio Psichiatrico di Bolzano e presidente regionale della Società Italiana di Psichiatria. Oltre a garantire l’accuratezza clinica dei contenuti, il Dott. Giupponi supervisiona la selezione dei test e dei questionari disponibili sul sito, verificandone la conformità agli standard scientifici internazionali (DSM-5, OMS, strumenti clinicamente validati).
Scopo del contenuto: divulgativo, non diagnostico.

ADHD a 360 gradi, ADHD: consigli e curiosità, Psicologia generale, Vivere l'ADHD

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