Se sei capitato su questo articolo, probabilmente è perché ti sei chiesto – o hai chiesto a Google – “Perché non ricordo quel periodo della mia vita?” oppure “Perché non riesco a mettere insieme i pezzi di un evento che so di aver vissuto?”
È una domanda che può emergere all’improvviso, magari dopo una conversazione, un odore, una fotografia, un dettaglio che risveglia un dubbio: com’è possibile che io non riesca a ricordare?
A volte il vuoto è più evidente, quasi tangibile: può succedere che tu sappia di aver vissuto un trauma, di aver attraversato un evento doloroso, eppure, nel momento in cui cerchi di richiamarlo alla mente, non ricordi i dettagli. Sai di esserci stato, ma l’immagine mentale è sfocata, disturbata, incompleta. L’ordine dei fatti ti sfugge, alcune parti sembrano svanite nel nulla, altre forse le hai riempite con supposizioni, intuizioni, immagini che non sai più se sono reali o create per dare un senso a ciò che non ricordi più.
In altri casi, però, tutto può essere molto più sottile: magari non c’è un singolo evento traumatico ben definito o una scena in particolare, c’è solo una strana sensazione, un piccolo vuoto che si allarga ogni volta che ci pensi.
Ti accorgi che ci sono anni interi della tua vita che sembrano sfumati, dissolti. Parlando con amici, potresti scoprire di non ricordare nulla – o quasi – del periodo delle medie, o delle superiori o dei primi anni di università.
Forse solo frammenti vaghi, scene sparse, ma niente che ti restituisca davvero la continuità di quel pezzo di vita.
Forse ricordi solo essere stati anni duri, carichi di insicurezza, di senso di inadeguatezza, di solitudine o di tensioni familiari. E ora, a distanza di tempo, la tua mente sembra averli lasciati indietro.
Non preoccuparti. È una condizione più diffusa di quanto immagini.
Il nostro cervello è una macchina incredibilmente sofisticata, e uno dei suoi compiti principali non è ricordare tutto, ma proteggerci.
Quando la sofferenza, il dolore o la paura diventano troppo intensi, entra in gioco qualcosa che potremmo definire un sistema di difesa, una sorta di “salvataggio d’emergenza” della psiche e spesso quel meccanismo passa attraverso la memoria: cancellare, sfocare, confondere, chiudere a chiave.
Nelle prossime righe cercheremo di esplorare meglio questo fenomeno.
Perché il Trauma e la Sofferenza portano a Non Ricordarsi degli Eventi?
Come abbiamo detto nel paragrafo introduttivo, ci sono eventi o interi periodi della nostra vita che sono stati talmente traumatici da richiedere l’attivazione di meccanismi di difesa.
Questi meccanismi non sono altro che strategie messe in atto dal nostro cervello per garantire la sopravvivenza psichica, per proteggerci da un sovraccarico emotivo che in quel momento non saremmo stati in grado di gestire.
Sono risposte automatiche, inconsapevoli ma necessarie che si attivano in presenza di esperienze percepite come minacciose per l’integrità del Sé. (se vuoi approfondire il tema, leggi il nostro articolo “Meccanismi di Difesa: Cosa Sono?“)
Possono essere attivati di fronte a un pericolo fisico concreto, ma anche in risposta a una minaccia emotiva, relazionale o simbolica, come l’abbandono, l’umiliazione, l’abuso, la paura costante o l’assenza di accudimento.
Uno di questi meccanismi è la rimozione.
La rimozione è un processo mediante il quale contenuti psichici legati a un’esperienza dolorosa vengono allontanati dalla coscienza.
Non si tratta di una dimenticanza casuale, ma di un’operazione attiva e automatica del sistema mentale che tende a spostare fuori dal campo consapevole ricordi, emozioni, immagini, sensazioni che potrebbero risultare troppo disturbanti o destabilizzanti.
Questo può accadere sia per eventi circoscritti, come un singolo trauma acuto, sia per esposizioni prolungate a situazioni difficili e invalidanti.
Il risultato è che la persona può non ricordare affatto l’evento, oppure averne solo una percezione vaga, frammentaria, confusa, senza un ordine temporale preciso o senza un collegamento emotivo chiaro.
In alcuni casi, si ricordano solo dei dettagli periferici, oppure delle sensazioni corporee o degli stati d’animo, ma non il contesto in cui questi si sono verificati.
Un’altra modalità di difesa legata alla memoria è l’offuscamento, ovvero un indebolimento selettivo del ricordo.
Non si tratta di una cancellazione completa ma di una perdita parziale, dove certe parti rimangono accessibili mentre altre sembrano svanire o diventare inaccessibili.
Anche in questo caso, non è una scelta consapevole ma una forma di regolazione interna.
Il cervello seleziona ciò che può essere mantenuto alla coscienza e ciò che, per tutelare l’equilibrio interno, è meglio accantonare.
Si possono così verificare blackout temporali, vuoti che non corrispondono a un’amnesia totale ma a un’interruzione del flusso narrativo del ricordo.
Questo accade molto frequentemente nei casi di traumi relazionali precoci, nei contesti di abuso psicologico o fisico, nei contesti familiari disfunzionali o laddove vi sia stata una mancanza cronica di riconoscimento e sicurezza.
L’apice dei meccanismi di difesa legati alla memoria è rappresentato dalla dissociazione.
La dissociazione è un processo complesso in cui l’individuo, esposto a un evento traumatico, si disconnette parzialmente o completamente dalla realtà, da sé stesso o da ciò che sta vivendo.
Può manifestarsi in vari modi, più o meno evidenti, e spesso è presente in persone che hanno subito traumi significativi, soprattutto in età evolutiva.
Dal punto di vista della memoria, la dissociazione può comportare la separazione tra vissuto ed emozione, tra evento ed esperienza cosciente.
Una persona può raccontare un fatto traumatico senza sentire alcuna emozione, oppure può avere delle reazioni emotive intense senza riuscire a collegarle a un ricordo preciso.
In casi più estremi, la dissociazione produce vere e proprie amnesie dissociative, ovvero l’incapacità di ricordare interi episodi di vita o lassi di tempo, anche se questi non sono apparentemente traumatici secondo i criteri logici comuni.
Questi meccanismi, per quanto disturbanti dal punto di vista della narrazione autobiografica, sono adattivi nel breve termine.
Servono a proteggere, a mantenere una continuità funzionale, a evitare il crollo.
Tuttavia, nel lungo periodo possono avere un impatto sulla costruzione dell’identità, sulla capacità di dare senso alla propria storia, di riconoscere ciò che si è vissuto e integrarlo nella propria esperienza.
Il senso di estraneità rispetto a se stessi, la sensazione di vuoto, la difficoltà a fidarsi della propria memoria e delle proprie emozioni possono essere segnali indiretti della presenza di questi meccanismi difensivi attivi o pregressi.
I meccanismi di difesa non sono nostri nemici.
Sono strategie della mente, automatismi profondi che si attivano per proteggerci, per permetterci di sopravvivere quando le circostanze interne o esterne diventano troppo intense da sostenere.
Si attivano per difenderci dal dolore, dalla paura, dalla vergogna, dall’umiliazione, dall’impotenza.
Ma non nascono per combattere contro di noi, non devono difendersi da chi siamo oggi, dalla nostra volontà di capire, di ricordare, di guarire.
E noi, a nostra volta, non dobbiamo percepirli come un ostacolo da abbattere a ogni costo, perché in molti casi, questi meccanismi hanno avuto una funzione salvifica.
È però importante riconoscere che, sebbene siano stati necessari, i meccanismi di difesa possono diventare rigidi, disfunzionali o semplicemente superati.
Possono continuare a operare anche quando non servono più, interferendo con la nostra capacità di sentire, di ricordare, di costruire legami autentici o di dare coerenza alla nostra storia personale.
Non sempre vanno forzati, non sempre è utile “rompere le scatole” al nostro sistema difensivo, ma in alcuni momenti della vita, soprattutto quando iniziamo a percepire che quel meccanismo ci limita invece che proteggerci, può diventare necessario iniziare un lavoro di consapevolezza, di accesso, di elaborazione.
Quando ci sentiamo pronti, o quando il sintomo ci segnala che è tempo di agire, possiamo iniziare a smantellare con cura queste strutture interne.
E i professionisti più indicati per questo tipo di lavoro sono indubbiamente gli psicoterapeuti, in particolare quelli che operano con approcci psicoanalitici o psicodinamici, modelli che si occupano in profondità dei processi inconsci, dei meccanismi di difesa, del rapporto tra memoria, trauma e identità.
Se ti riconosci in questi vissuti, se senti che ci sono pezzi di te che non riesci a ricostruire, se avverti che qualcosa nella tua storia merita ascolto e integrazione, sappi che è possibile farlo in uno spazio sicuro e professionale.
GAM Medical, clinica specializzata nella presa in carico del trauma e nella cura integrata della persona, offre percorsi psicoterapeutici mirati, condotti da specialisti esperti nel trattamento dei traumi, dei vuoti di memoria e delle dinamiche difensive.
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