Abbuffata vs Mangiare Troppo: Quali Differenze?

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Abbuffata vs Mangiare Troppo: Quali Differenze?

Molte persone si chiedono quale sia la reale linea di confine tra l’abbuffarsi e il mangiare troppo.

La domanda è piuttosto lecita, perchè nel linguaggio comune questi termini vengono spesso usati in modo intercambiabile, o comunque con leggerezza.

Capita frequentemente, ad esempio, che dopo un pasto particolarmente ricco o una festa si dica: “mi sono abbuffato!”, a sottolineare una sensazione di pienezza eccessiva o di appagamento saturo.

In questi contesti, il termine “abbuffarsi” viene usato per descrivere un episodio di alimentazione più abbondante del solito, ma senza attribuirgli alcun significato clinico o patologico.

Tuttavia, quando collochiamo questi termini dall’ambito del linguaggio quotidiano a quello della psicopatologia, in particolare nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare, la parola abbuffata assume un significato molto diverso, profondamente connotato dal punto di vista emotivo, comportamentale e diagnostico.

In questo quadro, abbuffarsi non è semplicemente sinonimo di mangiare troppo: è un’esperienza radicalmente diversa, sia per le modalità in cui si manifesta, sia per il carico di sofferenza psichica che la accompagna.

Nelle prossime righe, esploreremo in modo più accurato il perché abbuffarsi e mangiare troppo non sono affatto la stessa cosa, e cosa succede quando un atto alimentare apparentemente simile nei fatti si carica di significati molto diversi nella mente e nel corpo di chi lo compie.

Quali sono le Differenze tra Abbuffarsi e Semplicemente Mangiare Troppo?

Se ti stai chiedendo se i tuoi episodi alimentari siano vere e proprie abbuffate oppure semplici momenti in cui mangi più del solito, magari in modo sporadico o frequente a causa di stress, abitudini, contesti sociali o altri fattori contingenti, allora continua a leggere questo articolo.

Nelle prossime righe ti illustreremo in modo chiaro e approfondito quali sono i criteri fondamentali per distinguere tra abbuffarsi e mangiare troppo, così da aiutarti a comprendere meglio la natura del tuo comportamento alimentare.

  • Contesto emotivo e stato mentale durante l’episodio: una delle differenze più significative tra il mangiare troppo e l’abbuffarsi riguarda lo stato emotivo che accompagna l’atto alimentare. Chi mangia troppo. ad esempio durante un pranzo domenicale in famiglia, una cena al ristorante o una festività, può provare sensazioni di sazietà eccessiva, ma in un contesto spesso connotato da piacere, convivialità o euforia. Non vi è un forte carico emotivo negativo né prima né dopo l’episodio. Al contrario, nel caso dell’abbuffata vera e propria, l’atto di mangiare è vissuto come una risposta compulsiva, automatica o disperata a un disagio interno. Le emozioni che precedono l’episodio sono spesso di ansia, tensione, vuoto, tristezza o frustrazione; quelle che lo seguono possono includere vergogna, disgusto, senso di colpa e profondo malessere. L’esperienza non è gratificante ma distruttiva. La persona non mangia per gusto, né per fame, ma per cercare di anestetizzare o silenziare uno stato psichico intollerabile.
  • Perdita di controllo: un elemento discriminante fondamentale è la percezione della perdita di controllo. Chi si abbuffa riferisce spesso di sentirsi travolto da una forza interiore che lo domina, di iniziare a mangiare senza riuscire a fermarsi, come se il comportamento alimentare sfuggisse completamente al proprio volere. È una sensazione descritta frequentemente come dissociativa o irreversibile nel momento in cui accade. Il cibo viene ingerito rapidamente, spesso in solitudine, talvolta senza nemmeno accorgersi del gusto o della quantità. Nel mangiare troppo, invece, l’individuo mantiene una consapevolezza piena dell’atto e, pur decidendo di eccedere, resta padrone della propria azione. La differenza è sottile ma sostanziale: nella sovralimentazione non patologica si tratta di una scelta, magari poco funzionale, ma comunque volontaria; nell’abbuffata si tratta di un impulso che prende il sopravvento, lasciando la persona in uno stato di impotenza.
  • Collocazione temporale e contesto dell’assunzione di cibo: un ulteriore elemento discriminante tra l’abbuffarsi e il mangiare troppo riguarda il momento e il contesto in cui l’atto alimentare si verifica. Nel mangiare troppo, l’eccesso si manifesta quasi sempre all’interno di un pasto “istituzionale”: colazione, pranzo, cena o comunque un’occasione riconosciuta socialmente come momento legittimo per mangiare. L’abbondanza può essere determinata dalla qualità del cibo, dalla compagnia, dall’appetito, ma resta inserita in una cornice di normalità, anche se in quantità superiore alla media. Diversamente, l’abbuffata tende a collocarsi fuori da questi spazi codificati. Avviene spesso in orari atipici — nel pomeriggio tardi, nella notte, appena rientrati a casa, o addirittura dopo aver già consumato un pasto regolare — e in condizioni di solitudine. Questa collocazione “fuori contesto” è tutt’altro che casuale: l’abbuffata non ha lo scopo di nutrire, ma di placare uno stato interiore, e per farlo ha bisogno di isolamento, segretezza, disconnessione da qualsiasi rituale alimentare condiviso. Non si tratta di un “secondo pranzo” o di una “cena abbondante”, ma di un episodio dissociato, che rompe i ritmi e le abitudini, e che non risponde a segnali di fame, ma piuttosto a pressioni psicologiche interne. La cornice temporale e sociale, quindi, diventa un importante indicatore clinico: se l’eccesso alimentare è inserito in un pasto conviviale o ordinario, è probabile che si tratti di semplice sovralimentazione; se avviene in momenti insoliti e in modo isolato, è molto più probabile che rientri nella fenomenologia dell’abbuffata.
  • Quantità e qualità del cibo ingerito: anche se sia nel mangiare troppo che nell’abbuffarsi si può registrare un’introduzione calorica elevata, nel caso delle abbuffate le quantità sono spesso sproporzionate e ingestibili nel breve tempo. Non si tratta semplicemente di mangiare “di più”, ma di ingerire una quantità molto superiore a quella che la maggior parte delle persone assumerebbe in circostanze analoghe. Inoltre, l’abbuffata tende a orientarsi verso alimenti ipercalorici, ricchi di zuccheri e grassi, spesso consumati in combinazioni caotiche e con una certa frenesia. Nel mangiare troppo, invece, il pasto resta tendenzialmente coerente con il contesto (un secondo piatto in più, un’altra porzione di pasta, un dolce a fine pasto). L’eccesso è relativo e limitato, mentre nell’abbuffata si ha un’escalation rapida e sregolata dell’assunzione, spesso con l’aggiunta compulsiva di cibo anche in assenza di appetito.
  • Frequenza e ricorrenza nel tempo: mentre il mangiare troppo è spesso episodico e legato a situazioni circoscritte, l’abbuffarsi tende a diventare una modalità ricorrente e disfunzionale di affrontare le emozioni o i momenti di difficoltà. Si tratta di un pattern che può ripetersi più volte alla settimana o anche ogni giorno, spesso in segreto, con rituali ben precisi. Questo aspetto di cronicizzazione distingue l’abbuffata clinica da un’occasione sporadica in cui si mangia più del solito. Quando il comportamento si ripete nel tempo, non più come eccezione ma come risposta abituale al disagio, si entra nel campo dei disturbi del comportamento alimentare. Il soggetto inizia a sviluppare una relazione disfunzionale con il cibo, che diventa strumento di gestione emotiva e non più nutrizione o piacere.
  • Conseguenze psicologiche post-episodio: le sensazioni che seguono il pasto sono molto diverse nei due casi. Dopo aver mangiato troppo, è comune provare un po’ di pesantezza, forse un lieve rimorso, ma raramente si assiste a una crisi esistenziale. Si tende a ridimensionare l’evento: “Mi sono concesso uno sfizio”, “La prossima volta starò più attento”, ecc. L’autostima resta generalmente intatta, e l’evento viene assorbito senza particolare turbamento. L’abbuffata, invece, si porta dietro un impatto psicologico molto più invasivo. Il soggetto può sentirsi disgustato da sé stesso, fallito, indegno, fuori controllo. Questa sofferenza può sfociare in comportamenti compensatori (come vomito autoindotto, digiuno punitivo, eccessivo esercizio fisico) oppure in una spirale depressiva. La vergogna è così intensa che spesso la persona nasconde l’episodio anche ai più intimi. La ripetitività di queste sensazioni contribuisce a minare progressivamente l’identità e la qualità della vita del soggetto.
  • Origine del comportamento e funzioni psicologiche: mangiare troppo ha solitamente una causa semplice: la disponibilità di cibo abbondante, la convivialità, una maggiore fame, un’occasione speciale. L’atto risponde a un bisogno fisiologico che si è solo temporaneamente sbilanciato. Nell’abbuffarsi, invece, il comportamento ha una funzione simbolica e psicologica: servire da regolatore emotivo, placare un’angoscia, anestetizzare un pensiero intrusivo o riempire un senso di vuoto. È una strategia di coping maladattiva, che parla del tentativo, spesso disperato, di trovare sollievo. Il cibo non è l’obiettivo, ma il mezzo. Non si mangia per gusto o nutrizione, ma per spegnere un dolore. In questo senso, l’abbuffata è un atto sintomatico, un messaggio corporeo di disagio che si esprime nel linguaggio dell’alimentazione. La mente usa il corpo per urlare un dolore che non trova parola.

Se, dopo aver letto questo testo, hai potuto escludere con serenità di vivere episodi di abbuffata vera e propria, allora perfetto: hai fatto bene a porti la domanda e a chiarire i tuoi dubbi.

A volte basta un po’ di consapevolezza per ridimensionare una preoccupazione e tornare a vivere il rapporto con il cibo con maggiore tranquillità.

Se invece riconosci che il tuo comportamento alimentare assomiglia molto di più a quanto descritto in riferimento alle abbuffate, e non a semplici episodi di iperalimentazione, allora è possibile che tu stia affrontando un disturbo del comportamento alimentare.

Potrebbe trattarsi di binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata), se non sono presenti condotte compensatorie come il vomito autoindotto, oppure di bulimia nervosa, se invece queste condotte sono presenti.

In entrambi i casi, è importante sapere che non sei solo e che esistono strumenti e professionisti pronti ad aiutarti.

Al Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare GAM Medical, puoi trovare un’équipe multidisciplinare specializzata proprio nella cura di condizioni alimentari come il binge eating e la bulimia nervosa.

Psicologi e psichiatri lavorano insieme per aiutarti a riconoscere le cause profonde del tuo disturbo alimentare, a comprenderne la natura e — se necessario — a ricevere una diagnosi di DCA accurata e un percorso terapeutico mirato.

Nel frattempo, se vuoi indagare un po’ di più il tuo rapporto col cibo e verificare in autonomia quanto i tuoi comportamenti col cibo siano vicini ad un disturbo alimentare, abbiamo un test per il DCA gratuito e online che può fare al caso tuo

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