Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, la memoria non è tanto compromessa in termini di capacità oggettiva, quanto nel modo in cui viene percepita, controllata e messa in discussione.
Le persone con DOC non soffrono di veri e propri deficit mnemonici, ma vivono un continuo senso di incertezza riguardo a ciò che ricordano o non ricordano.
Questo fenomeno si manifesta sia in riferimento a eventi realmente accaduti – con il dubbio di non averli vissuti nel modo “giusto” o completo – sia rispetto a eventi mai avvenuti, che però si impongono alla coscienza sotto forma di immagini, sensazioni o “quasi ricordi” vissuti come plausibili.
La memoria diventa, quindi, un terreno fragile e instabile, sottoposto a ripetute verifiche, revisioni e controlli mentali, che non fanno altro che amplificarne l’inaffidabilità percepita.
Il bisogno ossessivo di certezza, unito all’iperscrutinio cognitivo, porta a un paradosso: più si tenta di ricordare con precisione, più il ricordo si confonde.
Ne deriva un senso costante di dubbio, che alimenta la spirale ossessiva e può sfociare nella costruzione di falsi ricordi o nel timore angosciante di aver dimenticato qualcosa di fondamentale.
Nelle prossime righe capiremo quali sono le principali implicazioni del DOC sulla memoria.
Implicazioni del DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo) sulla Memoria
Le funzioni mnemoniche nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, come già accennato, risultano tendenzialmente preservate dal punto di vista neurocognitivo.
Le persone con DOC non presentano infatti deficit strutturali nella memoria, né disturbi neurologici specifici che compromettano la capacità di ricordare.
Tuttavia, ciò che accade è che emergono una serie di fenomeni psicologici e comportamentali che finiscono per intaccare la percezione soggettiva della memoria e la fiducia riposta nei propri ricordi
La memoria viene costantemente messa in discussione, come nei casi di:
- Non ricordarsi se si è compiuta un’azione (lavarsi le mani, chiudere la porta, spegnere il gas): uno dei fenomeni più comuni nel DOC riguarda il dubbio persistente legato a gesti quotidiani, anche banali, che diventano oggetto di continua verifica mentale o pratica. La persona può, ad esempio, lavarsi le mani e pochi secondi dopo iniziare a chiedersi se lo abbia fatto davvero, come se il gesto non lasciasse alcuna traccia mnemonica affidabile. Lo stesso accade con la chiusura della porta, la luce lasciata accesa, o il fornello spento: azioni automatiche, spesso compiute con poca consapevolezza, che nel soggetto con DOC vengono immediatamente rimesse in discussione. Il bisogno di certezza assoluta innesca un processo di verifica, a volte ripetuta più e più volte, nella speranza di calmare l’ansia. Tuttavia, questo controllo produce un effetto opposto: più si cerca di “ricordare meglio”, più la mente si confonde, e la memoria soggettiva diventa via via meno affidabile, trasformando un gesto innocuo in una fonte di disagio costante.
- Ipercontrollo e sovrascrittura della memoria: nel DOC, la tendenza a verificare ripetutamente se qualcosa è stato fatto correttamente (es. chiudere il gas, inviare un’email, disinfettarsi le mani) porta a un ipercontrollo mentale. Questo controllo costante, paradossalmente, sovraccarica l’attenzione e interferisce con la formazione di un ricordo solido. Più si controlla, meno il cervello registra l’evento come “concluso”, generando confusione e impedendo la naturale sedimentazione del ricordo. La continua ruminazione su eventi, conversazioni o azioni passate può portare a una distorsione retroattiva del ricordo. Inoltre, il fatto di ripensare mille volte a un episodio porta il soggetto a introdurre nuovi dettagli, dubbi o interpretazioni, rendendo il ricordo originario sempre meno nitido e più contaminato da costruzioni mentali. Il pensiero ossessivo “riscrive” la memoria, compromettendone la coerenza originale.
- Falsi ricordi (temere di aver compiuto un’azione e di averla rimossa): un altro aspetto particolarmente insidioso del rapporto tra memoria e DOC è la comparsa di falsi ricordi. In questo caso, la persona non solo dubita della propria memoria, ma arriva a “ricordare” azioni che in realtà non sono mai accadute. Questo avviene soprattutto quando l’evento immaginato è associato a un forte carico emotivo, come il timore di aver detto qualcosa di sbagliato, fatto del male a qualcuno, agito in modo immorale o inappropriato. Il ricordo, inizialmente solo ipotetico o immaginato, viene ripensato talmente tante volte che si arricchisce di dettagli, emozioni e immagini mentali vivide, fino a sembrare reale. L’individuo può convincersi di aver “rimosso” il gesto dalla propria coscienza perché troppo grave, e questo alimenta un senso di colpa che spinge a ulteriori ruminazioni, richieste di rassicurazione o confessioni, anche se infondate. È un processo mentale che non riguarda una reale perdita di memoria, ma un collasso della fiducia nella propria capacità di ricordare correttamente.
In generale, possiamo dire che uno degli aspetti più caratteristici del DOC è la perdita della “sensazione di sapere” (feeling of knowing), ovvero quella sensazione intuitiva che normalmente accompagna un ricordo e ci permette di dire “sì, l’ho fatto” o “no, non l’ho fatto”.
Anche davanti a ricordi autentici, il soggetto non riesce a sentirsi sicuro, perché la percezione soggettiva di certezza non è più accessibile o affidabile.
Questo porta a vivere anche i ricordi reali come dubbi da gestire, piuttosto che certezze da archiviare.
Nel tentativo di compensare l’insicurezza verso la propria memoria, molte persone con DOC cercano rassicurazioni dagli altri (“Sei sicuro che ho chiuso la porta? L’hai visto anche tu?”).
Questo meccanismo può portare a una progressiva delega della fiducia mnemonica, riducendo la percezione di padronanza e controllo sui propri ricordi.
La memoria, così, diventa qualcosa di incerto che va costantemente confermato esternamente.
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