Traumi Irrisolti: Cosa Sono?

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Traumi Irrisolti: Cosa Sono?

I traumi irrisolti sono esperienze emotivamente dolorose o destabilizzanti che, a distanza di tempo, non sono state completamente elaborate o integrate all’interno della propria storia personale e del proprio vissuto emotivo.

Si tratta di eventi che hanno superato le capacità della persona di farvi fronte al momento in cui si sono verificati, lasciando una traccia profonda che continua a influenzare pensieri, emozioni, comportamenti e relazioni anche molto tempo dopo.

Un trauma si definisce “irrisolto” quando il suo impatto psichico resta attivo e presente, anche se in modo latente, e tende a riemergere attraverso sintomi psicologici, somatici o reattività emotive sproporzionate rispetto al presente.

Può riguardare sia esperienze acute, come incidenti, lutti o violenze, sia situazioni croniche e più sottili, come trascuratezza affettiva, relazioni instabili o ambienti invalidanti.

I traumi irrisolti non sono sempre consapevoli: spesso operano in modo silenzioso, sotto la soglia della coscienza, ma influenzano profondamente la qualità della vita, il senso di sicurezza interiore e la capacità di costruire legami sani e fiduciosi.

Perché un Trauma Dovrebbe Rimanere Irrisolto?

Ci sono diverse circostanze che favoriscono l’irrisolutezza del trauma. Sicuramente, tra queste:

  • Quando il trauma si verifica durante l’infanzia: uno dei contesti più delicati in cui un trauma può restare irrisolto è quello dell’infanzia. Durante i primi anni di vita, il sistema nervoso, l’identità e le capacità di elaborazione emotiva sono ancora in fase di sviluppo, rendendo il bambino particolarmente vulnerabile agli eventi stressanti. Quando un bambino vive un’esperienza potenzialmente traumatica – che può spaziare da un lutto improvviso alla separazione dai genitori, da un abuso alla semplice esposizione a un ambiente emotivamente caotico o imprevedibile – spesso non possiede gli strumenti né linguistici né affettivi per comprenderla, raccontarla o contestualizzarla. In questi casi, il trauma non viene elaborato, ma si sedimenta nel corpo e nella psiche come un nodo irrisolto, che può riattivarsi in età adulta sotto forma di ansia, depressione, difficoltà relazionali o sintomi somatici. Inoltre, il trauma infantile può essere invisibile all’esterno: un bambino che cresce in un ambiente apparentemente “normale” ma privo di accoglienza emotiva o empatia può sviluppare ferite profonde che, non essendo state riconosciute, difficilmente potranno essere elaborate spontaneamente.
  • Quando il trauma deriva da trascuratezza o negligenza affettiva: un’altra circostanza in cui un trauma può rimanere irrisolto è quella in cui la sofferenza non è legata tanto a un evento singolo e drammatico, quanto a una mancanza prolungata: l’assenza di sguardi, cure, empatia, validazione. La trascuratezza, in particolare quella emotiva, è spesso sottovalutata come fonte di trauma perché non lascia segni visibili e non viene facilmente raccontata nei termini classici della violenza o dell’abuso. Eppure, vivere in un ambiente in cui non si è visti, ascoltati o compresi può generare un dolore profondo, un senso di inadeguatezza o di vuoto identitario che accompagna la persona per tutta la vita. Il trauma da negligenza è particolarmente insidioso perché spesso non viene riconosciuto nemmeno dalla vittima stessa, che può aver interiorizzato l’idea che le sue emozioni o i suoi bisogni fossero “troppo” o inadeguati. L’irrisolutezza nasce proprio da questa mancata legittimazione del proprio sentire, che impedisce l’elaborazione e l’integrazione del vissuto.
  • Quando il trauma non è riconosciuto come tale perché non “eclatante”: esistono molti traumi che non si manifestano attraverso eventi oggettivamente scioccanti, ma che producono comunque un impatto profondo e duraturo sulla psiche. Si tratta di quelle esperienze che non rientrano nei parametri convenzionali del “trauma” – come un incidente grave o una catastrofe naturale – ma che, per la soggettività della persona, hanno rappresentato uno sconvolgimento interno significativo. Una critica ricevuta in un momento vulnerabile, una rottura affettiva vissuta in solitudine, un’umiliazione non condivisa con nessuno, possono lasciare segni indelebili. Tuttavia, poiché l’ambiente sociale e culturale tende a minimizzare o a invalidare queste esperienze, chi le vive può arrivare a convincersi che non siano degne di attenzione, o che “avrebbe dovuto reagire meglio”. Questa distanza tra ciò che si sente e ciò che si crede di dover sentire può impedire di riconoscere la ferita e quindi di curarla, lasciandola in uno stato latente e irrisolto.
  • Quando si tratta di traumi relazionali e non episodici: molti traumi non derivano da un singolo evento drammatico, ma da dinamiche relazionali ripetute nel tempo. Sono i cosiddetti traumi relazionali, che emergono all’interno di rapporti significativi – spesso familiari o sentimentali – caratterizzati da manipolazione, disconnessione, controllo, abuso psicologico o scarsa regolazione emotiva. In questi casi, il trauma non ha un inizio e una fine chiara, ma si costruisce giorno dopo giorno attraverso l’esperienza costante di sentirsi non amati, non ascoltati, non rispettati. Proprio perché si sviluppa lentamente e spesso in contesti affettivamente ambigui, il trauma relazionale può rimanere profondamente sommerso e difficilmente verbalizzabile. Il legame affettivo con chi ha generato la ferita può rendere ancora più difficile la presa di coscienza, perché implica sentimenti contrastanti come lealtà, vergogna, paura di essere giudicati o di “tradire” l’altro. Questo tipo di trauma, se non riconosciuto e affrontato, tende a riemergere sotto forma di difficoltà nelle relazioni adulte, in una continua ripetizione dei copioni emotivi appresi.
  • Quando la propria esperienza viene normalizzata o minimizzata: un trauma può restare irrisolto anche quando la persona stessa non si concede il permesso di considerarlo tale. Spesso succede che, per proteggersi dal dolore, si razionalizzino le esperienze vissute, le si minimizzi, o si adottino spiegazioni che spostano l’attenzione dalla sofferenza alla “normalità”. Frasi interiori come “è successo a tutti”, “non era così grave”, “sono sopravvissuto, quindi non conta” diventano strumenti di auto-invalidazione che impediscono il riconoscimento della propria ferita. La cultura in cui si cresce, la famiglia d’origine, il contesto sociale, spesso incoraggiano questa narrazione riduttiva, che porta a una dissociazione tra ciò che si è vissuto e ciò che si ammette di aver vissuto. In questi casi, il trauma agisce in modo silenzioso ma costante, condizionando il presente attraverso emozioni “incomprensibili”, reazioni sproporzionate o schemi di pensiero disfunzionali, senza che ne venga mai indagata l’origine.

Non sempre e non tutti i traumi irrisolti si manifestano con una sintomatologia evidente.

In molte persone, il dolore vissuto resta silente, nascosto sotto la superficie della coscienza, mimetizzato in modalità relazionali disfunzionali, in comportamenti ripetitivi o in una persistente sensazione di vuoto o disconnessione.

Alcuni individui possono attraversare anni, persino decenni, senza collegare direttamente il proprio malessere a un evento traumatico del passato.

Ciò non significa che quel trauma sia scomparso: al contrario, può agire in modo latente, esercitando un’influenza sottile ma profonda sulla percezione di sé, sul modo di affrontare lo stress, sulla capacità di fidarsi degli altri e persino sulla regolazione fisiologica del corpo.

In altri casi, invece, il trauma assume una forma più definita e riconoscibile, diventando un vero e proprio quadro clinico diagnosticabile.

Il PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder o, in italiano, Disturbo Post-Traumatico da Stress) è una condizione clinica che può svilupparsi dopo l’esposizione a un evento traumatico particolarmente intenso, come un grave incidente, una violenza fisica o sessuale, una guerra, un disastro naturale, o anche la morte improvvisa di una persona cara.

Tuttavia, il PTSD può anche emergere a partire da esperienze meno eclatanti ma soggettivamente devastanti.

Ciò che distingue il PTSD da altri esiti del trauma è la presenza di una sintomatologia ben specifica: rivisitazioni intrusive (flashback, incubi), evitamento di stimoli legati all’evento, alterazioni cognitive ed emotive (senso di colpa, distorsioni negative di sé o del mondo, distacco emotivo) e iperattivazione fisiologica (insonnia, irritabilità, ipervigilanza, reazioni esagerate di allarme).

Un trauma può quindi diventare irrisolto senza produrre necessariamente un PTSD, ma quando l’esperienza è particolarmente acuta, ripetuta o vissuta in solitudine, può innescare questo disturbo.

Spesso il PTSD si sviluppa proprio in quei casi in cui il trauma non ha trovato spazio di elaborazione: è stato negato, minimizzato o interiorizzato senza il sostegno necessario per affrontarlo.

I traumi irrisolti costituiscono quindi una sorta di “terreno fertile” per lo sviluppo del PTSD, e in alcuni casi il PTSD può essere visto come la forma clinicamente manifesta di un trauma rimasto irrisolto.

Inoltre, va sottolineato che esiste anche una forma clinica chiamata PTSD Complesso (C-PTSD), riconosciuta dall’ICD-11, che è ancora più strettamente legata ai traumi relazionali prolungati e cumulativi, soprattutto in età evolutiva.

In questi casi, la persona non ha vissuto un singolo evento traumatico, ma una prolungata esposizione a situazioni di abuso, trascuratezza, dipendenza emotiva o instabilità affettiva.

Qui il trauma non solo resta irrisolto, ma si struttura nel tempo come parte integrante dell’identità della persona, compromettendo lo sviluppo della regolazione emotiva, dell’immagine di sé e delle relazioni interpersonali.

Leggi anche il nostro articolo dedicato proprio al Disturbo Post Traumatico da Stress Complesso.

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